
Un genere veramente particolare, ostico al primo a pproccio, ma che davvero val la pena di provare
il primo folle titolo di Eklund, racchiuso in un'elegante scatolina, che ha definito un intero genere
Appena iniziata la stesura di questo articolo ho incontrato subito un primo intoppo alla voce “genere”: è vero che la gran parte dei Pax gira intorno all’utilizzo di carte multifunzione, ma definirli card game non penso sia la cosa più corretta. Il sistema sviluppato da Phil Eklund, ormai, ha delle caratteristiche così ben definite da aver creato un vero e proprio genere e lo si nota sin dal capostipite, Pax Porfiriana. L’ambientazione, già trattata in Lord of the Sierra Madre (e come molti Pax nati come sviluppo di vecchi suoi titoli della serie Lord Of), è quella del periodo di “pace” durante la dittatura di Porfirio Diaz, che per 30 anni ha governato il Messico tramite violenza e corruzione. I giocatori vestiranno i panni di Hacendado, potenti uomini d’affari che proveranno a ottenere il potere rovesciando il potere costituito con la forza militare o con l’aiuto dell’esercito statunitense; qualora non ci riuscissero vincerebbe il giocatore che è diventato il latifondista più influente e ricco.
Altra finezza di Pax Porfiriana, ripresa in modo diverso in altri titoli, è la presenza di alcune condizioni che alterano l’andamento generico della partita, i cosiddetti Regimi; grazie all’intervento di alcuni eventi attivati dai giocatori, si terrà attivo un particolare Regime che altera forza e utilizzo di alcune azioni: per esempio sotto Martial Law le azioni della polizia per ridurre il malcontento saranno gratuite, mentre sotto US Interventetion non si avranno restrizioni nello schieramento di forze statunitensi; una semplice soluzione che però simula varie tipologie di governance e le dirette conseguenze sul normale andamento della politica messicana.
L’attenzione maniacale alla simulazione delle macrodinamiche politiche del periodo porta con sé due grosse criticità: la prima è il regolamento, chimera di ogni titolo di Eklund, che non si limita a essere una stesura di regole di un gioco, ma anche un trattato della visione dell’autore sul periodo storico, con postille a piè pagina che occupano quasi lo stesso spazio delle regole vere e proprie; la seconda è l’ergonomia. Le carte sono cariche di informazioni, tra costi aggiuntivi, azioni esclusive, eventuali income e cambi di regime, senza contare il fatto che molte hanno altre info se girate sottosopra… e per non farci mancare niente è ovviamente presente del flavour text dell’evento o del personaggio che rappresentano, un estrattore di una wiki storica. La natura fortemente interattiva del titolo porta i giocatori a essere sempre consci delle possibilità altrui, cosa che porterà spesso i giocatori ad alzarsi dal tavolo e leggere nei due versi i tableau avversari.
Riusciti a far fronte alle due difficoltà sopra citate, si ha però un sandbox di 30 anni di politica fatta di sangue e tradimenti, di effimere alleanze, grazie a un gioco subdolamente interattivo e con una variabilità data dalle cinquanta carte in gioco prese da un pool di oltre duecento. Pochi titoli riescono a coprire così tanti aspetti legati ad eventi storici in tempi di gioco ragionevoli, e Pax Porfiriana ci riesce pienamente.
Il potenziale di questo sistema ha dato modo di potersi facilmente adattare a una vasta serie di situazioni, anche molto diverse tra loro: vediamo quindi anche gli altri titoli in ordine di uscita, cercando di soffermarci sulle peculiarità rispetto al capostipite Pax Porfiriana.
A breve nella famiglia Pax si aggiungeranno altri tre titoli ufficiali: Pax Hispanica, rivisitazione di Lord of the Spanish Main, in cui affronteremo la vita di pirati nel mar dei Caraibi del 17° secolo, Pax Illuminaten, dove vestiremo i panni di un membro della setta degli Illuminati in cui tesseremo le nostre trame per 'impostare' il mondo secondo i nostri piani, e infine Pax Maleficium: Fall of the Witch Hunters, sulla caccia alle streghe del 17° secolo.
