Shogi

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Voto recensore:
7,6
Gli Shogi, o scacchi giapponesi, sono un’evoluzione del Chaturanga, ovvero dell’antenato di tutte le varianti scacchistiche conosciute. Il gioco, quindi, ricorda molto gli scacchi occidentali (ad esempio per il movimento di alcuni pezzi, o per lo scopo finale, che è di catturare il Re) ma ne differisce per alcune caratteristiche che ne fanno una cosa a se stante.

La scacchiera è costituita da una tavola divisa 9 caselle X 9, con quattro punti (chiamati Oshi) che dividono la tavola in tre territori: il campo di un giocatore, quello del suo avversario e la terra di nessuno.

All’inizio del gioco i pezzi, per un totale di 20 per ogni giocatore, si dispongono in questo modo: sulla prima traversa si piazzano i pezzi di potenza, per così dire, intermedia (Lance, Cavalli, Generali Argento, Generali Oro), insieme al Re, che sta al centro; nella traversa successiva stanno un Alfiere ed una Torre, con un movimento del tutto uguale a quello degli scacchi occidentali; sulla terza traversa si sistemano i Pedoni, che possono muovere solo in avanti di un passo, ma diversamente dagli scacchi occidentali catturano anche solo in avanti.
La prima mossa è del Nero.

Il movimento dei pezzi è il seguente: le Lance muovono di un numero di caselle a piacere, purché libere, ma solo in avanti, e non possono arretrare; i Cavalli si muovono con movimento “a elle” uguale a quello degli scacchi occidentali, ma solo in avanti, e solo nelle due caselle frontali; i Generali Argento muovono di un solo passo nelle tre caselle frontali e nelle due retrostanti poste in diagonale; i Generali Oro muovono di un solo passo nelle tre caselle frontali, nelle due laterali ed in quella posta immediatamente dietro al pezzo (non, quindi, in quelle posteriori diagonali); il Re muove esattamente come il Re negli scacchi occidentali, cioè di un passo in ogni direzione.

La caratteristica principale degli Shogi è che i pezzi catturati non vengono eliminati dal gioco, ma passano dalla parte del catturante, il quale potrà "paracadutarli" in un punto qualsiasi della scacchiera (con determinate limitazioni); è per questo che i pezzi non sono di colore diverso, ma sono sagomati in modo da rendere riconoscibile una punta. Solo grazie all’orientamento di questa punta possiamo stabilire se il pezzo è nostro o dell’avversario.

Se si riesce a portare un proprio pezzo nel campo avversario, esso può essere promosso (non è obbligatorio): in caso si tratti di un Pedone o di un altro pezzo di potenza intermedia, esso verrà promosso a Generale Oro (i Generali Oro, quindi, non possono essere promossi); se si tratta della Torre, verrà promossa a Dragone, aggiungendo al suo movimento originario anche la possibilità di muoversi di una casella in diagonale; se si tratta di un Alfiere, allora diventa Cavallo Dragone, ed al suo movimento originario aggiunge la possibilità di muovere di una casella in orizzontale o in verticale.
Lo scopo, ovviamente, è la cattura del Re.

La possibilità di riutilizzare i pezzo catturati fanno degli Shogi un gioco ad elevatissimo “brain consuming”, e sono decisamente sconsigliati a chi vuole giocare in scioltezza. Il calcolo di tutte le possibili varianti date dai pezzi in gioco, dai pezzi momentaneamente fuori gioco, e dalle possibili giocate derivate da uno scambio sono moltissime, e basta un errore per ribaltare completamente la situazione sulla scacchiera.

Gli Shogi sono molto diffusi in Giappone, ma praticamente solo lì: pur essendo un bellissimo gioco, fuori dal Giappone viene giocato solo da piccoli manipoli di giocatori.
Pro:
Si tratta di un gioco più complesso degli scacchi occidentali, e questo può affascinare alcuni giocatori, e terrorizzarne altri.
Contro:
I pezzi sono costituiti da una tessera con sopra un ideogramma che ne identifica la natura, e questo spaventa a morte la stragrande maggioranza dei giocatori, che ritengono sia una cosa riservata a chi capisce il giapponese. In realtà, imparare a distinguere i pezzi è una cosa che richiede solo pochi minuti di impegno.
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