Il libro che sto leggendo...

Elijah

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Qualche tempo fa ho concluso il seguente libro:

Grinta. Il potere della passione e della perseveranza di Angela Duckworth.

Ho sempre avuto una certa allergia nei confronti di chi dà troppo peso al talento. La Duckworth, assieme a diversi altri (ad esempio Talent is Overrated di Geoff Colvin, Peak: Secrets from the New Science of Expertise di Anders Ericsson), dimostra come in realtà la perseveranza ha un peso ben maggiore nella riuscita delle cose nella vita rispetto al talento fine a se stesso.

Alcuni spunti interessanti:

"Cio che riusciamo a realizzare dipende più dalla passione e dalla perserveranza che da un talento innato." (p. 6)

"La cosa che conta è l'atteggiamento di chi 'non si arrende'." (p. 15)

"Alcuni sono bravissimi finché le cose vanno bene, ma appena si mettono male crollano. Le vere persone di successo sono gente che non molla." (p. 15)

"Il talento di un candidato non dice assolutamente nulla sulla sua pervicacia a superare le difficoltà." (p. 17)

"Il talento dipende dal patrimonio genetico, alcuni di noi nascono con un buon orecchio musicale, con i geni giusti per tirare a canestro o per risolvere equazioni matematiche, ma, al contrario di ciò che si crede, nessun talento è interamente ereditario. Lo sviluppo di qualunque abilità dipende in maniera decisiva anche dall'esperienza." (p. 86)

Da uno studio effettuato su coppie di gemelli, è emerso che la perserveranza ha un livello di ereditarietà del 37%, la passione del 20%. Il resto dipende dall'esperienza vissuta.

"Se c'è una cosa che ti aiuta a diventare più bravo è giocare con chi è un po' più bravo di te." (p. 90)

"L'intensità della passione e della perseveranza dipende dal clima culturale in cui siamo cresciuti. Aumenta con il crescere dell'età. [...] La grinta non è una qualità fissa." (p. 95)

"Si può imparare come scoprire, sviluppare e approfondire un interesse, si può acquisire l'abitudine della disciplina, così come è possibile coltivare il senso di una meta nella vita e imparare a nutrire la speranza. In sostanza, è possibile sviluppare la grinta partendo dal proprio interno." (p. 98)

"Complessivamente, su scala mondiale, appena il 13% degli adulti si dichiara 'impegnato' nel lavoro. Sono pochissime le persone che hanno la fortuna di amare quello che si trovano a fare per guadagnarsi da vivere." (p. 104)

"La passione per il proprio lavoro è un pizzico di scoperta, seguita da un lungo sviluppo e da una vita intera di approfondimento." (p. 109)

"La noia, dopo essersi applicati per qualche tempo a una cosa, è un'emozione molto naturale. Tutti gli esseri umani, fin dalla prima infanzia, distolgono lo sguardo dalle cose che hanno già visto e si rivolgono con interesse a cose nuove e sorprendenti. L'interesse è suscitato automanticamente da ciò che è inatteso e diverso. Siamo per natura attratti dalle novità.
Se è vero che stancarsi delle cose dopo qualche tempo è una reazione comune, non è però inevitabile." (p. 118)

"Per un principiante è nuovo ciò che non ha mai incontrato prima, mentre per l'esperto la novità sono le sfumature." (p. 120)

"I più grintosi fanno più pratica deliberata e hanno più esperienze di flusso." (p. 136)

"Quello che conta non è sfiancarsi impiegando la forza bruta, ma un allenamento di alta qualità, mirato a obiettivi ragionati, al massimo qualche ora al giorno". (p. 142)

"Cercare di fare cose che ancora non riescono, fallire e imparare a correggere l'errore è esattamente ciò che fanno coloro che diventeranno degli esperti. [...] La frustrazione è normale durante il processo di apprendimento." (p. 143)

"Solo una minoranza considera il proprio lavoro una vocazione". (p. 153)

"Una vocazione non è qualcosa di già formato che devi semplicemente trovare. È una cosa molto più dinamica. [...] Lo stesso individuo, facendo sempre lo stesso lavoro, può considerarlo in momenti diversi come un mestiere, una carriera o una vocazione." (pp. 156-157)

"Non è la sofferenza a indurre un senso d'impotenza e disperazione, ma il fatto di non avere alcun controllo sul dolore." (p. 174)

Mentalità fissa vs. mentalità di crescita: "Alcuni di noi sono profondamente convinti che le persone possano davvero cambiare. Ritengono, per esempio, che sia possibile diventare più brillanti, se si incontrano le occasioni giuste e un sostegno adeguato, se ci si impegna abbastanza e se si crede di potercela fare. Altri pensano invece che il talento innato, non si possa educare. Il problema con questa mentalità fissa è che nessuna strada è priva di ostacoli e, al primo cozzo, una mentalità del genere diventa un grave difetto." (p. 182)



"L'intelligenza, come ogni altro talento, può migliorare con l'impegno" (p. 194).