L’importanza dei Pax si vede anche nell’influenza in opere di altri autori, direttamente o indirettamente ispirate al sistema. Cole Wehrle ha ripreso molte delle idee mutuate dall’esperienza con Pax Pamir per creare Oath: Chronicles of Empire & Exile, in cui i giocatori andranno a modificare e sfruttare quello che di fatto è un enorme tableau condiviso. In DerrocAr: The week of Five Presidents, titolo della Ion a firma Bruss Brussco, sull’elezione del presidente argentino in uno dei periodi finanziariamente più disastroso per la nazione, troviamo molti stilemi del sistema, dal river di carte alle varie condizioni di vittoria.
È per tutte queste ragioni che si è deciso di inserire Pax Porfiriana in questa lista.
Un genere veramente particolare, ostico al primo a pproccio, ma che davvero val la pena di provare
Trovo talmente aberrante l'ideologia di cui Eklund imbeve i suoi giochi da non riuscire a giocarli. Peccato.
Splendido articolo.
Bravo s83m.
Uno è lieto di poter servire (cit.)
Una panoramica decisamente interessante! Gloria all'autore per questo prezioso scritto.
Bell'articolo! Sono tra quelli che pensano che il migliore sia Renaissance, ma Porfiriana resta bellissimo ed ha le migliori dinamiche above the table con Pamir
Giochi clamorosi. Game design geniale, sempre originale, mai banale per non parlare dell' immenso contenuto storico culturale (corredato da una tonnellata di bibliografia esterna)
Andrebbero giocati anche solo per il loro valore storico.
Pax emancipation poi è un inno alla libertà, alla vita e all'eguaglianza come non se ne sono mai visti.
Grazie Sb83m ❤️
Giochi clamorosi. Game design geniale, sempre originale, mai banale per non parlare dell' immenso contenuto storico culturale (corredato da una tonnellata di bibliografia esterna)
Andrebbero giocati anche solo per il loro valore storico.
Pax emancipation poi è un inno alla libertà, alla vita e all'eguaglianza come non se ne sono mai visti.
Grazie Sb83m ❤️
Consigli di lettura per confutare l'ultima affermazione: https://tildesites.bowdoin.edu/~prael/Rael-Pax-Exasperation.pdf
Non un inno alla libertà, ma all'anarco-capitalismo, al positivismo morale di matrice utilitarista (da Bentham in giù), al logocentrismo radicale, e in definitiva all'eccezionalismo suprematista occidentale (se non scopertamente razzista, quantomeno orientalista). Uno che scrive che ogni espressione di socialismo - ivi comprese la sanità pubblica, la calmierazione dei prezzi, la tassazione progressiva - è una forma di schiavitù, uno che crede di poter sconfessare Hegel citando Goebbels, uno che paragona il feudalismo e la servitù della gleba alla comune di Parigi, uno così non può essere preso sul serio. Tra le posizioni di Ayn Rand (perché Eklund quello è, un seguace massimalista del cosiddetto oggettivismo randiano, sistema di pensiero confutato e sbeffeggiato ovunque tranne che nei circoli neo-con americani) e quelle di - giusto per fare un nome - Edward Said, io non ho proprio dubbi.
Non si può sempre essere d'accordo con le tesi di Eklund, ma di sicuro ne ammiro il coraggio e la costanza e soprattutto la documentazione che allega a sostegno di ciò che pensa. Il suo non è mai "per me è così", ma sempre un "sono arrivato a questa conclusione per questi motivi e basandomi su queste fonti". Inoltre avere il coraggio di portare avanti un pensiero non allineato a quello comune, con i rischi di ostracizzazione odierna (ed Eklund è stato più volte bersaglio degli strali dei neocensori), è una posizione a mio parere ammirevole, qualunque siano le conclusioni (con le quali, ripeto, è lecito non essere d'accordo).
Andrebbe poi fatto un discorso a parte sul separare autore e opera, annosa questione, che personalmente non mi impedisce di apprezzare giochi da tavolo di autori con i quali umanamente non condivido nulla, ma comprendo che anche questo passo non sia semplice per tutti e che per farlo occorra riportare il rapporto sul piano razionale e logico, laddove il pensiero moderno privilegia istinti e sentimenti.
