- Genere: ameritrash, dungeon crawler, competitivo
- Target: occasionali
- Scalabilità: 1-4, meglio in 3-4
- Meccaniche principali: tabellone modulare composto progressivamente mediante pesca di tessere, eliminazione del giocatore “sistematica”
- Meccaniche secondarie: poteri variabili, movimento tra aree, tiri di dado, sasso-carta-forbice, gestione del rischio, elementi derivanti dai giochi di ruolo, cenni di costruzione di rete.
- Importanza storica: nato in terra svedese col nome di Drakborgen (Dragon Keep) nel lontano 1985, valica ufficialmente i propri confini e assurge a fama perpetua due anni dopo grazie a una delle più celebri acquisizioni di licenze da parte della Games Workshop. DungeonQuest è uno dei padri dei giochi da tavolo noti come dungeon crawler e in particolare di quelli imperniati sull’esplorazione del sotterraneo nella prospettiva della stanza (area condivisa) come unità di misura/posizionamento e non della casella destinata alla singola creatura.
Più degli altri fondatori di tale ambito, tra i quali è doveroso citare The Sorcerer’s Cave (1978) e DeathMaze (1979/80), DungeonQuest spicca tanto dal punto di vista del successo ottenuto, quanto per come sia arrivato a influenzare il conseguente sviluppo del genere di appartenenza. Parimenti è doveroso sottolinearne la capacità di sopravvivere attraverso i decenni e più ancora quanto annoveri nel proprio arsenale tematico tutti i paradigmi fondamentali di codesto filone: dal maniero maledetto, al drago dormiente custode di tesori, passando per creature mostruose, passaggi segreti e letali trabocchetti. Le due espansioni, ovvero la valida Heroes for Dungeonquest (1987) e la meno riuscita Dungeonquest: Catacombs (1988) andarono a introdurre rispettivamente nuovi avventurieri da scegliere in alternativa a quelli contenuti nel gioco base e i meandri di cunicoli posti nelle profondità del castello. Tali contenuti aggiuntivi nella scandinava patria erano stati presentati congiuntamente in scatola unica col nome di Drakborgen II. - Elementi di innovazione / twist: DungeonQuest ha presentato il primo profondo sviluppo e una funzionalità effettiva della meccanica costituita dalla graduale generazione casuale della mappa-dungeon, attuata pescando tessere (ciascuna rappresenta una stanza o un corridoio) che vanno progressivamente a comporla proprio in base agli spostamenti degli avventurieri, gli alter ego dei giocatori.
A corredo troviamo un’impostazione totalmente competitiva che vede gli avventurieri accedere al castello da punti differenti e lontani tra loro, ovvero le quattro torri perimetrali, dando vita a diverse esplorazioni individuali e non all’avanzata di una compagnia compatta. Costoro difatti sono rivali: a trionfare sarà colui che uscirà vivo dal maniero con più ricchezze degli altri prima che il sol tramonti, fattore tempo che al momento dello scadere sancirà la chiusura delle porte, l’annientamento dei personaggi rimasti all’interno delle mura e la conclusione della partita.
La pesca da mazzi di carte dedicati rivela cosa nasconda ogni stanza, ogni porta, ogni ritrovamento: il gioco non richiede che qualcuno assuma il ruolo di Drago o Stregone/Signore del Dungeon ed è possibile financo giocare in solitario: tutti elementi da non dare affatto per scontati all’epoca. - Longevità e alternative: DungeonQuest è stato superato innanzitutto da se stesso e qui desidero citare le due riedizioni che recano il marchio della Fantasy Flight, ovvero la terza edizione del 2010 e la Revised Edition del 2014; è proprio quest’ultima che, tutto considerato, incorono come la migliore incarnazione dell’originale per come risolve, tra gli altri, i dilemmi relativi al sistema di combattimento e al bilanciamento delle catacombe.