"Esistono innumerevoli studi che dimostrano che i ragazzi più impegnati in attività fuori programma se la cavano meglio in quasi tutti gli aspetti misurabili: voti scolastici, autostima, condotta ecc." (p. 227)

"Ciò vale solo se l'attività è stata praticata per almeno due anni". (p. 228)

"L'associazione fra duro lavoro e ricompensa si può apprendere: senza la diretta esperienza del nesso esistente fra impegno e gratificazione tutti gli animali, uomo compreso, tendono a regredire nella pigrizia." (p. 242)


In definitiva, è stato un libro che ho letto con molto interesse e mi ha dato tanti spunti positivi su cui riflettere e soprattutto agire in futuro.
 

Tullaris

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Grinta. Il potere della passione e della perseveranza di Angela Duckworth.

Ho sempre avuto una certa allergia nei confronti di chi dà troppo peso al talento. La Duckworth, assieme a diversi altri (ad esempio Talent is Overrated di Geoff Colvin, Peak: Secrets from the New Science of Expertise di Anders Ericsson), dimostra come in realtà la perseveranza ha un peso ben maggiore nella riuscita delle cose nella vita rispetto al talento fine a se stesso.

Alcuni spunti interessanti:

"Cio che riusciamo a realizzare dipende più dalla passione e dalla perserveranza che da un talento innato." (p. 6)

"La cosa che conta è l'atteggiamento di chi 'non si arrende'." (p. 15)

"Alcuni sono bravissimi finché le cose vanno bene, ma appena si mettono male crollano. Le vere persone di successo sono gente che non molla." (p. 15)

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"Il talento dipende dal patrimonio genetico, alcuni di noi nascono con un buon orecchio musicale, con i geni giusti per tirare a canestro o per risolvere equazioni matematiche, ma, al contrario di ciò che si crede, nessun talento è interamente ereditario. Lo sviluppo di qualunque abilità dipende in maniera decisiva anche dall'esperienza." (p. 86)

Da uno studio effettuato su coppie di gemelli, è emerso che la perserveranza ha un livello di ereditarietà del 37%, la passione del 20%. Il resto dipende dall'esperienza vissuta.

"Se c'è una cosa che ti aiuta a diventare più bravo è giocare con chi è un po' più bravo di te." (p. 90)

"L'intensità della passione e della perseveranza dipende dal clima culturale in cui siamo cresciuti. Aumenta con il crescere dell'età. [...] La grinta non è una qualità fissa." (p. 95)

"Si può imparare come scoprire, sviluppare e approfondire un interesse, si può acquisire l'abitudine della disciplina, così come è possibile coltivare il senso di una meta nella vita e imparare a nutrire la speranza. In sostanza, è possibile sviluppare la grinta partendo dal proprio interno." (p. 98)

"Complessivamente, su scala mondiale, appena il 13% degli adulti si dichiara 'impegnato' nel lavoro. Sono pochissime le persone che hanno la fortuna di amare quello che si trovano a fare per guadagnarsi da vivere." (p. 104)

"La passione per il proprio lavoro è un pizzico di scoperta, seguita da un lungo sviluppo e da una vita intera di approfondimento." (p. 109)

"La noia, dopo essersi applicati per qualche tempo a una cosa, è un'emozione molto naturale. Tutti gli esseri umani, fin dalla prima infanzia, distolgono lo sguardo dalle cose che hanno già visto e si rivolgono con interesse a cose nuove e sorprendenti. L'interesse è suscitato automanticamente da ciò che è inatteso e diverso. Siamo per natura attratti dalle novità.
Se è vero che stancarsi delle cose dopo qualche tempo è una reazione comune, non è però inevitabile." (p. 118)

"Per un principiante è nuovo ciò che non ha mai incontrato prima, mentre per l'esperto la novità sono le sfumature." (p. 120)

"I più grintosi fanno più pratica deliberata e hanno più esperienze di flusso." (p. 136)

"Quello che conta non è sfiancarsi impiegando la forza bruta, ma un allenamento di alta qualità, mirato a obiettivi ragionati, al massimo qualche ora al giorno". (p. 142)

"Cercare di fare cose che ancora non riescono, fallire e imparare a correggere l'errore è esattamente ciò che fanno coloro che diventeranno degli esperti. [...] La frustrazione è normale durante il processo di apprendimento." (p. 143)

"Solo una minoranza considera il proprio lavoro una vocazione". (p. 153)

"Una vocazione non è qualcosa di già formato che devi semplicemente trovare. È una cosa molto più dinamica. [...] Lo stesso individuo, facendo sempre lo stesso lavoro, può considerarlo in momenti diversi come un mestiere, una carriera o una vocazione." (pp. 156-157)

"Non è la sofferenza a indurre un senso d'impotenza e disperazione, ma il fatto di non avere alcun controllo sul dolore." (p. 174)

Mentalità fissa vs. mentalità di crescita: "Alcuni di noi sono profondamente convinti che le persone possano davvero cambiare. Ritengono, per esempio, che sia possibile diventare più brillanti, se si incontrano le occasioni giuste e un sostegno adeguato, se ci si impegna abbastanza e se si crede di potercela fare. Altri pensano invece che il talento innato, non si possa educare. Il problema con questa mentalità fissa è che nessuna strada è priva di ostacoli e, al primo cozzo, una mentalità del genere diventa un grave difetto." (p. 182)



"L'intelligenza, come ogni altro talento, può migliorare con l'impegno" (p. 194).