Non si può sempre essere d'accordo con le tesi di Eklund, ma di sicuro ne ammiro il coraggio e la costanza e soprattutto la documentazione che allega a sostegno di ciò che pensa. Il suo non è mai "per me è così", ma sempre un "sono arrivato a questa conclusione per questi motivi e basandomi su queste fonti". Inoltre avere il coraggio di portare avanti un pensiero non allineato a quello comune, con i rischi di ostracizzazione odierna (ed Eklund è stato più volte bersaglio degli strali dei neocensori), è una posizione a mio parere ammirevole, qualunque siano le conclusioni (con le quali, ripeto, è lecito non essere d'accordo).
Andrebbe poi fatto un discorso a parte sul separare autore e opera, annosa questione, che personalmente non mi impedisce di apprezzare giochi da tavolo di autori con i quali umanamente non condivido nulla, ma comprendo che anche questo passo non sia semplice per tutti e che per farlo occorra riportare il rapporto sul piano razionale e logico, laddove il pensiero moderno privilegia istinti e sentimenti.
Rispondo alla seconda parte: separare autore e opera può andar benissimo, ma Eklund (da abile artigiano del game-design qual è) fa in modo che siano le meccaniche stesse dei suoi giochi a rispecchiare e propagare le sue tesi - operazione in sé difficilissima e a mio parere uno dei massimi obiettivi cui un gioco da tavolo può aspirare in quanto opera dell'ingegno umano, con ben pochi epigoni in tal senso (The Cost ad esempio). Nell'articolo che ho linkato, si fa riferimento a tal proposito alla "ludic rethoric" del gioco, distinta da - seppur allineata a - quella delle note storiche; con questo voglio chiarire che il mio non è esclusiavemente un argomento "ad hominem", ma che può ben applicarsi ai giochi stessi, considerati esclusivamente nelle loro estetiche, dinamiche e meccaniche.
Riguardo poi al "riportare il rapporto sul piano razionale e logico", ebbene è proprio ciò che si intende con logocentrismo, la cui critica nel pensiero moderno non nasce però in nome di "istinti e sentimenti" (non si combatte l'empirismo e il razionalismo di matrice 700esca con il romanticismo di matrice 800esca), ma in nome del riconoscimento della natura STORICA e SITUATA di ogni pretesa razionalità "oggettiva", dimostrando come ogni appello al logos (verità, universalità, aderenza al reale) sia necessariamente mediato e inestricabilmente inluenzato da precisi dispositivi di produzione discorsiva già sempre ideologici, che bypassano il presunto "tribunale della ragione" dei singoli parlanti/pensanti per il semplice fatto di venire PRIMA di essi e anzi di esserne la condizione di possibilità espressiva/speculativa. L'idea è cioè che (per dirla con Wittgenstein) non esista metalinguaggio: non si può in buona coscienza ritenere di poter parlare "dal di fuori" dell'ideologia, stando semplicemente "ai fatti" - cosa che invece Eklund, da buon positivsta, ritiene di poter fare, come più volte sostenuto in discussioni su forum vari. Ci tengo a sottolineare la specificità di questa critica al logocentrismo proprio perché è quanto di più lontano possa esistere da un appello a "istinti e sentimenti": si tratta di un nuovo storicismo, riconducibile in larga parte all'opera di Michel Foucault, basato su ricerche d'archivio e sullo svelamento di regolarità discorsive "situate", scevre da ipostatizzazioni teoretiche o metafisiche; la necessità di questa precisazione nasce dal fatto che proprio Eklund accusa in generale TUTTE le forme di pensiero non direttamente riconducibili o assimilabili all'illuminismo anglosassone (da lui indicato con cattiva sineddoche "pensiero occidentale") di essere "orientali" e "misticheggianti" (ivi compresa, ad esempio, la supposta "regressione" dell'idealismo tedesco), senza considerare la possibilità (questo davvero aprioristicamente e fideisticamente) che possano invece esistere DIVERSE FORME di razionalità "occidentali", anche in conflittualità reciproca. Chiamare tali forme "orientali" è precisamente spia di quell'orientalismo così ben definito dal già citato Edward Said, anche lui studioso di Foucault, ma allo stesso tempo grande umanista, irreprensibile professore di lettere, progressista moderato, instancabile difensore del dato storico, essere umano razionale e ragionevole se mai ce ne furono. Ecco, immagino che la mia prima obiezione possa essere riassunta così: un gioco orientalista non potrà mai essere un "inno all'uguaglianza" - a meno che non sia un'ugualgianza alla Marchese Del Grillo, dove "noi semo noi, e gli altri... gli altri non so' un -"
Conosco bene, purtroppo, Foucault e in generale il post modernismo e tutte le idee che da esso sono derivate. Come altre, sono teorie filosofiche che ora vanno per la maggiore e dominano il pensiero comune, anche oltre gli orizzonti che Foucault e altri si erano proposti. Personalmente le trovo ben poco condivisibili e soprattutto foriere più di danni che di progressi. Ma toccherà aspettare qualche nuova corrente filosofica forte, per vederle superate.
