A Handful of Stars è un gioco di Martin Wallace uscito nel 2017, terzo della trilogia del deck-building, iniziata con Pochi acri di neve (2011) e proseguita con Mythotopia (2014). Volendo si può aggiungere un quarto titolo (Lincoln, 2018), facendola diventare così una tetralogia, anche se in quest'ultimo caso la meccanica è più quella di decostruzione del mazzo.
È anche l'ultima uscita della Treefrog Games, casa editrice fondata e condotta dallo stesso Wallace, con alti e bassi nel corso della sua produzione.
Molti di voi avranno sicuramente sentito parlare di Pochi acri di neve, sia perché vincitore della categoria per due giocatori dell'International Gamers Award, sia perché al centro di una polemica sulla strategia dominante per il giocatore inglese, della prima edizione.
Pochi ricorderanno invece Mythotopia, il successivo gioco a sfondo fantasy. Forse qualcuno di più Lincoln, che pure ebbe un discreto successo. Sicuramente pochissimi hanno presente questo A Handful of Stars, se non come appunto “il terzo della trilogia di Pochi Acri di Neve”. Me compreso, intendiamoci.
Fatto sta che a Modena Play 2021, Cole Wehrle, ospite di Play e della Tana dei Goblin in quanto vincitore del Goblin Magnifico 2019 con Root, a una delle cene fatte mi parla di un sacco di giochi validi, per alcuni dei quali lo maledico ancora visto che sono introvabili e costosissimi (e segretissimi, tanto che non ve li dico). Tra questi c'è A Handful of Stars, che mi descrive come assolutamente riuscito e il più valido della serie concepita da Wallace, tanto che il suo stupore si indirizzava tutto al fatto che non fosse così conosciuto o ristampato.
Ora, premesso che
una della cause della poca diffusione odierna è proprio la scarsità di pezzi e il conseguente prezzo alto, cerchiamo di individuare i perché dello scarso successo commerciale e di pubblico
al momento dell'uscita:
La colpa di Pochi acri di neve
Il Bug di Pochi acri di neve è uno dei più noti e fastidiosi degli ultimi anni. Un baco che tra l'altro ho provato sulla mia pelle, sia da parte inglese che francese. Senza starvi qui a tediare tutta la storia, nella seconda edizione Wallace ci mette una pezza, ma ormai il danno è fatto: è stato prodotto un gioco con un palese squilibrio e questo getta un'ombra su tutti i seguenti a lui collegati.
La trilogia non inizia nel migliore dei modi.
La colpa di Mythotopia
Mythtotopia cerca di evitare il ripetersi degli errori del titolo precedente, cambiando le carte in tavola e le posizioni a ogni partita. In questo riesce, nel resto molto meno. Un po' perché a quanto pare un'ambientazione
fantasy non è così congeniale a Wallace (vedi anche
Wildlands), un po' perché il gioco pare quasi un prototipo, sia dal punto di vista estetico, che del
gameplay.
In pratica il passo successivo all'interno della trilogia fa pensare che Wallace, passata la novità della meccanica base e allontanatosi dal terreno storico a lui più affine, abbia esaurito le risorse.
La colpa di Lincoln
Se uno avesse avuto l'idea, dopo Lincoln, di recuperare qualche altro titolo della stessa tetralogia, si sarebbe trovato di fronte a un gioco che in fase di campagna di lancio aveva un altro Bug, stavolta scoperto da MarcoOmnigamer, uno dei recensori a cui era stato mandato in anteprima.
Anche qui, è stato posto rimedio prima del completamento del gioco e Lincoln è un titolo assolutamente valido... ma non una buona pubblicità retroattiva.
Il tema spaziale
Wallace è famoso per la sua accuratezza storica, per come riesce a riprodurre un'ambientazione reale nei giochi da tavolo, senza mai complicare troppo le cose.
Qui si spinge in un campo non propriamente suo, che non riesce probabilmente a far brillare abbastanza dal punto di vista tematico, creando razze tra il serio e il ridicolo, sparpagliando imperi a caso per galassie casuali, liofilizzando il tutto al servizio della meccanica.
L'aspetto agghiacciante
Non contribuisce nemmeno l'estetica. Se per un
wargame o comunque un gioco storico, i giocatori sono anche disposti a materiali e grafica spartana, per ambientazioni
fantasy e
sci-fi si hanno maggiori esigenze.
A parte i soliti inguardabili esagoni viola per i punti, è tutto l'insieme che non solo non è accattivante, ma a tratti proprio poco piacevole e poco comodo, con toni scuri e un tabellone davvero elementare.
L'ultimo dei giochi Treefrog Games
Anche la chiusura della casa editrice proprio a ridosso di quest'ultimo titolo non ha contribuito alla sua diffusione e pubblicità.
C'era sicuramente più interesse a capire il futuro di Wallace, che non a provare l'ultima uscita di una trilogia targata Treefrog: difficile pensare che proprio in chiusura si pubblichi un gran gioco.
Conclusione
Intendiamoci, non è un capolavoro nemmeno A Handful of Stars.
Se cercate quelli, di Wallace dovete recuperare almeno tre giochi: Brass, Age of Steam e Automobile.
Però è un gioco onesto e piacevole, superiore alla media e in cui si vede l'evoluzione del suo design, all'interno della trilogia che voleva creare.