Ieri serata 1vs1.
Si parte con
War Chest della coppia Thompson e Benjamin (già autori della saga Undanted).
Cavalieri, balestrieri, arcieri, spadaccini si contendono la conquista degli otto avamposti sulla mappa che sanciscono la vittoria finale.
Le azioni sono tipiche di una battaglia militare: schierare, muovere, posizionare, reclutare, attaccare.
Si eseguono tramite il bagbuilding, estraendo, da un sacchetto di stoffa, le chips per costituire la truppa più potente.
La prima partita non mi ha appagato appieno: probabilmente avevo altre e
alte aspettative.
Pensavo di trovare qualcosa di più simile agli scacchi con maggiore determinismo e strategie a lungo termine.
Invece, ho trovato un gioco molto tattico, dove ci si deve adattare a ogni pescata dal sacchetto e dove creare una strategia a lungo termine è davvero impossibile.
Sostanzialmente a ogni turno si fa quello che si può, cercando di parare i colpi rispetto a quanto succede nel proprio e nell'altrui sacchetto.
Altro elemento che non ho gradito è la necessitá di avere una conoscenza approfondita di tutte le fazioni per avere un'esperienza completa e appagante.
Le numerose tattiche, alcune delle quali più immediate, altre più articolate, hanno bisogno di tempo per essere assimilate in modo da agire consapevolmente anche in risposta alle mosse dell'avversario.
Il gioco mi è parso, infine, decisamente in balia del caso: una mossa apparentemente innocua può divenire una disfatta per una serie di coincidenze fortunose che possono ostacolare qualsiasi possibilità di risposta e contrattacco.
Sicuramente le componenti e i materiali sono fantastici e soddisfacenti al tatto (anche se il tabellone si è presto imbarcato).
Complessivamente, penso che sia stata un'esperienza non del tutto gratificante e un'occasione mancata per me.
Lo sforzo che richiede la conoscenza complessiva del gioco, in ogni suo aspetto (fazioni, tattiche, azioni), può rivelarsi frustrante a causa della presenza di una componente fortissima di alea che, in alcuni casi, rende davvero impossibile fronteggiare alcune mosse avversarie, pur impegnandosi a fondo.
Per fare un esempio, a parità di difficoltà e impatto dell'alea, trovo più divertenti la serie degli Unmatched (perché immediati, scanzonati, danno quello che promettono), ma anche, per rimanere sugli stessu autori, gli Undaunted (di cui ho provato il solo Normandy) che (seppur astrattamente) ricreano l'atmosfera delle battaglie della seconda guerra mondiale e, oltretutto, impegnano i giocatori in tanti e diversi scenari di gioco.
La serata è continuata sul solco dell'asimmetria e delle fazioni da incastonare e incastrare in combo con
Ritforce.
Altra sfida 1vs1, stavolta per la conquista del Rift: fiume di fuoco che divide le due parti del mondo.
Quattro spiriti a testa, draftati tra dieci disponibili, che controllano i fenomeni naturali, fanno discendere sulla terra i loro seguaci, detti elementali, scombinando e sconvolgendo aria, fuoco, terra, acqua, e ogni elemento della natura, mentre si scontrano per conquistare la vittoria.
Anche qui si chiede di conoscere approfonditamente i poteri asimmetrici di varie fazioni per riuscire a combinare al meglio gli effetti dei vari personaggi in modo da coordinare attacchi e difese.
A differenza del precedente, ho trovato più soddisfazione nel combinare i vari personaggi, perchè gli effetti sono legati allo spirito/divinità cui sono riconducibili.
Ad esempio, l'aria e l'acqua si espandono e colpiscono dapertutto.
L'ombra si muove minacciosa sul rift per confondere gli avversari.
La terra è solida e ogni volta che interviene procura danno a tutti gli avversari.
Il granito è duro e fa tanti danni ma quando viene ucciso fa guadagnare un punto in più all'avversario.
Il fuoco procura danni gravi ma brucia chi sta vicino.
E...così via.
Uno sforzo tematico viene riconosciuto all'italianissimo autore che crea questo universo di forze naturali in lotta.
Anche le meccaniche sono decisamente più semplici di War Chest: schierare elementali, utilizzare i poteri degli spiriti, pescare carte, ripristinando la mano.
Tre sole regole sempre in vista perché presenti nelle ottime carte riassuntive e un pizzico di strategia in più.
Indubbiamente, l'elemento della causalità e della fortuna non manca poiché tutto dipende dalla pesca delle carte.
Nella prima partita, non avendo preso mai carte aria, ad esempio, sono stato molto svantaggiato.
Tuttavia, anche in presenza di una mano sfortunata, è sempre possibile rimediare con un minimo di accortezza e colpo d'occhio, affiancando le carte sotto il rift nel modo più proficuo possibile.
Ovviamente trae ispirazione dai giochi di Knizia (Battle Line e Totten Schotten, che non conosco) ma ha anche elementi in comune con Animali in Guerra, gioco che possiedo.
In entrambi i casi abbiamo una barriera che divide e le fazioni asimmetriche.
Tuttavia, Ritforce sovrasta il pur meritevolissimo Animali in Guerra per varietà strategica, componentistica, sforzo immaginifico e produttivo.
Concludiamo l'intesa serata con il vero capolavoro ovvero Patchwork.
Ne ho parlato proprio qualche giorno fa.
Oggi ribadisco che per far di un gioco un best seller o un evergreen, non servono fazioni asimmetriche, poteri ancestrali, cavalieri valorosi ma qualche bottone e delle pezze di stoffa.
Nella migliore tradizione del tetris, ogni cosa si incastra alla perfezione, e con semplicità, rapidità, si termina una partita e non si vede l'ora di ricominciare per superarsi e ottenere la coperta più ampia e il maggiore numero di bottoni.
Due pagine di regole, un tema rilassato, quasi noioso, ma un gioco incredibilmente teso e competitivo, con scelte mai banali e sempre sofferte.