Agzaroth scrive:
Non si può sempre essere d'accordo con le tesi di Eklund, ma di sicuro ne ammiro il coraggio e la costanza e soprattutto la documentazione che allega a sostegno di ciò che pensa. Il suo non è mai "per me è così", ma sempre un "sono arrivato a questa conclusione per questi motivi e basandomi su queste fonti". Inoltre avere il coraggio di portare avanti un pensiero non allineato a quello comune, con i rischi di ostracizzazione odierna (ed Eklund è stato più volte bersaglio degli strali dei neocensori), è una posizione a mio parere ammirevole, qualunque siano le conclusioni (con le quali, ripeto, è lecito non essere d'accordo).
Andrebbe poi fatto un discorso a parte sul separare autore e opera, annosa questione, che personalmente non mi impedisce di apprezzare giochi da tavolo di autori con i quali umanamente non condivido nulla, ma comprendo che anche questo passo non sia semplice per tutti e che per farlo occorra riportare il rapporto sul piano razionale e logico, laddove il pensiero moderno privilegia istinti e sentimenti.
Rispondo alla seconda parte: separare autore e opera può andar benissimo, ma Eklund (da abile artigiano del game-design qual è) fa in modo che siano le meccaniche stesse dei suoi giochi a rispecchiare e propagare le sue tesi - operazione in sé difficilissima e a mio parere uno dei massimi obiettivi cui un gioco da tavolo può aspirare in quanto opera dell'ingegno umano, con ben pochi epigoni in tal senso (The Cost ad esempio). Nell'articolo che ho linkato, si fa riferimento a tal proposito alla "ludic rethoric" del gioco, distinta da - seppur allineata a - quella delle note storiche; con questo voglio chiarire che il mio non è esclusiavemente un argomento "ad hominem", ma che può ben applicarsi ai giochi stessi, considerati esclusivamente nelle loro estetiche, dinamiche e meccaniche.
