Grazie 😊
Per la serie Pipponi Non Richiesti, seguono le mie personali e discutibilissime impressioni su Le Havre, giuoco di Uwe Rosenberg, noto soprattutto per la sua tendenza a riflettere nelle proprie opere un imprecisato trauma di natura alimentare – per così dire.
Come già in Agricola (e forse peggio che in Agricola) anche in Le Havre ci si scontra con la necessità di sfamare i “lavoratori” ma qui, anziché dover fornire un ammontare fisso di cibo a ogni contadino, si tratta piuttosto di soddisfare la bulimia nervosa galoppante di un dischetto di legno (l’unico “lavoratore” che controlleremo), dandogli in pasto quantità sempre crescenti, pena la necessità di contrarre prestiti che – se non rimborsati entro la fine della partita – daranno punti negativi.
Nel corso di ogni round (il cui numero scala in base al numero di giocatori) i giocatori si alterneranno per sette turni, svolgendo un'unica e sola azione principale: prendere le risorse disponibili in uno dei magazzini del porto, o piazzare il proprio dischetto/lavoratore su una carta edificio in modo da compierne l'azione indicata (costruire edifici e navi, prendere risorse o convertirle in risorse migliorate o soldi, ...).
Oltre all'azione principale si può fare, liberamente, un'azione supplementare consistente nel comprare o vendere edifici o nel restituire prestiti.
L'obiettivo finale è fare soldi, rappresentati anche dal valore economico degli edifici costruiti nel proprio tableau.
Siamo davanti a uno di quei casi in cui le regole sono poche e lineari, mentre tutta la notevole profondità di gioco è demandata alle carte e a pochi essenziali fattori: l’ordine con cui gli edifici saranno disponibili per la costruzione o per l’acquisto, l’ordine con cui i magazzini delle risorse saranno riforniti a ogni turno e l’indiretta ma atroce interazione tra i giocatori, i quali si ritroveranno coinvolti loro malgrado in frequenti psicodrammi per essersi visti soffiare via all’ultimo momento le risorse tanto agognate, o per l’ansia di dover soddisfare la tassa di cibo di fine round, o per la diabolica pigrizia dei dischetti avversari che proprio non si decidono a schiodare dall’edificio che ti serve come il pane (letteralmente).
Confesso un amore spassionato per questa creatura di Uwe, che ha dalla sua anche una rara, quasi commovente velocità di setup. La quantità di tassellini delle risorse solletica la mia anima german, il fatto che siano double face (risorse base da un lato, migliorate dall’altro) è un tripudio di germanosità, sotto questo aspetto battuto solo – per quanto mi riguarda – da La Festa per Odino, per rimanere in casa Rosenberg, o da un paio di giochi Splotter.
Probabilmente il più delle volte arriverete in fondo alla partita rendendovi conto di avere uno o due turni di “ritardo” rispetto a ciò che avevate intenzione di fare. Tutto regolare: è la strettezza del gioco, baby (o, come nel mio caso, sarà dipeso dal fatto che avete toppato qualcosa).
Per me Le Havre è un porto sicuro (...) in 2 e 3 giocatori (Uwe dice che lo puoi giocare fino a 5, ma dubito che mi piacerebbe altrettanto) e anche nella versione in solitario, in cui si gioca per battere il proprio punteggio migliore e che trasforma la partita in un puzzle che dal mio punto di vista è tra i migliori del suo genere e della sua categoria.
Dal fronte del porto è tutto, buon gioco.