peccato per l'assenza quasi completa di interazione, un limite grave
Voglio concedere ancora qualche partita ad alcuni titoli presi allo scorso Play di Modena prima di parlarvene in una recensione, e allora facciamo un salto indietro nel tempo a un’altra grande fiera, ovvero il Lucca Comics and Games 2017. Lì, infatti, dopo che a Essen la HUCH! ha fatto uscire il gioco, DV Giochi presentava I ragià del Gange della coppia Inka e Markus Brand, per 2-4 giocatori che piazzeranno dadi su Kali per 45-75 minuti. Purtroppo, a Lucca non sono riuscito a prenderne una copia, quindi mentre vi parlo ho la copia anglo-tedesca sul mio tavolo.
Ambientazione
"L'India non è soltanto all'origine di tutte le cose, essa è superiore in tutto, intellettualmente, religiosamente o politicamente e persino il patrimonio greco appare pallido al confronto."
Friedrich Schlegel
Noi, come ragià, abbiamo il dovere di accumulare ricchezze e fama, espandere la nostra provincia e fare i conti con il karma e con le molte mani di Kali, sulle quali mettiamo i dadi, ovvero le risorse del gioco.
La plancia di Kali che tiene i dadi è molto bella, anche se si potrebbe contestare che la dinastia Moghul è stata una dinastia Islamica - ma in fondo siamo davanti ad un piazzamento lavoratori, e non credo che siete a leggere queste mie righe per l’ambientazione no?
Il gioco
"Nessuno accetta il caso come causa del proprio successo, ma solo del proprio fallimento."
Nassim Nicholas Taleb
Aprendo la coloratissima scatola de I ragià del Gange troviamo un bel po’ di dadi, lavoratori in legno, una plancia a doppia faccia più segnalini di cartone e diverse tessere, oltre alle plance personali per i giocatori - il tutto comodamente diviso dall’inserto in plastica. I componenti sono di buona qualità e colorati e appagano la vista al primo sguardo; ma questo carnevale di oggetti come si usa?
Ogni giocatore prende una plancia provincia e una della dea Kali, tre lavoratori nel proprio colore e quattro dadi (uno per tipo) e, dopo averli lanciati, li posiziona sulle mani della dea indiana. Il giocatore la cui somma totale del lancio risulta minore diventa il primo giocatore. Lungo la plancia comune scorrono due tracciati, uno in senso orario e uno in senso antiorario, che tengono traccia rispettivamente del prestigio e del denaro che il giocatore accumulerà nel corso della partita, la quale termina quando uno dei giocatori fa incontrare i due tracciati, facendolo così vincere la partita. In realtà c’è un terzo tracciato, quello del fiume che percorre il centro del tabellone, utile a raccogliere bonus.
Nella plancia andremo a piazzare i nostri lavoratori per fare azioni, ogni giocatore ne piazza uno ed effettua l’azione della relativa zona, poi passa il turno al giocatore alla sua sinistra. Piazzare un lavoratore potrà essere gratuito o avere un costo in monete o dadi; le aree azioni sono quattro:
- cava: pagando un costo - sempre crescente - in monete si possono acquisire nuove tessere provincia pagandole con dadi di un colore specifico (infatti le tessere sono divise secondo i dadi che richiedono: azzurro, arancio, viola, verde). Le tessere provincia, oltre a permetterci di raggiungere i bonus sulla parte esterna della nostra plancia personale, forniscono bonus in punti prestigio o nuove merci, o anche entrambi;
- piazza del mercato: qui si possono riscuotere le monete per le merci prodotte nella nostra provincia;
- porto: pagando monete e dadi al porto si potrà far spostare lungo il fiume la nostra barca, che fornisce un bonus una tantum a seconda della casella d’arrivo. Una volta terminato il percorso non sarà più possibile spostare la barca.
Per ovviare alla sfortuna dei dadi è possibile accumulare punti karma, che permettono di capovolgere un dado.
Raggiungendo o superando punti fissi del tabellone (ovvero a venti monete, quindici punti prestigio e sul ponte situato circa a due terzi del fiume) ogni giocatore può sbloccare lavorati ulteriori, fino a un massimo di due (tre con la variante di cui dirò dopo).