Riguardo poi al "riportare il rapporto sul piano razionale e logico", ebbene è proprio ciò che si intende con logocentrismo, la cui critica nel pensiero moderno non nasce però in nome di "istinti e sentimenti" (non si combatte l'empirismo e il razionalismo di matrice 700esca con il romanticismo di matrice 800esca), ma in nome del riconoscimento della natura STORICA e SITUATA di ogni pretesa razionalità "oggettiva", dimostrando come ogni appello al logos (verità, universalità, aderenza al reale) sia necessariamente mediato e inestricabilmente inluenzato da precisi dispositivi di produzione discorsiva già sempre ideologici, che bypassano il presunto "tribunale della ragione" dei singoli parlanti/pensanti per il semplice fatto di venire PRIMA di essi e anzi di esserne la condizione di possibilità espressiva/speculativa. L'idea è cioè che (per dirla con Wittgenstein) non esista metalinguaggio: non si può in buona coscienza ritenere di poter parlare "dal di fuori" dell'ideologia, stando semplicemente "ai fatti" - cosa che invece Eklund, da buon positivsta, ritiene di poter fare, come più volte sostenuto in discussioni su forum vari. Ci tengo a sottolineare la specificità di questa critica al logocentrismo proprio perché è quanto di più lontano possa esistere da un appello a "istinti e sentimenti": si tratta di un nuovo storicismo, riconducibile in larga parte all'opera di Michel Foucault, basato su ricerche d'archivio e sullo svelamento di regolarità discorsive "situate", scevre da ipostatizzazioni teoretiche o metafisiche; la necessità di questa precisazione nasce dal fatto che proprio Eklund accusa in generale TUTTE le forme di pensiero non direttamente riconducibili o assimilabili all'illuminismo anglosassone (da lui indicato con cattiva sineddoche "pensiero occidentale") di essere "orientali" e "misticheggianti" (ivi compresa, ad esempio, la supposta "regressione" dell'idealismo tedesco), senza considerare la possibilità (questo davvero aprioristicamente e fideisticamente) che possano invece esistere DIVERSE FORME di razionalità "occidentali", anche in conflittualità reciproca. Chiamare tali forme "orientali" è precisamente spia di quell'orientalismo così ben definito dal già citato Edward Said, anche lui studioso di Foucault, ma allo stesso tempo grande umanista, irreprensibile professore di lettere, progressista moderato, instancabile difensore del dato storico, essere umano razionale e ragionevole se mai ce ne furono. Ecco, immagino che la mia prima obiezione possa essere riassunta così: un gioco orientalista non potrà mai essere un "inno all'uguaglianza" - a meno che non sia un'ugualgianza alla Marchese Del Grillo, dove "noi semo noi, e gli altri... gli altri non so' un -"
un gioco orientalista.
ok
aitan_3 scrive:
Agzaroth scrive:
Non si può sempre essere d'accordo con le tesi di Eklund, ma di sicuro ne ammiro il coraggio e la costanza e soprattutto la documentazione che allega a sostegno di ciò che pensa. Il suo non è mai "per me è così", ma sempre un "sono arrivato a questa conclusione per questi motivi e basandomi su queste fonti". Inoltre avere il coraggio di portare avanti un pensiero non allineato a quello comune, con i rischi di ostracizzazione odierna (ed Eklund è stato più volte bersaglio degli strali dei neocensori), è una posizione a mio parere ammirevole, qualunque siano le conclusioni (con le quali, ripeto, è lecito non essere d'accordo).
Andrebbe poi fatto un discorso a parte sul separare autore e opera, annosa questione, che personalmente non mi impedisce di apprezzare giochi da tavolo di autori con i quali umanamente non condivido nulla, ma comprendo che anche questo passo non sia semplice per tutti e che per farlo occorra riportare il rapporto sul piano razionale e logico, laddove il pensiero moderno privilegia istinti e sentimenti.
Rispondo alla seconda parte: separare autore e opera può andar benissimo, ma Eklund (da abile artigiano del game-design qual è) fa in modo che siano le meccaniche stesse dei suoi giochi a rispecchiare e propagare le sue tesi - operazione in sé difficilissima e a mio parere uno dei massimi obiettivi cui un gioco da tavolo può aspirare in quanto opera dell'ingegno umano, con ben pochi epigoni in tal senso (The Cost ad esempio). Nell'articolo che ho linkato, si fa riferimento a tal proposito alla "ludic rethoric" del gioco, distinta da - seppur allineata a - quella delle note storiche; con questo voglio chiarire che il mio non è esclusiavemente un argomento "ad hominem", ma che può ben applicarsi ai giochi stessi, considerati esclusivamente nelle loro estetiche, dinamiche e meccaniche.
