Bellissima recensione di un gioco che a mio avviso è un autentico capolavoro e a cui sto giocando spesso ultimamente. Il gioco ha un interazione bastardissima in fase d'asta e trovo geniale sia la presenza dei lavoratori verdi, che l'utilizzo dei trasporti. È vero che a livello di strategie Keyflower non è così controllabile, visto che non hai la certezza di poterti accaparrare la tessera invernale che hai in mano fin dall'inizio, ma è altrettanto vero che se sai "leggere" la partita, puoi comunque trovare la tua strada e vincere.
Escono - direbbe un ipotetico Paolo Mieli prestato ai giochi da tavolo - una serie di titoli che portano quest'annata a essere felicemente ricordata, quasi fosse il 2010 dell'Inter, il 1999 di Benigni o il 3019 T.E. di re Aragorn. Nel corso dell'anno arrivano una manciata di grandi giochi rivelatisi più forti dei loro difetti (la strategia dominante per Tzol'kin: il calendario maya, la mappa fatta col paint per The Great Zimbabwe o Gaia Project per Terra Mystica), alcuni rifacimenti di vecchi classici (La guerra dell'anello, The Resistance: Avalon, Standard & Poor's che declassa l'Italia), opere cosiderate ormai di culto (Seasons, Android Netrunner, Gangnam Style) e diversi altri titoli di grande popolarità (Lords of Waterdeep tra i tedeschi, Robinson Crusoe: Adventures on the Cursed Island tra gli americani, Pechino Express tra i reality show).
Correva l'anno duemiladodici.
Key ha sgunfià tucc i niguj?
Tra i tanti titoli che emergono merita qualche parole anche l'ennesimo gioco della linea key-qualcosa di Richard Breese, ispirato questa volta alla nave dei pellegrini che sbarcarono nei futuri Stati Uniti d'America nel 1620, ove fondarono una colonia e instaurarono rapporti amichevoli coi nativi mentre gli fottevano i cristalli da sotto i piedi con le altre due mani.
L'elenco di meccaniche qui sopra e il fatto che una partita - durata al più due ore, minimo due e mezza - può essere giocata da due a sei giocatori (per davvero, non tanto per dirlo), fanno di Keyflower la risposta ideale a qualsivoglia consiglio vi chiedano. (Si può dire che il gioco sia un po' il "quarantadue" del gioco da tavolo - e ha pure un regolamento meno noioso del libro.)
Pubblicato per la prima volta da Huch! ed R&D games, il gioco - per iniziativa di Red Glove - dovrebbe a breve vedere la luce anche in italiano; è comunque sostanzialmente indipendente dalla lingua, a meno del nome degli edifici che, vabbè, se come dite ricordate davvero la gente morta nella seconda serie de Il trono di spade, non dovreste aver difficoltà a memorizzare.
Keyser-Walzer
Brevemente, un accenno al regolamento (che, si badi bene, non è di facile acchitto: lo si ricorda facilmente - non è un gioco complicato - ma la spiegazione può portare via parecchio tempo, perché appunto tante sono le meccaniche fuse nel gioco).
Le tessere sono disposte al centro del tavolo e, nel proprio turno, un giocatore può fare una puntata per aggiudicarsene una, posizionandovi lateralmente un certo numero di meeple dello stesso colore; oppure può sfruttarne l'azione, piazzandoci lavoratori sopra (tale azione è possibile anche se la tessera è già nei villaggi di uno dei giocatori) - con due regole aggiuntive: la prima è che sopra ogni tessera possono alloggiare massimo sei lavoratori, indi per cui le attivazioni possibili sono al più tre, poiché ogni volta bisogna piazzare un lavoratore in più; la seconda è che gli omini sopra e intorno a una tessera (questi ultimi senza vincoli di numero) devono essere dello stesso colore.
