Tema interessante, io boccio e promuovo con molta facilità, però solo se e quando mi trovo difronte a due situazioni per me senza appello; ovvero se il gioco proprio non fa per me (genere opposto ai miei gusti, meccaniche che non mi piacciono, mix che non mi convince, ecc.) oppure se presenta un difetto oggettivo e incontrovertibile tale da farmi andare di traverso tutto il titolo (un ordine di turno mal gestito dove pesa molto ad esempio).
Difficilmente però, se capita, nego una seconda possibilità e sicuramente sono sempre pronto e felice di cambiare opinione su un titolo. Negli anni ne ho cambiate tante di opinioni, tanto per fare un caso eclatante avevo bocciato totalmente l'Oracolo di Delphi perché mi sembrava troppo aleatorio e non rientrava nel mio genere. Sono riuscito a farci altre 2-3 partite e alla fine mi sono ricreduto. Il caso conta ma molto meno di quanto pensassi e l'incastro logistico da ottimizzare mi diverte molto e lo rende tutt'altro che banale.
Anche Mage Knight, pur riconoscendone la bellezza, non mi era piaciuto dopo la prima (incompiuta) partita, ora è uno dei miei giochi referiti. Insomma secondo me dare giudizi è l'anima delle discussioni, è umano ed è inevitabile. L'importante è dare seconde occasioni ed essere sempre disponibili a cambiare idea. :-)
Periodicamente un po’ ovunque, anche tra le pagine di questo sito, il discorso sui vari tipi di giocatori esistenti salta fuori: dal pensatore al chiacchierone, da quello che non ascolta le regole a quello che vuole rifare la sua mossa di due turni prima.
Quello di cui però meno spesso si parla è il giocatore, passatemi il termine, integralista.
Quello che ormai ha così tanta esperienza nei giochi da tavolo che pensa di essere un sommelier del gioco da tavolo, colui il quale non accetta confronti, se per lui quel gioco è orrendo, non c’è dibattito ma è la verità assoluta.
È evidente che, nel giudicare un gioco, qualunque titolo dovrà subire una componente soggettiva dovuta al gusto personale, ma ciò non significa incensarlo più del dovuto se a noi piace, come non può significare distruggerlo solo perché a noi non piace il genere.
Mi spiego meglio con un esempio: Alano Luna è un amante dei dungeon crawler e delle miniature e in una chiacchierata tra amici - ma anche commentando qualche post sui social - dichiara che Tapestry è un gioco brutto e che l’unico gioco ben fatto della Stonemaier Games sia Scythe.
Ora, neanche a me come ambientazione piace trovarmi a mescere il vino o a osservare volatili, ma, se vogliamo valutare in maniera oggettiva, non possiamo dire che Viticulture e Wingspan siano dei giochi pessimi e mal riusciti. Possono non piacere, questo è ovvio, ma da qui a dire che l’unico gioco valido sia Scythe e tutti gli altri siano immondizia ce ne passa.
Nello stesso momento Stefano Campo, German convinto e amante dei piazzamento lavoratori, sta dicendo che Nemesis è un gioco stupido. Anche qui, chi vi scrive è più orientato verso giochi di ragionamento rispetto a quelli influenzati da tanta casualità, ma non posso dire che Nemesis sia un gioco mal riuscito: molto ambientato, particolarmente punitivo, componente collaborazione/competizione ottimamente gestita. Che piaccia o meno il genere, sembra essere proprio un gioco realizzato come si deve.
A volte si perde un po’ l’idea del target che un gioco vuole raggiungere e degli obiettivi che l’autore e l’editore si pongono quando lo pubblicano.
Ma arriviamo al secondo punto della questione: la seconda occasione.
Quanti dei giocatori di cui abbiamo appena parlato concedono una seconda chance a un gioco “brutto”?
Ad oggi, che esce un gioco nuovo al giorno (oh, di più, molti di più), le opportunità di giocare sono già poche di per sé, se si perde tempo anche con giochi che non ci piacciono, finiremo per avere una libreria piena di giochi ancora avvolti nel cellophane che giocheremo forse tra due anni, giusto?