Riguardo poi al "riportare il rapporto sul piano razionale e logico", ebbene è proprio ciò che si intende con logocentrismo, la cui critica nel pensiero moderno non nasce però in nome di "istinti e sentimenti" (non si combatte l'empirismo e il razionalismo di matrice 700esca con il romanticismo di matrice 800esca), ma in nome del riconoscimento della natura STORICA e SITUATA di ogni pretesa razionalità "oggettiva", dimostrando come ogni appello al logos (verità, universalità, aderenza al reale) sia necessariamente mediato e inestricabilmente inluenzato da precisi dispositivi di produzione discorsiva già sempre ideologici, che bypassano il presunto "tribunale della ragione" dei singoli parlanti/pensanti per il semplice fatto di venire PRIMA di essi e anzi di esserne la condizione di possibilità espressiva/speculativa. L'idea è cioè che (per dirla con Wittgenstein) non esista metalinguaggio: non si può in buona coscienza ritenere di poter parlare "dal di fuori" dell'ideologia, stando semplicemente "ai fatti" - cosa che invece Eklund, da buon positivsta, ritiene di poter fare, come più volte sostenuto in discussioni su forum vari. Ci tengo a sottolineare la specificità di questa critica al logocentrismo proprio perché è quanto di più lontano possa esistere da un appello a "istinti e sentimenti": si tratta di un nuovo storicismo, riconducibile in larga parte all'opera di Michel Foucault, basato su ricerche d'archivio e sullo svelamento di regolarità discorsive "situate", scevre da ipostatizzazioni teoretiche o metafisiche; la necessità di questa precisazione nasce dal fatto che proprio Eklund accusa in generale TUTTE le forme di pensiero non direttamente riconducibili o assimilabili all'illuminismo anglosassone (da lui indicato con cattiva sineddoche "pensiero occidentale") di essere "orientali" e "misticheggianti" (ivi compresa, ad esempio, la supposta "regressione" dell'idealismo tedesco), senza considerare la possibilità (questo davvero aprioristicamente e fideisticamente) che possano invece esistere DIVERSE FORME di razionalità "occidentali", anche in conflittualità reciproca. Chiamare tali forme "orientali" è precisamente spia di quell'orientalismo così ben definito dal già citato Edward Said, anche lui studioso di Foucault, ma allo stesso tempo grande umanista, irreprensibile professore di lettere, progressista moderato, instancabile difensore del dato storico, essere umano razionale e ragionevole se mai ce ne furono. Ecco, immagino che la mia prima obiezione possa essere riassunta così: un gioco orientalista non potrà mai essere un "inno all'uguaglianza" - a meno che non sia un'ugualgianza alla Marchese Del Grillo, dove "noi semo noi, e gli altri... gli altri non so' un -"
un gioco orientalista.
ok
Puoi leggere l'articolo di Rael che ho linkato e decidere da te se la definizione è peregrina.
Conosco bene, purtroppo, Foucault e in generale il post modernismo e tutte le idee che da esso sono derivate. Come altre, sono teorie filosofiche che ora vanno per la maggiore e dominano il pensiero comune, anche oltre gli orizzonti che Foucault e altri si erano proposti. Personalmente le trovo ben poco condivisibili e soprattutto foriere più di danni che di progressi. Ma toccherà aspettare qualche nuova corrente filosofica forte, per vederle superate.
Perdonami Agzaroth temo che abbiamo due diverse concezioni di cosa significhi "conoscere bene" un autore. Io dopo essermi letto una decina di suoi libri e una quantità imprecisata di articoli accademici dedicati alla sua opera mi spingerei al massimo a dire che lo "conosco a grandi linee". Quello che però posso dire, è che usare il termine-ombrello "postmodernismo" in riferimento alla sua influenza sugli studi culturali post-coloniali (o sui femminismi di terza ondata, o sul new historicism, etc.), sarebbe considerata da molt3 un'ottima marca del fatto di NON conoscerne bene il pensiero. Comunque non è questo il punto. Il punto potrebbe invece essere la necessità di non ridurre a un unico calderone alcune manifestazioni ingenue/irritanti di ciò che viene spregiativamente chiamato wokeism, tipo la cancel-culture più becera, con le istanze invece assai cogenti (e imbarazzanti per ogni pretesa universalizzante post-illuminista, tanto di stampo progressista quanto conservatore) della critica post-coloniale, raggruppandole appunto sotto un unico termine-ombrello più o meno spauracchio. Non si buttano i bambini con l'acqua torbida.
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