Riflessioni su arco narrativo e spazio delle fasi

eriadan

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eriadan
Ok, spero di aver allontanato un bel po' di persone con il titolo del topic.
Riporto qui alcune riflessioni fatte tempo fa ascoltando il podcast di Ludology dedicato all'arco narrativo.
Brevemente l'arco narrativo è ciò che in letterature, nelle serie a fumetti o nelle fiction porta un protagonista da una vicenda all'altra.
L'arco narrativo è qualcosa che, se ben strutturato, tende a catturare l'attenzione. Da una premessa iniziale tutti i racconti portano il protagonista attraverso varie situazioni che spesso culminano in una situazione fortemente emozionale che "risolve" il personaggio. Tendenzialmente quando un personaggio viene "risolto" il suo racconto si sgonfia, si è raggiunto il massimo dell'arco e da li si può andare a chiusura e si deve, altrimenti il racconto si ammoscia. Se volessimo vederlo come un grafico in ascissa dovremmo mettere il tempo e in ordinata l'emozione che quel personaggi o la storia in cui è inserito ci suscita in quell'istante. Penso sia abbastanza ovvio immaginarsi la curva come un arco convesso.
Tale struttura è ovviamente applicabile anche ad una partita a boardgame dove l'istanza giocata, una delle mille che il gioco può proporre, è il protagonista che si muove lungo il suo percorso generando un arco narrativo.
La partita si apre con una fase di early game che può essere più o meno accorciata o indirizzata secondo quanto proposto nell'articolo "Strutture di inizio gioco - introduzione e risorse per poi muoversi verso una condizione di middle e late game più o meno emozionanti.
Imparando a osservare una partita come un protagonista che vive il suo arco narrativo dà un mezzo per analizzare il gioco.
Ma prima di addentrarmi in questo ho bisogno di introdurre un altro concetto, un po' matematico: lo spazio delle fasi. Molto brevemente tale aggeggio è l'insieme di tutte le configurazioni che un sistema può assumere. Wikipedia fa l'esempio del pendolo indicando lo spazio delle fasi l'insieme di tutti gli angoli che questo può fare rispetto alla verticale e tutte le velocità che il peso può assumere a causa delle azioni esterne. Osservando lo spazio delle fasi di un pendolo si possono descrivete tutte le storie che quel pendolo può vivere.
Tale concetto è applicabile anche ai giochi in scatola. Mi pare che tale approccio sia proposto anche nel libro di Nuccio. Lo spazio delle fasi di un gioco in scatola è l'insieme di tutte le configurazioni che il gioco permette e di conseguenza racchiude in se tutte le partite che si possono fare a quel gioco.
Come il moto di un pendolo nello spazio delle fasi descrive la sua traiettoria in tutte quelle possibili così la stessa partita giocata si muove all'interno dello spazio delle fasi di quel gioco descrivendo il suo arco narrativo.

Il problema è che lo spazio delle fasi di un gioco non è uniforme ne per forma ne per intensità di ogni suo punto e su questo approccio si potrebbe tentare un'analisi sulla progettazione e sulla realizzazione del gioco stesso. Mi spiego cercando di fare un esempio prendendo "forza4". Lo spazio delle fasi di questo gioco è dato dall'insieme di tutte le configurazioni ammissibili dalle regole per riempire il casellario 7per6 che ne costituisce lo schema.
Esempio grafico (R=rosso, G=giallo V=spazio vuoto)
v v v v v v v
v v v v v v v
v v v v v v v
v v v v v v v
v v v v R v v
v v v R G v v

è un punto dello spazio delle fasi

v v v v v v v
v v R v v v v
v v G v v v v
v v R v v v v
v v G v v v v
v v G R v v v

è anch'esso un punto dello spazio delle fasi.

v v v v v v v
v v R v v v v
v v G v v v v
v v R v v v v
v v G G v v v
v v G R G v v

questo non può essere un punto dello spazio delle fasi in quanto ci son troppi Gialli rispetto ai rossi (violando la regola del gioco alternato).
Quando un giocatore inserisce la sua prima pedina dà inizio all'arco narrativo e sul grafico che in ascissa ha il tempo (turno di gioco) e in ordinata la tensione legata alla mossa viene posizionato il primo punto che coincide con una delle sette possibili configurazioni di inizio gioco.
Ovvio che l'intero e immenso spazio delle fasi di forza 4 non è minimamente osservabile,e non sarebbe nemmeno utile, ma penso che sia abbastanza chiaro che non tutti i punti dello spazio delle fasi generino la stessa tensione ad essere toccati. Per chiarezza si vedano i tre schemi proposti valutando quale di questi sta vedendo la situazione più interessante per essere giocata:
v v v v v v v
v v v v v v v
v v v v v v v
v v v R v v v
v v v G v v v
v v v R v v v

v v v v v v v
v v v v v v v
v v v v G v v
v v v G G v v
v R v R R v v
v G v R G R G

