Terza GobCon.
Ormai c'ho preso le misure.
Arrivo il venerdì, prima del pranzo; riparto la domenica, dopo l'ultimo riempitivo.
In mezzo quattro ore di sonno divise — peraltro male — in due notti, quando ormai entrambe le notti erano finite da un pezzo.
Di stanze e d'istanze
La GobCon ci ha messo un po' a ingranare, tra fastidiose noie organizzative — ma non ne parlo, ché qua sarebbero fuori luogo — e tavoli della sala grande occupati dai partecipanti a un convegno della Faac, tanto che i primi reclusi si sono raggruppati nel limbo della sala Cook, che ben presto ha raggiunto la temperatura di ben altri gironi infernali.
La gente mormora, brontola, ribolle, sbotta. Jones, in condizioni pressoché precarie, avvampa.
Per fortuna siamo ancora pochi: qualche tavolo c'è e si gioca già. Poco male.
(Sava tira fuori subito il primo gioco da urla di giubilo e di incazzatura: saranno una costante per tre giorni).
Un po' più tardi — cancellai ripartiti, tavoli spostati, pavimenti puliti, presidenti incazzati — la sala è pronta: parte la solita straniante, bellissima apnea.
Dei giochi
Cinque giochi che fanno sempre la loro porca figura
The Resistance: Avalon. Vi ho detto l'anno scorso del prode Ken — ci piace ricordarlo così — e del tavolo di assatanati che stava facendo crollare le mura di Camelot a suon di minacce e di bestemmie. Quest'anno a quel tavolo — o quantomento a uno con qualche faccia in comune, per quanto le mie già ridotte facoltà fisiognomiche non vengano certo aiutate dalle ore piccole — mi ci sono voluto sedere; due minuti dopo ero già etichettato come quello nullo. Non contento, dopo aver vinto per meriti non certo miei, ci ho riprovato nel tavolo con facce più note. Marco Merlino ci ha messo tipo trentacinque secondi a far capire a tutti che io ero il peggior Mordred della storia del gioco. In tutto questo, confermo le parole di dodici — anzi, tredici — mesi fa: quella scatolina grigia racchiude un cazzo di capolavoro epocale.
Modern Art. Vagando in cerca di giocatori che si unissero a noi — ci abbiamo messo tipo ventidue secondi nonostante me — io e il buon Fedellow abbiamo raccattato Lucrezia e Alessandro. Che sono stati al gioco, trasformando il tavolo in una sorta di sala d'aste dove si battono bottiglie di Braulio davanti a una platea di alcolisti anonimi. Knizia ha fatto il resto.
Let them eat cake. Un po' lungo per quel che offre, poco ergonomico, scorrevole come il tratto Como—Chiasso quando lasciano una sola corsia; ma sbraitare per una torta mentre intorno la gente perde la testa dà sempre molta soddisfazione.
Battlestar Galactica. Cylon fin dall'inizio il sottoscritto e Sava; io mi rivelo in un momento in cui gli umani quasi si illudono di potercela fare; lui imposta da par suo — talmente bene che può permettersi di lasciare gli ultimi turni per andare a seguire la riunione delle affiliate con la stessa gioia di un bambino di due anni a cui spengono la tv quando c'è Bing. Guardo la plancia; sono un bambino a cui hanno appena riacceso la tv.
Flamme Rouge. Metti insieme uno sport meraviglioso, un gioco che lo simula dannatamente bene per la sua semplicità, un toscanaccio come Rosengald che lo spiega in un secondo e cinquantadue centesimi netti — trovando pure il tempo di scofanarsi cinque cantucci — e due campioni mondiali di riempitivi come Christian e Noemi e ottieni l'ultimo, bel ricordo di tre giorni fantastici.
Quattro giochi provati che meh
Whitehall Mystery. Non fraintendetemi: è bello e se giocato bene valorizza anche i ruoli dei singoli poliziotti; è che è la versione liofilizzata di un mezzo capolavoro e insomma: mi tengo quello. In attesa di catturare Fedellow anche lì.
Kill the Unicorns. Bello, eh: meccanica simpatica, disegni colorati, possibilità di ritrovarsi a fine partita con un triceratopo rosa. Ma una roba così incontrollabile nemmeno i cross del peggior Candreva.
Chang Cheng. In italiano uscito come L'urlo di Cheng terrorizza la Con. Che poi non è nemmeno malvagio, pur nel suo essere modesto; è che non fa per me — ed è strano, perché in Cina fanno quasi tutto quello che compro.
