Agzaroth":etmjgwm4 ha scritto:
Ok, io mi sa che mollo. Ho il pledge da 200 per cui se qualcuno lo vuole ci mettiamo d'accordo.
Mi è arrivato il Dung Beetle Knight e mi sono messo a montare lui e i due sopravvissuti, poi a sfogliare carte e libretto.
1) passi che non ci sono istruzioni. Bastava un foglio, ma vabbè.
2) passi che alcuni pezzetti microscopici poteva risparmiarseli e studiare forme meno da modellista.
3) montare due delle tre minia (il DBK e il male survivor) mi ha preso un sacco di tempo. Ok, la scelta della colla non è stata felice (il gel, che è una me**a), ma il tempo speso è stato comunque parecchio. Pensando a tutte le minia che dovrei montare e soprattutto pensando che quest'ora di tempo potevo impiegarla a giocare invece che a incollare plastica, no grazie.
4) ho dato una scorsa a carte e libretto. Graficamente molto confusionario, ma sicuramente ci si fa l'occhio. Il tempo perso a leggere i papiri in inglese delle carte temo sia uguale a quello per montare le miniature.
5) saperlo, che con un "1" ti muore il sopravvissuto senza se e senza ma è un conto, vederlo scritto un altro. Sì ok, il protagonista è l'insediamento, ecc, ma mi sa lo stesso di meccanica vintage (è il termine più elegante che ho trovato).
Per cui addio KDM, lo proverò a qualche raduno o qualche fiera e amen.
Questo post del noto Agzaroth mi ha lasciato vagamente turbato per parecchio tempo: si tratta d'altronde di un'opinione ragionevole, da un personaggio di spessore e non certo da prendere alla leggera. Che fare per riprendersi dallo smacco (e dal bruciante peso dell'investimento), nel caso avessi trovato l’onestà d’animo, una volta ricevuto il pacco, di giudicarmi allineato a queste considerazioni?
Ora, ecco le mie osservazioni.
KDM non è un gioco da tavolo - e in questo caso Agzaroth, che in un altro post dice esplicitamente di essere interessato unicamente ai GdT, ci ha visto lungo nello scansare questa voluminosa scatola. KDM è più propriamente una complessa esperienza multisensoriale cui bisogna scegliere di votarsi per qualche ora della propria settimana, e accettare nelle sue follie, nei suoi errori, marasmi, lungaggini e ingiustizie. C’è tanta avventura ed escapismo (termine cui – come sempre - è la persona a dare un’accezione positiva o negativa, non il mezzo): quello solitario della preparazione dei modelli, e quello del gruppo destinato a vivere la sessione di gioco. I tre grossi blocchi in cui è diviso regalano a questo proposito momenti profondamente diversi. Il più noto, tattico e giocoso del confronto con il mostro; quello flebilmente strategico, caciaronamente teso della discussione e decisione sul futuro del villaggio; e il più rilassato (in termini d’abbandono al fato) della caccia. Se il primo si avvicina di più a un’esperienza da board game, con gli altri si sfora di molto nel gioco di ruolo, o in quelle avventure con le carte in cui stacchi per un po’ la parte decisionale del cervello, e ti diverti a subire e a gestire le conseguenze dell’ineluttabile.
Ora, a me tutto questo piace. La cosa migliore è che quel che ne esce sono belle serate in cui si parla, si ride, ci si confronta, ci si beve sopra e poi si ha voglia di ricominciare: come chiaramente esplicitato sul regolamento, questo era anche l’obiettivo dell’autore, dunque per quanto mi riguarda il pollice è su. Non si tratta di un’idea che voglio vendere a qualcuno: capisco perfettamente che un prodotto del genere può far cagare a molti, o più semplicemente non essere la cup of tea di un giocatore oculato come Agzaroth, che in una vita ha ormai definito i propri gusti, già vissuto determinate esperienze e chiarito le proprie esigenze. La parte hobbistica, anche qui, a me piace – ma può essere frustrante per molti (tengo però a precisare che per giocare semplicemente basta una mezzora preliminare di montaggio appena aperta la scatola, e un quarto d’ora ogni tanto quando si inseriscono nuovi mostri… il resto è hobby, dedizione, essere presi bene – ma di certo non una necessità definibile in ore e ore settimanali come per un Warhammer).
Tornando al post di riferimento, il punto 4 è in parte vero: il manuale è glorioso ma un po’ sciocco, anche se dopo un po’ si sa dove andare a parare – anche perché le regole effettive non sono molte, e il tutto procede come si confà a un’avventura, in modo fluido e intuitivo. Come subodorato da Agzaroth basta spesso leggere le carte, ma questo non porta via molto più tempo di una gestione “sentita” delle carte di Eldritch Horror, ad esempio.
Il punto 5 è anch’esso vero: si muore facile. Forse è una meccanica vecchia o, anche se non si è osato dirlo, una meccanica del ca**o. Trovo non sia neanche una meccanica. Personalmente ho scelto di accettare e interpretare il gioco: dunque, se scelgo di fidarmi dell’autore e vivere l’esperienza come ispirata alla fragilità della vita, va bene così. Sia chiaro, non voglio dargli più di quello che è: Poots è un pistola dislessico con delle belle idee, non un ispirato filosofo. Il gioco (in senso lato) a mio parere però funziona, quindi come si è detto accetto tutto questo in nome di una bella serata.
Per chiudere in completa onestà tengo a dire che, se mi sono spinto a perder tempo in queste riflessioni, è anche perché il gioco in sé è grosso in modo epocale, i componenti sono tanti e d’eccezione, le diramazioni nelle storie possibili infinite e la scatola è ben più che bella. Non sto dicendo che ti induce a inventarti una giustificazione: solo che ti spinge a rifletterci sopra. Per un gioco altrettanto coinvolgente ma fatto di due fogli print & play non so se l’avrei fatto.
O forse sì.
Chissà.