R v v G R v v
G R R G R G G
R G G G R R R
G G R R G G R
R R G G G R G
G R G G R R G

Se non ho sbagliato a fare gli schemi è quello centrale quello più interessante, il primo è un inizio partita mentre il terzo è comunque in una situazione in cui qualsiasi mossa successiva non eviterà il pareggio. Se volessimo schematizzare la cosa lo schema più a sinistra è la partenza dell'arco narrativo, lo schema centrale è un punto dell'arco narrativo prossimo a toccare il suo apice e il terzo dove l'acme è ormai superato e la partita non dice più niente rientrando in qualche modo in quel difetto introdotto da [tag]Agzaroth[/tag] come Dragging.

Cerco di arrivare a conclusione.

Se un gioco genera uno spazio delle fasi e la partita è uno dei tanti percorsi che possono muoversi nello spazio delle fasi, occorre essere consci del fatto che i sottoinsiemi dello spazio delle fasi non hanno tutti le stesse qualità. E qui entra in gioco il game design in quanto dovrebbe essere l'arte di progettare un insieme delle fasi tali per cui qualsiasi arco narrativo che prende corpo all'interno di esso arrivi al suo apice nei punti dello spazio delle fasi che proiettino, sul grafico tempo vs tensione emotiva il valore più alto possibile nel momento migliore possibile.

Su questo approccio mi permetto di parlare di Scythe e constatare come lo spazio delle fasi del gioco crea un sotto insieme di partite catalogabile come "coltiva il tuo orticello" dove i giocatori possono trovarsi a chiudere il gioco senza rompersi troppo le palle. Molte delle critiche che ho letto al titolo si concentravano infatti sulla scarsa interazione che il gioco forniva e questo era dettato un po' dal fatto che la prima incursione nello spazio delle fasi che il gioco proponeva li aveva spinti in quel particolare sotto insiemi dove se la partita lì si ficca non se ne esce a meno che non sia un giocatore, con le sue mosse, a portarla fuori.

E qui il discorso può farsi interessante. Il gioco offre una struttura a Sandbox ma è un pregio o un difetto che non vi sia un meccanismo all'interno del titolo stesso che strozzi lo spazio delle fasi in modo tale da costringere i giocatori a ricadere in quei sottonisiemi che l'autore del gioco, nella sua progettazione, considera più interessanti?

Anche in Hansa Teutonica può esserci lo stesso problema. Il gioco genera uno spazio delle fasi con sottoinsiemi loffi (dove i giocatori non si menano e non si rompono troppo le scatole) e sottonisiemi tesissimi dove l'eccitazione sta nello scegliere quanto conviene in termini di payoff sacrificare una mossa buona per se per fare una mossa che rompe all'avversario.

Se il gioco può muoversi in uno spazio delle fasi definito, ogni partita dovrebbe essere emotivamente emozionante; su questo principio si può incolpare la progettista del gioco del fatto che alcuni giocatori, nel loro generare l'arco narrativo, si spingano in sottoinsiemi "mosci" per il pathos che questo dovrebbe generare senza che vi sia qualcosa che porti il gioco lì dove deve arrivare? Così su due piedi io direi di Sì. Non so quanto sia giusto incolpare il giocatore dicendogli che non ha capito il gioco stesso.
Mumble
 

basil451

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Bella riflessione però suscita tanti dubbi. In ordine sparso:

È giusto definire arco narrativo un'esperienza di gioco?

È giusto pensare a un lettore in maniera passiva e immaginarselo guidato da una narrazione?

È possibile considerare il "sistema" preso in esame composto soltanto dalle configurazioni possibili di un gioco senza considerare i giocatori (e anche altro)?

È giusto pensare che esistano giochi completamente regolati?

Io personalmente sto con Wittgenstein: non esistono giochi completamente regolati.
E la risposta che mi sento di dare alle mie domande e alla tua è no.

L'idea di gioco presuppone una libertà non completamente regolabile e non c'è nulla di male in ciò, anzi è il bello della cosa.
Basta pensare che il giocare stesso presuppone l'idea di imbroglio ed è comunque uno stato possibile del gioco nella realtà (altrimenti ci saremmo persi la mano de dios :asd: ).