"Esistono innumerevoli studi che dimostrano che i ragazzi più impegnati in attività fuori programma se la cavano meglio in quasi tutti gli aspetti misurabili: voti scolastici, autostima, condotta ecc." (p. 227)

"Ciò vale solo se l'attività è stata praticata per almeno due anni". (p. 228)

"L'associazione fra duro lavoro e ricompensa si può apprendere: senza la diretta esperienza del nesso esistente fra impegno e gratificazione tutti gli animali, uomo compreso, tendono a regredire nella pigrizia." (p. 242)


In definitiva, è stato un libro che ho letto con molto interesse e mi ha dato tanti spunti positivi su cui riflettere e soprattutto agire in futuro.
Interessante.
Ci sono frasi che condivido e altre meno.
Se è vero che il talento, senza costanza ed applicazione non produce nulla, è vero anche il contrario.
Io potrei allenarmi 10 ore al giorno a suonare uno strumento, oppure a giocare a calcio, e non riuscirei comunque a concludere nulla di sensato.
 

Tullaris

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Dato che lo hanno dato da leggere a mio figlio a scuola, ne ho approfittato per leggerlo anche io: La stella di Andra e Tati.
9788851176792_0_536_0_75.jpg
Libro per bambini, raccontato da bambini, ma che narra tutto l'orrore della Seconda guerra mondiale e della shoah senza essere troppo esplicito, ma facendo capire comunque molto bene cosa è successo e cosa ha significato.
Credo una lettura interessante per i più piccoli.
 

Epaminondas

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La città e la città di China Miéville.
Premesso che non mi piace il genere urban fantasy, questo romanzo lo consiglio comunque, mi sta piacendo parecchio: originale, quasi surreale, profondo senza essere didascalico, a tratti spiazzante.
Mi pento di non aver conosciuto questo autore prima. Dovrò leggere altro di suo, in futuro. Tempo permettendo.
 

Elijah

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Interessante.
Ci sono frasi che condivido e altre meno.
Se è vero che il talento, senza costanza ed applicazione non produce nulla, è vero anche il contrario.
Io potrei allenarmi 10 ore al giorno a suonare uno strumento, oppure a giocare a calcio, e non riuscirei comunque a concludere nulla di sensato.

Ciao,
eccomi. È da qualche giorno che non sono in formissima (raffreddamento) e quindi non sono riuscito ad aggiungere un commento personale alle varie citazioni fatte, cosa che era mia intenzione fare in origine.

Iniziamo da una premessa importantissima: tra le competenze trasversali che ho sviluppato, quella che mi sta più a cuore è il pensiero critico e riflessivo.

Stimo tantissimo Siddarta Gautama, anche se non sono buddista, per il semplice motivo che probabilmente sosteneva cose di questo genere:

"Le mie parole, o monaci, debbono essere verificate ed accettate dai savi così come l'oro, che viene riscaldato, spezzettato e provato, non certo per reverenza verso di me."

Non ha alcun senso ascoltare qualcuno, leggere qualcosa, in modo a-critico e senza porsi domande. Questo vale per qualsiasi fonte. Io l'ho fatto anche con la Parola di Dio e vale ovviamente anche per Angela Duckworth. In ambito accademico difficilmente c'è unanimità tra gli studiosi. Ciò può lasciare spiazzati, ma dato che il metodo scientifico si basa su ipotesi, è normale che sia così.

Ciò che non mi piace del discorso dei talenti, lo esprime bene Mario Polito riprendendo le idee di Geoff Calvin:
"È sbagliato presentare i talenti come il risultato di qualcosa di magico, misterioso, indecifrabile. Il talento è essenzialmente sforzo, fatica, sudore, impegno, 'esercizio intenzionale', cioè focalizzato allo scopo e sostenuto dal metodo e dall'autodisciplina."
(Mario Polito, Realizza i tuoi talenti. Per regalare il tuo contribuito al mondo, pp. 8-9)

Il libro di Angela Duckworth è pieno di esempi concreti, in classico stile americano, che non ho citato.

Una delle storie raccontate è la seguente:

"Secondo The war for talent (tesi principale: le imprese ascendono e cadono a seconda della loro capacità di attrarre e mantenere nella propria squadra i 'giocatori migliori' con doti innate), le imprese che eccellono sono quelle che promuovono aggressivamente i collaboratori più brillanti, mentre con la stessa aggressività eliminano i meno dotati.
[...]
Le imprese citate come esemplari in The war for talent non hanno fatto registrare risultati tanto positivi negli anni successivi alla pubblicazione di quell'entusiastico rapporto."
(Duckworth, p. 37)

"Concentrando i riflettori sul talento, si rischia di lasciare in ombra tutto il resto. Senza volere, comunichiamo il messaggio che altri fattori - compresa la grinta - non abbiano poi tanta importanza." (Duckworth, p. 39)

Uno potrebbe ribattere che però è problematico anche il contrario, ciò far credere che uno ha il potenziale di poter diventare bravo in tutto.

La Duckworth stessa, nel suo libro, afferma l'importanza di scegliere un unico obiettivo e focalizzarsi su quello e basta.