Parallelamente si svolge un'asta anche per le tessere che variano l'ordine di turno e garantiscono i rifornimenti delle navi - uomini e abilità per la stagione successiva. (Prestate attenzione alle tessere nave, affinché in ogni stagione se ne utilizzi il lato giusto.) Alla fine di una stagione si assegnano le tessere ai vincitori delle aste (gli sconfitti possono recuperare i meeple), i quali si accaparrano anche eventuali lavoratori sopra di esse; inoltre, ogni giocatore può appropriarsi di tutti i lavoratori piazzati nel suo villaggio (compresi quelli giocati dagli avversari).
Le tre stagioni procedono in maniera similare - parziale differenziazione per l'estate, che presenta tra le tessere anche alcune navi cariche di eccezioni. L'inverno ha invece uno svolgimento lievemente variato: intanto le tessere disponibili sono scelte dai giocatori, i quali possono quindi indirizzare quel tanto necessario la propria strategia; in secondo luogo, queste tessere garantiscono sostanzialmente puntazzi vittoria, generalmente al conseguimento di certi set (di uomini, abilità, merci, case, vicoli e palazzi). Succede infatti che ogni roba che si avanza a fine partita si può assegnare a una - e una sola - tessera proprio a tale scopo. Attenzione però a quattro particolari tessere autunnali - fienile, fabbro, depositi di pietra e di legname - che, di contro, a fine partita richiedono che le merci sopra di sé ci siano effettivamente. Per inciso, le risorse si spostano nel villaggio sfruttando le strade e le azioni movimento e miglioramento, ossia quelle col carretto; le quali, peraltro, servono anche per migliorare le tessere - girate sul retro, garantiscono rendite migliori e/o più punti.
A fine partita ulteriori punti arrivano - con regole tutte loro - dal piazzamento delle navi rifornimento (Keyflower e compagnia briscola) e delle stesse tessere per l'ordine di turno, anch'esse assegnate alla fine dell'inverno. Sommati infine punti per l'oro avanzato, vince chi ha la casa schermo più bella.
Key's anatomy
A proposito di Keyflower si possono dire tante cose. Quindi faccio un po' d'ordine e parto dai materiali; i quali, bene o male, al momento dell'uscita erano tra i migliori in circolazione. Va da sé che nel 2012 lo stato dell'arte, quantomeno per la metà tedesca del cielo - non che Keyflower vi faccia parte - era ovviamente quel capolavoro di Terra Mystica, peraltro già citato.
Le tessere sono spesse e davvero belle da vedere: lo stile grafico di Juliet e Jo Breese può non piacere, ma è innegabilmente indicato per l'allegra astrattezza del tutto. Anche l'iconografia è decisamente chiara: con l'unica eccezione delle navi estive, già dalla seconda partita non serve quasi consultare l'appendice del regolamento per applicare gli effetti delle tessere. (Già che l'ho citato, il regolamento potrebbe essere scritto meglio, ma è ben illustrato e, grazie anche alla banda di riepilogo, non lascia particolari dubbi.)
Le risorse sono rappresentate dai barilotti - gli stessi di Puerto Rico - e le abilità sono dei cartoncini di qualità accettabile. Delle casette schermo ho già detto - aggiungo che il loro problema non è tanto lo spessore irrisorio, quanto le dimensioni ridotte: sistemarci dietro risorse e lavoratori è quantomeno scomodo, soprattutto se avete mani che potrebbero fare provincia. In termini di massa, la parte del leone la fanno i meeple - che vabbè, sono meeple normalissim... oh, quello viola chiede la parola; sembra incazzato.
L'ergonomia, già che ci sono, è - casette a parte - molto buona: l'idea di associare un lato delle tessere esagonali a ogni giocatore è semplice, ma estremamente funzionale alle aste. In fase di preparazione è necessario dedicare qualche minuto a separarle, 'ste tessere, tra stagionali, navi, ordine di turno, centro del villaggio iniziale; ma un utilizzo accorto delle bustine limita decisamente il problema. Un po' come al supermercato.