Il discorso è complesso e l'ora è tarda e io tanto stanco.

Per concludere ti chiedo: se un gioco fosse fatto in modo tale da farti fare esattamente quello che aveva in mente il suo creatore, non lo riterresti fastidioso?
Magari sarebbe un bel gioco ma sarebbe come giocare la partita di un altro giocatore e questo a me non andrebbe giù (e tra l'altro qui rischiamo di finire sul teologico).

Poi magari è solo il mio punto di vista "umanistico" :alcolico: .

Notte.
 

eriadan

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eriadan
basil451":2bxmuutp ha scritto:
Per concludere ti chiedo: se un gioco fosse fatto in modo tale da farti fare esattamente quello che aveva in mente il suo creatore, non lo riterresti fastidioso?
Grazie del contributo.
Rispondo a questa domanda con un "no". E spiego.
Strozzare lo spazio delle fasi o ridurlo o alterarlo non indica creare un binario, il vincolo introdotto altro non fa che aiutare l'evolvere della partita verso un sottoinsieme dello spazio delle fasi che più di altri può essere interessante nell'essere giocato. Prendendo dal libro di Nuccio il creatore del gioco studia meccanismi che producono dinamiche che producono estetiche. L'insieme dei meccanismi porta inequivocabilmente alla formazione di uno spazio delle fasi che altro non fa che descrivere tutti i possibili stati oggettivi e misurabili di una situazione di gioco... ma lo spazio delle fasi non descrive l'emozione o le dinamiche che il gioco crea nei giocatori; è però implicito che la dinamica e l'estetica siano generate e fortemente influenzate dalle possibili biforcazioni che il punto in cui si trova il gioco propone.

Vediamo se con un altro esempio aiuto a chiarire una strozzatura efficace che ho trovato in un gioco:
Antiquity degli SplotterSpellen.
Il gioco è un gestione risorse con una caratteristica interessante: le risorse che vengono prodotte devono essere prodotte nel giusto quantitativo, non troppo poche e nemmeno troppe, questo perché potrei avere bisogno, nel corso del gioco, non tanto delle risorse ma dell'omino che le sta producendo e fino a che questo non ha finito di raccoglierle non rientra in città. Come Game designer decido che questo è l'aspetto su cui voglio tirare i giocatori, non voglio semplicemente premiare il giocatore che lo fa rispetto agli altri portandolo alla vittoria, perché se tutti al tavolo non lo fanno, quello che reputo interessante, il gioco si ammoscia. Come hanno risolto quelli della SS di strozzare lo spazio delle fasi? Inquinamento e tombe. Senza questi 2 aspetti (modalità con cui si può giocare le prime partite) il gioco è interessante ma niente di che, è possibile vivacchiare e fare scelte sub-ottimali, tanto c'è tempo, e bravo a chi arriva primo alla condizione di chiusura. Appena introduci le due regole sopraccitate non puoi più vivacchiare perché il gioco ti sommerge nella "merda" (letteralmente) e ti butta fuori. Gli autori, con due regole, hanno ristretto lo spazio delle fasi del gioco costringendo i giocatori a cimentarsi con una pianificazione che, senza queste, non è necessaria... e, passami il francesismo, "cheffigata!". Il punto è che lo spazio delle fasi è un mondo e come tutti i mondi ha zone interessanti e zone meno, l'autore del gioco è una sorta di guida che dovrebbe portare il giocatore non tanto a giocare la sua partita ma a buttarlo in quel settore, di quel mondo, che offre le sfide più interessanti o insolite.
 

linx

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Seguirti con tutti i tecnicismi non è facile, ma la mia sensibilità la sintetizza in un "un buon designer di giochi dovrebbe spingere i giocatori a divertirsi portandoli rapidamente nelle fasi di gioco dove le scelte da fare sono pesanti e lì tenerli per buona parte della partita" invece di accontentarsi di creare un sistema di gioco dove se certe strade vengono intraprese tutto diventa divertente. Sbaglio?
 

basil451

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Questo è un aspetto interessantissimo e senza dubbio vero.

Provando a riassumere (spero di non fraintendere) tu sostieni che lo spazio delle fasi vada definito dalle scelte di game design in base a determinati parametri quantificabili e che tramite queste fasi (che poi sono possibilità predicibili) l'esperienza di gioco possa svolgersi nella maniera più consona alla finalità del gioco.