Polito esprime la cosa con queste parole:

"È necessario fare delle scelte, per la semplice ragione che lo sviluppo dei talenti richiede una grande dedizione. Spesso, un coinvolgimento esclusivo e totale."
(Polito, p. 27)

"I genitori affettuosi che si dedicano allo sviluppo dei talenti dei propri figli non li esaltano, ma semplicemente li accompagnano nel percorso concreto della loro realizzazione. Un cammino che è lastricato di difficoltà e ostacoli, di fatica e sudore, di insuccessi e battute di arresto [...].
Non dicono 'Puoi fare tutto'. Punto. Dicono invece: 'Puoi far tutto, (virgola)...' e aggiungono una lunga lista di condizioni concrete. 'Puoi tutto, se ti impegni al massimo, se sai valorizzare il sudore e la fatica, se sai apprezzare lo sforzo, se sai autodisciplinarti, se usi un buon metodo, se rispetti un severo piano di allenamento, se coltivi una forte motivazione, se esprimi una grande volontà di riuscita, se non ti abbatti di fronte alle difficoltà e insuccessi, se hai una grande visione della vita, se ti fai guidare da un grande sogno, se ti vuoi bene, se ami la vita, se vuoi dare un contributo al mondo'.
Si possono distruggere i talenti dei propri figli sia con l'esaltazione irrealistica ('Sei il migliore. Puoi ottenere tutto quello che vuoi. Tutte le strade sono aperte per te. Non ci sono limiti ai tuoi sogni. Sei bravo in tutto. Nessuno può competere con te'), sia con la denigrazione e l'umiliazione ('Non ci riuscirai mai. Non hai le capacità. Non sei dotato. Sei un buono a nulla. Lascia perdere').
Al contrario, le frasi che aiutano i figli a coltivare realisticamente i loro talenti suonano così: 'Prova a fare in quest'altro modo e poi raccontaci come ti sei sentito. Questa è una bella sfida, che ti richiederà molto impegno, ma noi sappiamo che tu ci tieni molto a questo obiettivo. Siamo sicuri che ce la metterai tutta per raggiungerlo'."
(Polito, pp. 42-43)

Coltivare in modo realistico i propri talenti è importante, senza alcun ombra di dubbio. Lavorando io personalmente con i minorenni, trovo tuttavia altrettanto importante avere una mentalità di crescita e credere fermamente nel principio di educabilità.

"Quando alcuni adolescenti fanno una lista dei propri talenti, scoprono spesso di non averne alcuno. Non sono bravi nello sport. A scuola riescono in modo stentato. Nel gruppo di amici non sono dei leader né sono dei brillanti narratori di barzellette. Non suonano la chitarra. Eccetera.
Di fronte a questa panoramica, si abbandona rapidamente la ricerca dei propri talenti. E uno pensa di non averne affatto. Questo succede perché si ha una visione magica dei talenti: si pensa, superficialmente, che i talenti si possiedono fin dalla nascita. Uno li ha o non li ha. Se li possiede, allora tutto facile. Se non li possiede, non c'è niente da fare, nonostante la sua buona volontà.
Quest'idea è deleteria
. Generalmente è enunciata dalle persone presuntuose che desiderano distinguersi dagli altri considerandoli inferiori.
[...]
Alcuni docenti sono convinti che è una perdita di energia istruire chi non ha talento. E poiché il talento è raro, loro si dedicano soltanto ai pochi che ne sono forniti. Sono contrari alla 'scuola di massa', cioè, sono contrari alla scuola per tutti, sono contrari alla scuola per tutti i talenti.
[...]
'Perché sprecare tanto fiato con questi ragazzi che non ce la fanno?' aggiungono altri docenti. 'Perché dimostrare loro che non ci arrivano e, così, offenderli e umiliarli? Poveretti. Togliamo il disturbo. Lasciamoli in pace.'
Nelle scuole del passato questi docenti erano molto numerosi ed erano tranquilli nella loro coscienza di dover seguire soltanto quel gruppetto di ragazzi dotati e trascurare e abbandonare gli altri.
Molti docenti, ancora oggi, confondono talento e genialità.
La genialità è veramente rara, ma il talento è stato distribuito a tutti, basta dedicare del tempo e scoprirlo e a coltivarlo."
(Polito, pp. 65-66)

La situazione descritta da Mario Polito è a dir poco allarmante. Questo non sentirsi capaci, soprattutto in età giovane, può essere molto problematico.

"A originare la 'antipatia' o 'idiosincrasia' per una specifica disciplina possono concorrere diversi fattori. Alcuni riguardano le percezioni di abilità (considerarsi 'non bravi', pensare di non poter migliorare, credere di 'non essere portati', non capire, avere conseguito ripetuti esiti negativi...), altri il valore ovvero l'importanza e l'utilità assegnata alla materia (credere che 'non serva nella vita' o non condividere le ragioni per cui va studiata)".
(Angelica Moè, Il piacere di imparare e di insegnare. Pensieri, ambienti e persone motivanti, p. 77)