Key the Force be with you
Detto questo, vengo finalmente al nocciolo della questione. Keyflower è un gioco bello, molto bello, che ha dalla sua una scalabilità eccellente (ottenuta semplicemente con la variazione del numero di tessere stagione e, ovviamente, turno e barca) che, se da un lato trova la sua miglior espressione nel centro della forchetta - e quindi in quattro giocatori -, dall'altro sa regalare partite ugualmente appassionanti sia nel più scacchistico testa-a-testa, sia nell'abbuffata estremamente tattica che si ha a ranghi completi (che, lo ripeto, prevede ben sei giocatori).
Beninteso: non siamo forse ai livelli dei tre titoli citati nella confusa parentesi sui grandi giochi del 2012 (e comunque siamo più dalle parti di Tzolk'in: il calendario maya che non di Terra mystica), ma Keyflower è un gioco che sa dare filo da torcere a qualsiasi giocatore, per quanto scafato possa essere. Anche perché - e qui introduco uno degli aspetti più controversi del gioco di Bleasdale e Breese - l'interazione è forte. Si tratta, per inciso, di un'interazione indiretta tanto forte da sfiorare quasi quella diretta: si pensi per esempio all'utilizzo di spazi azione altrui, che diviene esclusivo se si collocano subito tre omini e che è importante soprattutto per le preziose tessere col carretto; per non parlare, ovviamente, delle aste, che sono competitive per definizione - e quelle di Keyflower possono essere anche molto esigenti.
Quanto all'eleganza, ecco: diciamo che non è il punto forte del gioco. Non tanto per il flusso di gioco in sé, e nemmeno per come le meccaniche sono intersecate tra loro - molto bene, per quanto mi riguarda: perché se è vero che le parti del leone spettano alle aste e al piazzamento lavoratori, anche le altre si fanno sentire senza dare l'impressione di essere appiccicate (cosa che, l'avrete capito, non si può invece dire dell'ambientazione).
Keyleigh
Si diceva dei colori. Una delle cose che, aperta la scatola e dimenticate per un attimo quelle casette da urlo, si nota subito di Keyflower è quel sacchettone di parecchi etti di meeple - che faccio, lascio?
Passato l'impulso di afferrare tutti quelli gialli - ché no, non sono miei - emerge subito l'intelligenza di suddividere i lavoratori per colore, rendendoli compatibili solo con quelli che condividono la stessa tessera e la stessa tinta; a differenza del seguente Keyper, dove il colore indica la specializzazione, qui è più una questione di squadra: immaginateli come Ungheria, Svizzera e Grecia a Giochi senza frontiere.
Questa felice intuizione crea con uno sforzo minimo un ulteriore fondamentale livello di profondità, perché i tre colori di omini sono da gestire come e più delle risorse, sia per le aste sia per l'attivazione delle azioni, non solo in forza alla propria linea strategica, ma anche - e soprattutto - in ostacolo a quelle avversarie. L'asta per l'ordine di turno, necessaria anche per la scelta della nave coi rifornimenti, è dunque estremamente importante; non è così impattante, invece, la pesca casuale dal sacchetto (peraltro incluso), che pure dona al gioco quel pelo di aleatorietà che non può che fargli bene.
Keykki no yū wo imashimuru koto
Tiro le somme, ché sono andato più lungo di una serata del festival di Sanremo. Personalmente Keyflower è tra i giochi che apprezzo di più, pur coi piccoli difetti citati sopra: è un titolo spiazzante, diverso, in grado di introdurre - tutte insieme - diversi aspetti qualora si vogliano far provare al proprio gruppo di gioco, senza che nessuno di questi sia così spinto da risultare necessariamente indigesto.
Un gioco bellissimo, questo Keyflower, a patto di apprezzare una serie di aspetti che spesso - vai capire perché? - compaiono tra i meno graditi al pubblico, a seconda dei casi tedescofilo o americano: le aste, la controllabilità non elevatissima, gli elementi di aleatorietà, la forte interazione, la scarsissima ambientazione, le tinte pastello, i giochi di parole.
Può non piacere, Keyflower: sappiatelo - del resto viviamo in un mondo dove c'è gente a cui non piace lo sci alpino.