Non mi riesce trovare le parole giuste per far capire quel che intendo... via, ci provo con un esmepio pratico:
Io sono un game designer sto progettando D&D 3. Creo la lista delle possibili azioni in combattimento. Poi testo il gioco, e lo trovo appagante. Mi chiedo però come potrebbe entrare la psicologia in questo sistema, e mi rispondo: "Bhe, sarà messa dai giocatori, io do solo le regole di risoluzione... se il personaggio avrà paura del msotro si metterà in difesa totale, se non ha paura del mostor lo carica e gliele da di santa ragione... non voglio certo mettemri a far regole su come i personaggi debbono pensarla, ma solo per come risolvere quello ceh fisicamente faranno".
Poi do il gioco ai playtester, e ne ricevo i feedback. C'è Tizio che dice:
"Ciao, ho provato il gioco in beta e mi è sembrato molto povero a livello interpretativo... ciò un sacco di regole per il combattimento, ma nulla che mi regolasse la mia paura del nemico, il mio odio nei suoi confronti... nulla! Il gioco è una scazzottata all'ultimo respiro, non c'è verso di giocarlo in altro modo".
Al che, io game desgner strabuzzo gli occhi.... ma come? Il giocatore non entra dunque nella prospettiva di Sir Drakenbolt Longfangs, armato di Spada e Scudo, scosso per la recente perdita della figlia, che si trova un terribile occhio fluttuante e mostruoso, che sembra l'immagine del male puro e che trasuda una potenza inarrestabile?? Il giocatore vede solo una sagoma sulla mappa, un ammontare di Punti Ferita ostili protetti da una CA da superare e in grado di castare incantesimi con una frequenza di 1 a round? Ma io ho scritto tutto quello solo per semplificare l'atto pratico di menare il beholder e vedere quanti colpi gli ci sarebbero voluti!
Ecco, secondo me per il game designer tutto quanto era estraneo alle regole era semplicemente una cosa troppo personale e soggettiva per dover essere razionalizzata, contemplata in ogni caso.
Sir Drakenbolt avrebbe avuto un -2 a tutti i tiri per colpire se avesse fallito una VOlontà contro i Dadi Vita del Beholder, avrebbe potuto dire il Master del personaggio del feedback. Era una meccanica che il game designer, personalmente, avrebbe effettuato per caratterizzare l'aspetto ancor più spaventoso del beholder. Il vedere invece che il giocatore si limita ad applicare meccanicamente la "pappa scodellata" che ha trovato nel manuale lo intristisce: non voleva creare un boardgame, ma un gioco dove un giocatore avesse mille e mille cose da dire e da fare, prima di ricorrere alle regole, che hanno il solo scopo di comprovare la realtà oggettiva, all'atto pratico. Sconsolato, rimanda la mail al playtester suggerendogli di fare il TS Volontà quando vede il beholder, con un -2 per via del morale gà a terra.
Giunge la risposta del playtester: "Ma come, devo inventarmi le regole?? Dopo che avrò un gioco comprato devo pure stare a creare mille eccezioni per ogni cosa succeda?"
Al che, il game designer comprende che il giocatore non è riuscito a comprendere quel che voleva trasmettergli, ossia che le regole dovevano essere solo uno strumento per navigare ed esplorare la fantasia, e una volta padroneggiato era da adeguare ad ogni situazione creando varianti, peculiarità e sfumature che sono infinite e ovviamente impossibili da catalogare. E di tale libertà, il giocatore ne fa addirittura una colpa: il gioco è MANCANTE. Quando il designer pensava specificamente: "questa cosa io non ho il potere di regolizzarla, o castro la fantasia".
Ecco secondo me dove sta l'imcomprensione con reali intenti del gioco e messa in pratica di alcuni gruppi. Il playtester che vede lo scheletro del gioco lo ritiene mancante (giustamente), mentre quello che coglie la sottigliezza e gioca arricchendo ogni cosa prima di arrivare all'osso (cioè il momento di tirare il dado) si sente di padroneggiare uno struemnto efficace per rappresentare tutto e il contrario di tutto, come il game designer voleva. Poco gli importa che se lui descriva o no, aggiunga o no dettagli e colore il risultato sarà sempre e solo quel freddo lancio del dado: lui e il suo gruppo hanno reso quel tiro qualcosa di speciale, che è di per sè pura meccanica, ma è ricca di trama e fiction solo se trama e fiction gli vengono caricati dall'immaginario, come il game designer voleva.
Secondo me funziona così il D20 System. E in alcuni casi il "messaggio" è passato, il altri meno, in altri ancora per nulla. E anche dove è passato, comunque è stato lecito dire: "ok, ma così non mi piace". Però a volte non è proprio passato, e si è detto "ok, così non mi paice", senza sapere che non era "così", ma "cosà" che andava fatto.
Colpa del designer che non l'ha scrito a lettere cubitali? Magari no, perchè magari qualcuno non ha recepito il messaggio ma gli è piaciuto lo stesso che fosse in quel modo, anzi amgari gli è piaciuto proprio perchè quel messaggio non l'ha colto e ha applicato solo le regole nude e crude divertendosi per una vita. O divertendosi per un bel po'.
Spero di aver spiegato un pochino meglio come la penso, mi accorgo che non è facile scrivere di certe cose di "feeling"....