"Gli adulti adottano due prospettive fondamentali sull'abilità: la prospettiva entitaria e la prospettiva incrementale. La prospettiva entitaria dell'abilità assume che l'abilità sia un tratto stabile e incontrollabile, una caratteristica dell'individuo che non può essere cambiata. Secondo questa visione, alcune persone hanno un'abilità maggiore di altre, ma ognuna ne possiede una quantità predefinita. La prospettiva incrementale dell'abilità, d'altra parte, suggerisce che quest'ultima sia un tratto instabile e non controllabile: 'un repertorio in continua espansione di competenze e conoscenze'. Attraverso il duro lavoro, lo studio e la pratica, la conoscenza può essere incrementata e pertanto l'abilità può migliorare.
[...]
Gli studenti con una prospettiva entitaria (immodificabile) dell'intelligenza tendono a definire obiettivi che evitano la prestazione, per non dare una cattiva immagine di sé agli occhi degli altri. Cercano situazioni in cui possano sembrare intelligenti e proteggere la propria autostima. Continuano a fare cose che sanno fare bene, senza profendere sforzi eccessivi o rischiare il fallimento: entrambe le cose infatti - lavorare sodo e fallire - indicano (per loro) un'abilità inferiore. Lavorare sodo e fallire sarebbe una catastrofe. La prospettiva entitaria ha maggiori probabilità di essere assunta dagli studenti con disturbi dell'apprendimento.
Per contro, una visione incrementale dell'abilità è associata a maggiore motivazione e apprendimento. Credere di poter migliorare le proprie capacità aiuta a concentrarsi sui processi di problem solving e sull'applicazione di buone strategie, anziché sui prodotti dei risultati e dei voti nelle verifiche. Il fallimento non è una catastrofe: indica semplicemente che è necessario lavorare di più."
(Anita Woolfolk, Psicologia dell'educazione. Teorie, metodi, strumenti, pp. 295-296)

Come docente, avere una prospettiva incrementale dell'abilità, credere fermamente nel principio dell'educabilità, dare più importanza all'impegno che al talento, concepire il talento non come qualcosa di magico ma come qualcosa di realizzabile da tutti, trovo che sia di fondamentale importanza.

Poi, per star bene con sé stessi, come afferma Mario Polito, ha senso focalizzarsi e coltivare talenti che ci riescono più facilmente. Ma io resto e resterò sempre molto affascinato da tutte quelle persone che hanno deciso di dedicarsi anima e corpo in qualcosa che non li riusciva subito facilmente, eppure sono diventati molto bravi, dedicando tanto tempo, sforzo, passione in qualcosa in cui ci tenevano particolarmente (il mondo là fuori è pieno di esempi in tal senso).

 
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@Elijah data la tipologie di letture che fai ti consiglio Mindset di Carol Dweck, uno studio sui due tipi di mentalità, statica e dinamica, i pensieri che ne nascono e le azioni che si intraprendono.
 

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@Elijah data la tipologie di letture che fai ti consiglio Mindset di Carol Dweck, uno studio sui due tipi di mentalità, statica e dinamica, i pensieri che ne nascono e le azioni che si intraprendono.

Indeed! C'era un video di Huberman che parlava della Dweck che volevo aggiungere al mio post precedente. Dopo qualche ora l'ho trovato. L'ho aggiunto poco prima del tuo messaggio. :)

Tra l'altro, guardando tra le ultime pubblicazioni della Duckworth, c'è un articolo dal titolo molto in linea con il mio pensiero attuale:
The trouble with talent: Semantic ambiguity in the workplace

Già solo prendendo Angela Duckworth e Mario Polito (i due che ho citato maggiormente), salta subito all'occhio come il significato che danno al termine talento sia diverso. E questo è un problema.
 
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Tullaris

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Considerazioni sempre molto interessanti, me le segno.
Quello che intendevo dire, da profano dell'argomento, è che va bene l'impegno e la costanza, ma per raggiungere determinati obiettivi è necessario anche avere delle predisposizioni in certe caratteristiche.
Come dicevo, se mi mettessi tutti i giorni a provare musica diventerei sicuramente più bravo di adesso, e magari più bravo di altri, ma non potrei raggiungere i livelli di chi per certe cose è già portato.
Concordo che il termine talento può essere usato con accezioni diverse.
 

Granella Di Pistacchio

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@Tullaris ti consiglio di leggere qualche libro sull'argomento ... alla fine scopri che la parola "talento" è più un autoinganno che un elemento determinante. Impegno, costanza, passione, ecc. sono più importanti e non puoi sapere in anticipo quali traguardi raggiungerai nel tempo se ti applichi in una data attività.
 

Tullaris

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@Tullaris ti consiglio di leggere qualche libro sull'argomento ... alla fine scopri che la parola "talento" è più un autoinganno che un elemento determinante. Impegno, costanza, passione, ecc. sono più importanti e non puoi sapere in anticipo quali traguardi raggiungerai nel tempo se ti applichi in una data attività.
Guarda, a parte che il tempo è tiranno, il concetto che volevo esprimere è questo: Io sono stonato. Con la partica e l'allenamento potrei migliorare? Cercamente. Potrei vincere Sanremo? Assolutamente no.
 