Il trono di spade. Il gioco è bello, eh: il meh sono io che muovo i Baratheon.
Tre giochi provati che sono tanta roba
Nemesis. Dopo una prima partita iniziata piena di speranze — e finita con una manciata di carte intruso in mano mentre Sava e MichyLo si eiettavano ebbri di felicità lontano dalla nave — ci ho riprovato; e porco cazzo: quando Dave mi ha chiuso il portellone e richiamato le bestiacce e io in mano avevo le carte giuste e ho raggiunto la sala delle scialuppe e sono scappato e ho controllato di non essere infetto mi sono ricordato cosa sia un gioco da tavolo.
Trapwords. Oggetto in scatola prodotto dalla ditta del Paese che era con la Slovacchia e nella nostra nazione da quelli con il teschio nel logo e che è destinato a persone sedute intorno al mobile che si usa per mangiare e che reinventa il vecchio classico col nome che significa argomento che non si deve toccare ma lo fa in modo nuovo e che provoca ilarità. Il tutto detto senza respirare.
Ponzi Scheme. Non avevo molti dubbi; ma funziona eccome. Non lo compro perché non sopporterei di acquistare una scatola e di non vedermene recapitare tre il giorno dopo.
Due giochi che erano dappertutto
Terraforming Mars. In tutte le salse, con cubetti consunti, plance in carta velina, ottomila espansioni. Un giorno forse — ma forse — potrei anche provarlo. Ma non è questo il giorno.
Die Crew. Tutti American a parole; poi passano le ore a giocare al briscolone coi razzi.
Un gioco per una partita emblematica
Ore 4:50 del venerdì. Si spengono i rumori, si spegne anche l'insegna di quell'ultimo tavolo di party game. La bottiglia di Braulio è vuota, quella di grappa quasi.
In quattro però non abbiamo voglia di andare a dormire; e in una sacca della sala dei giudici del Magnifico c'è una copia di Barrage.
Fuori c'è luce: potrebbe essere mattina, pomeriggio o la mezzanotte artica.
Non ne ho idea.
Delle pagelle
Anche quest'anno chiudo questo report sconclusionato come la riunione delle affiliate — alla quale peraltro anche quest'anno ho avuto il grande privilegio di non partecipare — con le pagelle, sperando di non aver dimenticato nulla di quello che meritava di essere raccontato tra tutto quello che non entrerà nel campionario degli aneddoti di Sava.
***
Voto dieci alla nuvola di Como che profuma di casa e che il buon Giangi ha pensato bene di portare. Di gran luga la cosa più buona della GobCon — nonché la più appiccicosa insieme alle mie ascelle. Voto nove alla stanza che m'hanno dato, vicinissima alle scale che scendono verso l'abisso. Facevo in tempo ad andare in camera a prendere la felpa e tornare che quello di turno dopo di me stava ancora pensando.
Voto otto alla composizione del tavolo di Just One. Non vedevo una cosa così fluida dall'ultima volta che mi sono spremuto un brufolo sulla schiena.
Voto sette alle brioche della domenica mattina: in meno di due secondi si è creato un capannello di persone sbucate fuori dal nulla nemmeno fossero gli intrusi della Nemesis. Ora il carro di buoi è terzo.
Voto sei al budino ai lamponi della cena. C'è chi ci ha sentito dentro il peperone e chi invece aromi di parti anatomiche non proprio gloriose. L'unica cosa sicura è che era più pesante di un ferroviario alle tre di notte.
Voto cinque a Master_Alex, talmente assonnato e coinvolto durante le partite in notturna che si faceva giocare le carte da Sava alle sue spalle. Migliorando le sue mosse — ed è tutto dire.
Voto quattro alle tovaglie ricavate dai sacchi neri della spazzatura. Facevano talmente schifo da fare il giro e diventare ambientate.
Voto tre ai pantaloni di Lobo. La mente sarebbe voluta correre al resoconto di due anni fa; ma ho deciso di risparmiare le forze.
Voto due al caffè dell'hotel. Ma la colpa è nostra che lo beviamo dato che con 'sto caldo non c'è bisogno di usarlo per sbrinare l'auto.
Voto uno ai pensatori incalliti. Lo so, mi ripeto; ma veramente: durante certi loro turni si potrebbe davvero recuperare qualche ora di sonno.
Voto zero a chi mette in vendita Stratego. Incommentabile.