Sbagliato!
Sbagliato perché stiamo forse perdendo il gusto di giocare, il piacere di farlo. In un articolo precedente utilizzai il termine “bulimia ludica”, che è forse un po’ pesante, ma rende l’idea di come oggi abbiamo questa bramosia di provare sempre nuovi titoli, questa fretta di bocciare un titolo dopo mezza partita e di premere quell’enorme pulsante rosso per passare oltre, neanche fossimo a Italia’s Got Talent.
Aggiungerei anche che a volte mi sembra di notare una certa “ipocrisia” tra alcuni di noi.
Mi è capitato in alcune occasioni di rendermi conto di trovarmi di fronte a persone che criticavano componenti o meccaniche, salvo poi comprare giochi proprio con quelle caratteristiche tanto bistrattate. Persone a cui piacciono solo i giochi che comprano loro e dei quali non vedono gli evidenti difetti. Se vogliamo, anche perché “il titolo X mi è costato cento euro, deve essere per forza bello”.
La verità è che questa sempre più vasta scelta non ci permette di approfondire dei titoli che forse meriterebbero più attenzione.
Eccovi alcuni esempi che mi vengono in mente per averli vissuti in prima persona.
Scythe a me non piace, non mi trovo, proprio non è nelle mie corde. Ci ho fatto una decina di partite, solamente in una sono stato competitivo, in tutte le altre sono stato a guardare gli altri che facevano le acrobazie mentre io restavo al palo. Ma tutti osannavano questo gioco e mi sono intestardito nel volerlo provare e riprovare e capire il perché di tanti giudizi positivi. Non ne sono venuto a capo, ma di certo non posso dire che sia un gioco brutto o mal riuscito, assolutamente no. Almeno ci ho provato.
Euphoria mi fa sentire un po’ come gli Alano Luna e Stefano Campo di cui sopra. Un’esperienza davvero traumatica, una partita in sei dove dopo due ore e mezza non avevo ancora idea di cosa stessi facendo e inoltre eravamo arrivati soltanto a metà. Abbandonai il tavolo colmo di un’angoscia che mi ha portato a non provarlo mai più.
Paladini del Regno Occidentale mi dà sensazioni simili a Euphoria, gioco che però ha rappresentato l’eccezione. Ho concesso una seconda possibilità a questo titolo e, nonostante non abbia realizzato un buon punteggio, sono riuscito a capirlo molto meglio, ad apprezzarlo e a rendermi conto che è un gioco valido.
Insomma, una seconda opportunità è d’obbligo per (quasi) tutti i titoli (no, non riproverò Euphoria, almeno per il momento) e bisognerebbe darla mettendo da parte i preconcetti e riscoprendo il piacere di una serata in compagnia ancora prima di pensare a cosa intavoleremo.
Quello che intendo dire è: io a Euphoria ci penso e ci ripenso, soprattutto quando gli amici che lo hanno riprovato ne parlano bene, persino gli insospettabili che insieme a me, quella sera, lo hanno sofferto quanto me o quasi. Lo hanno riprovato in altre situazioni o con un altro gruppo e si sono divertiti. E io ci penso, diavolo se ci penso! Non dico che non ci dormo la notte, ma qualcosa continua a frullarmi nella testa.
Perché non può finire così, perché anche voi “German integralisti” quando giocate ad Arkham Horror e un tiro di dado vi va male e vi rovina la partita, andate a casa imbufaliti pensando cosa sarebbe successo se… E magari la vostra esperienza con quel gioco finisce lì, per sempre.
Ma “io so testardo”, cantava Daniele Silvestri, e nonostante abbia appena scritto che non riproverò quel gioco, già so che prima o poi vorrò togliermi quel dubbio e dare la seconda occasione, così come quel vostro maledetto dado dell’altra sera grida ancora vendetta!
Perciò, Alano e Stefano, mettete da parte il vostro “tastevin” e venite a sedervi tra amici, riacquistate la vostra lucidità, questa sera si rigioca a Nemesis e a Wingspan!