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Ricordo di aver seguito una conferenza di un esperto che studia la crescita dei bambini e sosteneva che certe "porte" si chiudono molto presto, ad esempio la propensione alla musica è qualcosa che va allenata fin dai primi anni di vita. Questo per dire che forse quello che definiamo "talento" è frutto di un allenamento precoce, quindi da una parte condivido il discorso su abilità e pratica, però effettivamente non sempre si può agire per migliorare determinati aspetti in età avanzata, o meglio, lo si può fare ma non con gli stessi risultati che si conseguirebbero se si intervenisse prima.
Inoltre ricordo un altro discorso interessante sulla poca utilità di standardizzare gli obiettivi degli allievi, quando probabilmente è meglio assecondare alcune inclinazioni per portarli ad eccellere nei campi per i quali sono veramente portati.
 

ShaNagh

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Inoltre ricordo un altro discorso interessante sulla poca utilità di standardizzare gli obiettivi degli allievi, quando probabilmente è meglio assecondare alcune inclinazioni per portarli ad eccellere nei campi per i quali sono veramente portati.
Concordo pienamente!
Personalmente cerco di utilizzare il mio tempo per sfruttare al meglio le mie capacità, facendo cose in cui sono più bravo/portato, evitando invece le sfide che implicano qualità che non mi appartengono… è un mio limite? Probabilmente si… ma il mio tempo è limitato, e preferisco investirlo in ciò che mi riesce bene e mi da soddisfazione piuttosto che in altro.
Quando si parla di “talento” (good) a me viene sempre in mente la citazione di Match Point di Woody Allen, che contrappone alla fortuna
IMG_0185.jpeg
 

Elijah

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Elijah Six
Ricordo di aver seguito una conferenza di un esperto che studia la crescita dei bambini e sosteneva che certe "porte" si chiudono molto presto, ad esempio la propensione alla musica è qualcosa che va allenata fin dai primi anni di vita. Questo per dire che forse quello che definiamo "talento" è frutto di un allenamento precoce, quindi da una parte condivido il discorso su abilità e pratica, però effettivamente non sempre si può agire per migliorare determinati aspetti in età avanzata, o meglio, lo si può fare ma non con gli stessi risultati che si conseguirebbero se si intervenisse prima.

Quello che fai è un discorso molto presente nella società e tra le persone, soprattutto tra la gente che fa soldi allenando bambini.
Il rischio bias è evidente. :) Come chi vende vino parlerà bene del vino (dagli studi più recenti purtroppo è emerso che l'alcol fa male anche in minime dosi) e chi vende carne parlerà bene della carne (anche qui, purtroppo, negli ultimi anni è emerso che ad esempio la carne lavorata e gli insaccati sono cancerogeni di tipo 1 [alla pari del fumo], quindi sarebbe meglio ad esempio non mangiare più alcun tipo di affettato), chi svolge corsi con bambini parlerà dei benefici di iniziare le attività da molto giovani (poi se è realmente così o uno fa certi discorsi solo per fare ancora più soldi, bisognerebbe approfondirlo).

Mi ricordo ancora quando a 20 anni decisi di iniziare a giocare a badminton, senza avere esperienze pregresse in merito. All'inizio mi fecero proprio il discorso che hai fatto tu: è troppo tardi alla tua età per iniziare, certe cose devi impararle quando sei più piccolo.

Io ho tirato avanti per la mia strada e nel giro di due anni ero in grado di giocare contro top player a livello svizzero. Sia chiaro, non sono diventato un fenomeno, ma sono stato in grado di arrivare a padroneggiare il badminton e giocare in modo soddisfacente.

Se è vero che il fisico e la mente raggiungono l'apice a una determinata età, è altrettanto vero che a qualsiasi età (anche con 40, 50, 60 anni) si può iniziare un percorso di crescita in un determinato ambito, se uno ha voglia e interesse.


Inoltre ricordo un altro discorso interessante sulla poca utilità di standardizzare gli obiettivi degli allievi, quando probabilmente è meglio assecondare alcune inclinazioni per portarli ad eccellere nei campi per i quali sono veramente portati.

Sì, in effetti la nostra società ha raggiunto alti livelli di abbondanza puntando molto se non tutto sulla specializzazione dei lavoratori. Ogni individuo si specializza e diventa esperto in un ambito e poi tramite i soldi uno può acquistare i beni necessari per campare.

Ciò che trovo allarmante è il numero sempre più grande di bullsh*t jobs nella nostra società (dobbiamo veramente lavorare tutti così tanto come ci dicono o è una mera convenzione modificabile?) e quante persone non si sentono realizzate nel fare ciò che fanno (si parla fino del 90% in certi sondaggi).

Il meccanismo ahimè sta scricchiolando forte forte e non vedo vere soluzioni all'orizzonte, se non quella di preparare i pop-corn e di godersi lo spettacolo.
 

odlos

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Quello che fai è un discorso molto presente nella società e tra le persone, soprattutto tra la gente che fa soldi allenando bambini.
Il rischio bias è evidente. :) Come chi vende vino parlerà bene del vino (dagli studi più recenti purtroppo è emerso che l'alcol fa male anche in minime dosi) e chi vende carne parlerà bene della carne (anche qui, purtroppo, negli ultimi anni è emerso che ad esempio la carne lavorata e gli insaccati sono cancerogeni di tipo 1 [alla pari del fumo], quindi sarebbe meglio ad esempio non mangiare più alcun tipo di affettato), chi svolge corsi con bambini parlerà dei benefici di iniziare le attività da molto giovani (poi se è realmente così o uno fa certi discorsi solo per fare ancora più soldi, bisognerebbe approfondirlo).