Se non sbaglio nel recepire le tue argomentazioni ti dico che sono assolutamente d'accordo ma non capisco cosa intendi esattamente quando parli di "estetica" (immagino la forma associata alla funzione da come ti esprimi).

Altra curiosità che pongo (tanto che ci sono ti sfrutto a dovere :rotfl: ) è come si pone il tuo discorso nell'ottica Sandbox che tu stesso citi. Si può attuare solo pensando a più spazi delle fasi che sono sottoinsiemi di uno spazio delle fasi più grande oppure dobbiamo pensare al Sandbox solo come gioco per il gioco? Magari pensando a uno spazio delle fasi non quantificabile?

Inoltre mi viene da pensare che sia implicito nel tuo discorso che la grandezza dello spazio delle fasi sia indirettamente proporzionale agli input emotivi trasmessi dal gioco (e anche qui non vorrei fraintendere). Nel caso in cui ciò sia vero come spiegare le tante persone che hanno esperienze diverse? (Mi viene da pensare ai GdR ma magari è un'associazione mentale sbagliata).

E per concludere, se ci si deve rivolgere esclusivamente ai giocatori perché gli input dello spazio delle fasi siano recepiti come possiamo quantificare questi parametri e definirli come ottimali? Dobbiamo presupporre un' "empatia" da parte del game designer o è possibile fare empiricamente uno studio sul gioco?

Scusa se magari le domande ti sembreranno ovvie ma non posso non approfittare della tua disponibilità :grin: .
 

basil451

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Aggiungo anche: se lo spazio delle fasi e i suoi parametri sono quantificabili si potrebbe ottenere una gerarchia nella valutazione dei singoli giochi? Magari quantificando la prossimità dello spazio delle fasi all'intenzione dell'autore? Sarebbe un valore?

In letteratura (ad esempio) il concetto di valore non è applicabile e ci si è risolti a considerare letteratura ciò che viene definita tale e quindi basando il tutto sulla convenzione.

Perdonami ma fatico tantissimo a capire cosa c'è di oggettivo (quantificabile) e di convenzionale nel discorso che stiamo facendo.
Spero di non tediarti ma più penso al tuo discorso più domande mi vengono in mente...
 

eriadan

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eriadan
linx":he5m49cv ha scritto:
Seguirti con tutti i tecnicismi non è facile, ma la mia sensibilità la sintetizza in un "un buon designer di giochi dovrebbe spingere i giocatori a divertirsi portandoli rapidamente nelle fasi di gioco dove le scelte da fare sono pesanti e lì tenerli per buona parte della partita" invece di accontentarsi di creare un sistema di gioco dove se certe strade vengono intraprese tutto diventa divertente. Sbaglio?
Perfetto. Questo è uno degli aspetti. Ammetto che il principio dello spazio delle fasi me lo sono introdotto più come strumento per analizzare i giochi.
 

linx

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Fin dai giochi creati nell'adolescenza mi sono reso conto che uno dei modi migliori per rendere un gioco interessante e accorciarne la durata è ridurre il campo di gioco. Perdi meno tempo in spostamenti (quando ti servono 2 mosse per arrivare da qualche parte il turno in cui fai la prima è noioso e rischia di provocare una contromossa avversaria che rende pure la mossa noiosa inutile) e interagisci prima con gli altri giocatori. Inoltre se l'apertura del gioco è prevedibile e generalmente simile prevedere un setup che ricrei direttamente la situazione dopo la mossa d'apertura porta prima nel vivo del gioco. Cosa stupida ma che sembra molti autori abbiano capito solo una decina di anni fa.

Il lato negativo di queste due cose è che potrebbero castrare la sensazione di crescita che spesso è una parte soddisfacente di ogni gioco. Quindi abbiamo una piccola divisione delle scelte: chi preferisce l'interazione e un avvicinamento alla fase di scontro e chi la sensazione di crescita con il proprio orticello con cui creare le proprie strategie almeno per un poco finché l'interazione non vi entra a forza.
Riuscire ad ottenere un equilibrio fra le due cose non è semplice. A riuscirci il gioco arriverebbe ad una sicura eccellenza.
 

eriadan

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eriadan
basil451":2963vb3j ha scritto:
Questo è un aspetto interessantissimo e senza dubbio vero.