Quando tutti i giocatori hanno terminato le proprie azioni il round termina e il segnalino primo giocatore passa alla sinistra di quello attuale, a meno che qualcuno non abbia influenzato il Gran Mogol, il quale permette di diventare primo giocatore nel round successivo e di ottenere due punti prestigio. Si va avanti a giocare così fino a che un giocatore non fa incontrare il tracciato delle monete con quello dei punti prestigio.
Considerazioni
"Se potete scegliere tra essere giusti ed essere gentili, siate gentili."
Dal fim Wonder
Cosa ne penso di questo gioco? Partiamo dalla componentistica. Sicuramente i materiali sono molto belli, i dadi colorati trasparenti fanno la loro figura, forse la plancia può confondere e dare l’idea di essere troppo piena di disegni al punto di diventare confusa; ma una volta che ci si è fatto l’occhio ci si riesce a destreggiare abbastanza bene.
L’iconografia è chiara, anche se ci sono davvero un sacco di simboli diversi e durante le prime partite si dovrà ricorrere al manuale per consultarli. Però apparecchiato fa la sua figura; la statua della dea Kali è davvero carina, anche se completamente inutile: l’unica sua funzione è quella di ricordare ai giocatori che il limite di dadi che si può avere è dieci. Certo, vederla con tutti i dadi in mano ha il suo perché.
Passiamo al gioco vero e proprio, ci troviamo davanti ad un piazzamento lavoratori abbastanza classico, e anche abbastanza largo. Quello che contraddistingue il titolo, a mio parere, sono i dadi come risorse, anziché come lavoratori e, soprattutto, il fatto di averlo reso una corsa: infatti come già detto, in questo titolo non avremo a che fare con i classici punti vittoria, ma con un particolare sistema di due percorsi che si sviluppano lungo il bordo del tabellone in due sensi opposti; l’obbiettivo è essere i primi a farli incrociare.
La scalabilità è buona, in tre giocatori si deve rendere inutilizzabili delle zone azione, mentre in due c’è il retro del tabellone, che riserva le stesse azioni dell’altro lato, ma con ovviamente meno posti disponibili per ogni azione.
Questo, che sicuramente lato giocatori assidui può essere considerato un difetto, è anche un pregio: infatti il gioco non è quasi mai frustrante e permette di far sedere al tavolo giocatori più e meno esperti, senza che quest’ultimi si sentano schiacciati dal peso dell’inesperienza, anche se comunque difficilmente un giocatore scafato perderà contro un neofita. Quindi solo un gioco svezza-neofiti? Non esattamente: il gioco ha quel minimo di profondità per poterlo far apprezzare anche ad un tavolo di giocatori abituali, a patto di prenderlo per quello che è: un gestionale leggero, in due quasi un riempitivo sotto steroidi.
Il gioco, se si esclude il dado e l’uscita casuale delle tessere provincia disponibili, è sempre lo stesso, e per ovviare a ciò i signori Brand hanno messo qualche variabile in più da provare: gettoni ricompensa diversi; gettoni per sostituire casualmente i bonus del fiume; Kali e la plancia provincia che hanno due lati: una variante base e una più avanzata, con la tessera provincia che offre bonus diversi, mentre la dea solo otto posti per i dadi anziché dieci. Forse non abbastanza per assicurare tremila partite di fila, ma per il gioco che vuole essere posso ritenerlo sufficiente.
A me non interessa, ma l’ambientazione è appiccicata, come in tanti altri giochi del genere, anche se ultimamente autori nostrani, come Danilo Sabia e Francesco Testini, autori rispettivamente di Wendake e Xi’an, hanno dimostrato che è possibile fare giochi gestionali con un’ambientazione ben presente nel gioco, cosa che mi ha colpito e reso un po’ più sensibile a questo aspetto (o almeno fino ad un certo punto).
In conclusione, non siamo davanti ad un capolavoro, e nemmeno davanti ad uno spacca-cervelli; ma, se siete in cerca di un piazzamento lavoratori leggerino da fare dopo cena, o volete introdurre un amico al genere, o magari qualcosa di adatto per quelle serate in cui è troppo tardi per un giocone corposo (e però un altro riemptitivo o party game proprio no), allora potete provare a dare una possibilità a I ragià del Gange.