Mi ricordo ancora quando a 20 anni decisi di iniziare a giocare a badminton, senza avere esperienze pregresse in merito. All'inizio mi fecero proprio il discorso che hai fatto tu: è troppo tardi alla tua età per iniziare, certe cose devi impararle quando sei più piccolo.

Io ho tirato avanti per la mia strada e nel giro di due anni ero in grado di giocare contro top player a livello svizzero. Sia chiaro, non sono diventato un fenomeno, ma sono stato in grado di arrivare a padroneggiare il badminton e giocare in modo soddisfacente.

Se è vero che il fisico e la mente raggiungono l'apice a una determinata età, è altrettanto vero che a qualsiasi età (anche con 40, 50, 60 anni) si può iniziare un percorso di crescita in un determinato ambito, se uno ha voglia e interesse.




Sì, in effetti la nostra società ha raggiunto alti livelli di abbondanza puntando molto se non tutto sulla specializzazione dei lavoratori. Ogni individuo si specializza e diventa esperto in un ambito e poi tramite i soldi uno può acquistare i beni necessari per campare.

Ciò che trovo allarmante è il numero sempre più grande di bullsh*t jobs nella nostra società (dobbiamo veramente lavorare tutti così tanto come ci dicono o è una mera convenzione modificabile?) e quante persone non si sentono realizzate nel fare ciò che fanno (si parla fino del 90% in certi sondaggi).

Il meccanismo ahimè sta scricchiolando forte forte e non vedo vere soluzioni all'orizzonte, se non quella di preparare i pop-corn e di godersi lo spettacolo.

Non capisco fino in fondo il tuo discorso, ma premetto che non ho studiato in maniera approfondita l'argomento, quindi non sono in grado di affrontare il tema in maniera più particolareggiata.
In ogni caso, mi sembra la visione che vada per la maggiore nella nostra società europea sia quella "ibrida", cioè che per eccellere sia necessario sia una buona predisposizione sia l'allenamento, la perserveranza e lo spirito di sacrificio. Anche alcune frasi citate nel tuo intervento precedente non negano l'esistenza del talento (Il talento dipende dal patrimonio genetico, alcuni di noi nascono con un buon orecchio musicale, con i geni giusti per tirare a canestro o per risolvere equazioni matematiche, ma, al contrario di ciò che si crede, nessun talento è interamente ereditario. Lo sviluppo di qualunque abilità dipende in maniera decisiva anche dall'esperienza), semplicemente lo ridefiniscono in funzione anche dell'esperienza (questi concetti non sono così differenti da quanto scrivevo sopra) e in quest'ottica credo le capacità ricettive dell'individuo siano effettivamente diverse in periodi differente della crescita.
La visione ribaltata che mette al centro la volontà e nega il talento è invece molto più di stampo americano (e anche settario), tutto è possibile per l'individuo che si mette d'impegno, chi non riesce nella vita è responsabile dei propri fallimenti (per sostenere il concetto di "merito" è necessario al contempo negare la responsabilitâ di fattori sociali).
Di fatto oggigiorno il fattore principale che impedisce la realizzazione dei propri progetti di vita non è legata a questioni di talento ma è questione di opportunità, sono le condizioni socioeconomiche a mettere le barriere alle persone. Poi possiamo anche stare a parlare quanto vuoi di come la stragrande maggioranza delle persone, per influssi socioculturali, perseguano obiettivi che non saranno in grado di essere fonte di soddisfazione. Con me sfondi una porta aperta, credo fermamente che abbiamo perso di vista le cose importanti e che molte persone si consumino alla ricerca delle cose sbagliate.

Per quanto concerne la non standardizzazione, forse mi hai frainteso, non ha nulla a che fare con la specializzazione. Riguarda la non uniformazione dell'insegnamento, per non ricondurre tutti a una mediana ma per garantire le peculiarità dell'individuo. Ancora oggi si fa fatica a riconoscere certe capacità e si pensa che ci sia solo un tipo d'intelligenza, anzi 2, quella logico-matematica e quella verbale-linguistica, quantificabili con un indicatore come il QI.
 

Elijah

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La visione ribaltata che mette al centro la volontà e nega il talento è invece molto più di stampo americano (e anche settario), tutto è possibile per l'individuo che si mette d'impegno, chi non riesce nella vita è responsabile dei propri fallimenti (per sostenere il concetto di "merito" è necessario al contempo negare la responsabilità di fattori sociali).

Mettere al centro la mentalità di crescita e l'importanza dell'impegno, non significa per forza di cose considerare responsabili dei propri fallimenti chi non ce l'ha fatta, anzi.

