Uno dei giochi brutti (nel senso con palesi difetti di game design) più belli a cui abbia mai giocato. Solo amore per questo gioco
Per la serie Pipponi Non Richiesti, seguono le mie nebbiose opinioni su Obsession (Orgoglio, Intrigo e Pregiudizio nell’Inghilterra Vittoriana recita il sottotitolo), ovvero: prendete tutto il vostro immaginario sulle atmosfere inglesi tra metà e fine ‘800 (che so, l’austera ironia della Austin e di Wilde, un pizzico - un po’ improprio a dire il vero - di Downton Abbey e Gosford Park, la caccia alla volpe, tè e pasticcini, il caustico e raffinato humour anglosassone, etc.), frullatelo con un buon numero di carte e un’idea di elegantissimo (esteticamente parlando) tableau building, et voilà - chiedo scusa, there you go, o qualcosa del genere – ecco a voi uno dei giochi più apprezzati dalla comunità ludica in questi ultimi anni.
Completano il quadro un mercato di tessere da acquistare per ampliare la propria residenza e la propria offerta ricreativa ai nobili inglesi, una leggera asimmetria nello stato di partenza delle famiglie in gioco e un gruppetto di lavoratori (servants) necessari per attivare le tessere, assistere aristocratici più o meno esigenti e capricciosi, garantire bonus economici, di prestigio o di flessibilità nella gestione degli ospiti.
Il gameplay funziona e scorre senza intoppi, non si grida comunque al miracolo: nonostante alcuni accorgimenti previsti per limitare alea ed incertezza, ne rimane una discreta quantità nella pesca degli ospiti (rischiando spesso di prenderne di indesiderati che daranno malus e di cui ci si dovrà disfare più o meno elegantemente), delle tessere, degli obiettivi, delle carte victory points e perfino nella rivelazione delle preferenze dei due rampolli Fairchild (che i giocatori si affaneranno a corteggiare per ottenerne preziosi favori).
Quello che invece sembra rendere Obsession così speciale per alcuni, tra cui sicuramente me, sono l’amore (che trasuda da ogni singolo componente del gioco) e l’attenzione dedicati al tema, ritrovabili in tutto il flavor text che caratterizza ogni singolo personaggio rappresentato sulle carte, e nell'appagamento sensoriale, dalla vista che gode di una grafica perfettamente aderente al contesto (le foto anticate, i colori pastello degli altri componenti, i servants tutti diversi) e il tatto (che piacere infilare la mano nella grande sacchetta e smucinare tra le tessere).
Non è un capolavoro e non è nemmeno il gioco da portare sulla proverbiale isola deserta – anche perché i pregi di cui sopra possono anche rappresentare i suoi limiti - se il tema non vi attrae, se non siete sensibili ai dettagli, agli accorgimenti e alle nuances che lo caratterizzano, potreste rimanergli indifferenti se non delusi.
Per quanto mi riguarda, giocare a Obsession è sempre un piacere e, in certe serate, scelgo lui rispetto ad altri giochi proprio perché ho voglia di quell’atmosfera, di quella leggerezza d’animo unita a una discreta dose di scelte interessanti, tutti aspetti che danno forma a un’esperienza di gioco che non trovo altrove.
Quando gioco a Obsession, anche se sono in pigiama, non di rado mi pare di essere un elegantissimo Lord - con pipa e tazza di tè - e capita che mi ritrovi a parlare biascicando un italiano incerto – proprio come farebbe un inglese nel bel paese – arrivando a fine partita congratulandomi con me stesso con un soddisfatto “Well done, sir”.
Ladies and Gentlemen, per oggi dal Derbyshire è tutto.