Tuttavia quelle che per gli estimatori del gioco sono caratteristiche identitarie, vengono da altri vissute come difetti imperdonabili alla luce dei progressi nella concezione dei giochi da tavola dell’ultimo trentennio: DungeonQuest è l’emblema di una vecchia scuola che si gonfia il petto e non si vergogna di mostrare un peso spropositato dell’alea sui destini della partita e per conseguenza l’impossibilità di vivere una reale competizione, visto che la dimensione ideale è quella della sessione di gioco veloce, frenetica, goliardica e d’atmosfera, ove il divertimento sta più nel vedere cosa il caso farà accadere rispetto alla decisamente più sporadica soddisfazione di trionfare solo grazie alle proprie scelte oculate. Il genere dungeon crawler ha fatto passi da gigante (e in diverse direzioni) negli anni ma invero i prossimi scritti dedicati ad altre celebri opere nell’ambito di quest’iniziativa dei Cento Giochi da Tavolo nella Storia ci daranno l’occasione di concentrarci su tale evoluzione, citando nomi e titoli leggendari.
Per comprendere invece l’eredità lasciata da DungeonQuest e i capolavori che meglio ne hanno sfruttato e implementato le idee primordiali, è bene comprendere come la generazione della mappa grazie alle tessere-stanza riesca a mettere al centro della scena in maniera sostanziale l’ambiente che fa da teatro alla partita: se nei giochi di preciso posizionamento su casella quadrato-esagonale è l’approccio tattico di spostamento/ingaggio con un focus sul combattimento a farla da padrone, qui la prospettiva incentrata su ambienti e aree più ampie assegna alla perlustrazione e al castello, ovvero al dungeon stesso, la parte di elemento cruciale e protagonista.
E allora, oltre a Clank (2016), pregevole esempio di rielaborazione di un genere attraverso la meccanica della costruzione del mazzo, è altresì giusto celebrare quei giochi non propriamente (o nient’affatto) dungeon crawler che però tale anima hanno saputo fare propria, pur nella foggia d’una nuova forma.
Betrayal at House on the Hill (2004) trasforma il dungeon in una casa degli orrori e la rende teatro di un cooperativo con traditore a sorpresa che mette il sistema di esplorazione progressiva al servizio di un impianto in grado di donare grande importanza alla narrazione e al colpo di scena del vero cattivo che si rivela.
Dungeon Lords (2009) invero è un gioco di piazzamento lavoratori e gestione della mano, ma fa vivere la costruzione del sotterraneo, tessera dopo tessera, ribaltando la prospettiva e assegnando al giocatore la mansione di signore del dungeon occupato ad arginare le incursioni degli avidi avventurieri.
Vast: The Crystal Caverns (2016) ci trasporta in un asimmetrico pieno di fascino, dove ai ruoli di cavaliere, drago, tribù di goblin e predatore di tesori si aggiunge anche quello della Caverna, ovvero la summa fusione tra ambiente e giocatore.
E forzando la mano, con un balzo tra le stelle, in ultimo voglio osare e rendo onore a quella perla che è Nemesis (2018): è in parte anche grazie alla meccanica dell’esplorazione della nave spaziale che in questo capolavoro, più ancora degli alieni e degli uomini del futuro, risulta proprio il silente vascello alla deriva nel cosmo l’autentico protagonista della vicenda e della partita.
Commento
In un’epoca, quella dei giochi da tavolo moderni, in cui l’esclusione del giocatore è sovente vissuta come una criticità dal punto di vista progettuale,
DungeonQuest rende l’eliminazione sistematica dei partecipanti molto più che una dinamica ricorrente: non è raro vedere sessioni prive di vincitori a causa della dipartita di ogni avventuriero, e che dire di quelle imprese in cui per qualcuno la partita effettiva dura molto meno dell’allestimento del tabellone, con la famigerata trappola della Lama Oscillante che alla prima stanza estingue ogni speranza di un aspirante esploratore? Per completezza va rammentato come le ultime versioni di
DungeonQuest offrano una discreta quantità di regole opzionali pensate per calibrare leggermente meglio l’esperienza di gioco in base alle consuetudini e alle aspettative generali.
Ma è proprio questa la perfetta sintesi della sua cifra stilistica e concettuale, ovvero l’essere portastendardo di un modo di giocare e prima ancora di ideare giochi appartenente a un altro tempo: nei pregi e nelle imperfezioni DungeonQuest trasuda anni Ottanta da tutti gli scrigni ed è soprattutto per il ruolo che ha svolto nella storia dei giochi da tavolo, più che nel suo attuale valore assoluto, che merita di sedere tra i Cento Giochi di cui stiamo raccontando in questi mesi.
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