Il seguente video in cui si parla del paradosso del successo fa ben capire il perché:


Ciò che non capisco è la mancanza da parte tua di una proposta concreta su come educare le nuove generazioni. John Hattie con le sue meta-analisi in ambito educativo ha mostrato molto chiaramente che la strategia più efficace in assoluto da adottare in ambito educativo è quella di lavorare sulle aspettative che uno studente ha sulle sue capacità di apprendimento. Ergo, lavorare sulla mentalità di crescita e gli stili attributivi è di fondamentale importanza.
Credere di non avere sotto controllo il processo di apprendimento porta a gravissime conseguenze, fino a forme di impotenza acquisita. Personalmente non è qualcosa che augurerei a nessuno. Quindi, non vedo attualmente alternative più convincenti.

Il punto è che anche se è vero che la fortuna è uno dei fattori nel successo, non è qualcosa di utile durante il processo di apprendimento, anzi, è qualcosa di tossico, quando gestito male. È molto meglio credere che se uno fallisce è perché uno non ha adottato le strategie più adeguate e che quindi cambiando modo di fare può ottenere risultati migliori (il tutto sempre ovviamente con il massimo impegno). A posteriori, invece, considerare la fortuna diventa un fattore molto importante da tenere a mente, per evitare di adottare politiche inadeguate.


Di fatto oggigiorno il fattore principale che impedisce la realizzazione dei propri progetti di vita non è legata a questioni di talento ma è questione di opportunità, sono le condizioni socioeconomiche a mettere le barriere alle persone.

Sono perlopiù d'accordo.

È per questo motivo che ultimamente mi sto occupando nel mio tempo libero di educazione finanziaria. E qui arriviamo a uno dei libri che ho letto di recente che ha il potenziale di creare ancora più polarizzazioni (la tematica, non tanto il libro in sé). To be continued...
 
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odlos

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Mettere al centro la mentalità di crescita e l'importanza dell'impegno, non significa per forza di cose considerare responsabili dei propri fallimenti chi non ce l'ha fatta, anzi.

Il seguente video in cui si parla del paradosso del successo fa ben capire il perché:


Ciò che non capisco è la mancanza da parte tua di una proposta concreta su come educare le nuove generazioni. John Hattie con le sue meta-analisi in ambito educativo ha mostrato molto chiaramente che la strategia più efficace in assoluto da adottare in ambito educativo è quella di lavorare sulle aspettative che uno studente ha sulle sue capacità di apprendimento. Ergo, lavorare sulla mentalità di crescita e gli stili attributivi è di fondamentale importanza.
Credere di non avere sotto controllo il processo di apprendimento porta a gravissime conseguenze, fino a forme di impotenza acquisita. Personalmente non è qualcosa che augurerei a nessuno. Quindi, non vedo attualmente alternative più convincenti.

Il punto è che anche se è vero che la fortuna è uno dei fattori nel successo, non è qualcosa di utile durante il processo di apprendimento, anzi, è qualcosa di tossico, quando gestito male. È molto meglio credere che se uno fallisce è perché uno non ha adottato le strategie più adeguate e che quindi cambiando modo di fare può ottenere risultati migliori (il tutto sempre ovviamente con il massimo impegno). A posteriori, invece, considerare la fortuna diventa un fattore molto importante da tenere a mente, per evitare di adottare politiche inadeguate.




Sono perlopiù d'accordo.

È per questo motivo che ultimamente mi sto occupando nel mio tempo libero di educazione finanziaria. E qui arriviamo a uno dei libri che ho letto di recente che ha il potenziale di creare ancora più polarizzazioni (la tematica, non tanto il libro in sé). To be continued...

Argomenti molto interessante, ho apprezzato il video che hai segnalato e anche gli altri spunti di riflessione. Mi risulta però difficile discutere di questo in un forum, anche perché abbiamo inserito più cose che meriterebbero ciascuna un grande approfondimento, magari ne parliamo quando ci vediamo.;)
 

Tullaris

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Ho finito di leggere Gli inganni di Locke Lamora, romanzo fantasy scritto da Scott Lynch.
9788804736189_0_0_464_0_75.jpg
Di fantasy ho trovato abbastanza poco, a parte un Mago dell'Alleanza che appare dopo il primo terzo del libro. E questa è una parte che proprio non mi è piaciuta: sono maghi super potenti, possono fare tutto, sono invincibili, fortissimi. Salvo poi, naturalmente, essere sconfitto. E non c'è nessuna informazioni su come questa magia e questo potere funzionano.
L'ambientazione mi ha ricordato Warhammer: un mondo cupo, pieno di ladri, dark, ingranni, sotterfugi, criminalità.
La storia è anche carina, ma alla fin fine non troppo originale, una vendetta senza troppi colpi di scena.
Ottimo il lavoro di Worldbuilding: emergono le pennelate di una città e di un mondo pensato e descritto nei minimi dettagli, con alcuni punti oscuri lasciati dagli Avi. Ma forse un po' troppo presente e pressante: soprattutto all'inizio si viene sopraffatti da tutti i nomi, luoghi, termini sconosciuti che il libro ti riversa addosso, spiegandoli poi dopo vari capitoli.
Ma la cosa che mi è piaciuta di meno è il fatto che i protagonisti vincono sempre perchè sì, perchè loro sono i protagonisti, quindi anche se affrontano il più forte e invincibile, guarda caso alla fine vincono, subiscono ferite tremende, che tre pagine dopo sono dimenticate.
E ritornarno. E vincono.
Non brutto, ma passo oltre.
 
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