Provando a riassumere (spero di non fraintendere) tu sostieni che lo spazio delle fasi vada definito dalle scelte di game design in base a determinati parametri quantificabili e che tramite queste fasi (che poi sono possibilità predicibili) l'esperienza di gioco possa svolgersi nella maniera più consona alla finalità del gioco.
Yes
basil451":2963vb3j ha scritto:
Se non sbaglio nel recepire le tue argomentazioni ti dico che sono assolutamente d'accordo ma non capisco cosa intendi esattamente quando parli di "estetica" (immagino la forma associata alla funzione da come ti esprimi).
Ripropongo un po' a memoria dal libro di Nuccio.
La meccanica è l'insieme delle regole che definiscono quali stati del gioco sono possibili e definiscono, per ogni stato, le diramazioni che possono portare ad altri stati. L'insieme di tutti gli stati è lo spazio delle fasi.
Le dinamiche sono, per cercare di continuare il parallellismo, quei fenomeni esterni al gioco (Bluff, il temporeggiare, il bash the leader, lo scegliere strategie più rischiose) che portano la partita che si trova in uno stato verso stati Y piuttosto che X. Le dinamiche sono concetti emergenti: non è il game designer che le impone, ma emergono, sono conseguenza da come è strutturato lo stato delle fasi e da come ogni fase si lega alle altre.
Le estetiche, infine, sono le emozioni e le sensazioni che emergono nel giocare la partita e sono diretta conseguenza delle dinamiche che si sono create (se il gioco a un'asta a puntata nascosta (meccanica) --> il giocatore può bluffare (dinamica) --> probabilmente nel giocatore emerge ansia del timore che sgamino il suo bluff (estetica).
L'arco narrativo nei giochi (ovvero il percorso che la propria partita percorre nello stato delle fasi) in sé per sé, non ha qualità intrinseche, in quanto è solo un percorso che unisce i vari punti dello stato delle fasi, ma ha qualità in funzione di come la sua forma interagisce e viene "letta" dai giocatori. Come un intreccio che parla di un incidente coinvolgerà in modo diverso un lettore che ha avuto un episodio capace di sensibilizzarlo al tema rispetto ad un lettore con diverso background, così una partita può risultare meno piacevole di altre se il percorso che ha intrapreso ha o meno attivato le personali estetiche dei giocatori.
E' ovvio che l'arco narrativo ha un vincolo: Deve muoversi all'interno dello spazio delle fasi secondo alcune strade e non altre. Ma la strada che prende l'arco narativo dipende dal tipo di dinamiche e dal tipo di estetiche che gli impongono i giocatori.
Riferendomi a [tag]linx[/tag], però, il GD non ha il solo compito di divertire i giocatori. Per come la vedo io il GD dovrebbe chiedersi anche "Qual è la sfida, qual è l'estetica che mi piacerebbe emergesse". Questo aspetto è una cosa che sta cominciando ad emergere, da come ho capito, nei giochi moderni. Non lo ho ancora provato ma "This war of mine", da come ho capito, non vuole "divertire" i giocatori, le estetiche che vuole indurre sono più "negative" che "positive". Che poi possano avere un effetto catartico e il vivere la negatività simulata dalla "realtà di guerra" nel gioco aiuti a far percepire migliore, proprio come valore, la realtà "normale" è un altro aspetto (per giunta molto interessante per, non so se voluto, l'aspetto didattico).

basil451":2963vb3j ha scritto:
Altra curiosità che pongo (tanto che ci sono ti sfrutto a dovere :rotfl: ) è come si pone il tuo discorso nell'ottica Sandbox che tu stesso citi. Si può attuare solo pensando a più spazi delle fasi che sono sottoinsiemi di uno spazio delle fasi più grande oppure dobbiamo pensare al Sandbox solo come gioco per il gioco? Magari pensando a uno spazio delle fasi non quantificabile?
Mumble.
La prendo larga... l'arco narrativo che percorre la partita in svolgimento, come già detto, non ha una qualità intrinseca (è meramente una traiettoria), è il giocatore che, secondo la sua sensibilità, attribuisce ad alcune traiettorie un valore più alto delle altre (in parte per le scelte fatte e in parte per la qualità delle scelte che il gioco ha proposto). Nella sandbox il GD dovrebbe strutturare uno spazio delle fasi tali per cui a prescindere dal percorso ogni traiettoria attiva estetiche importanti e per certi versi "predette".
Ti cito un gioco che considero sandbox: "mageknight" di Chvatil. L'obietto di uno scenario è conquistare due città entro 3 giorni e tre notti (i 6 round). Non importa come ci arrivi, se ci arrivi reclutando alleati, rubando artefatti da monasteri rasi al suolo o pompandoti di incantesimi. L'evoluzione dipende in parte dalle location casuali pescate nelle tessere territorio e in parte dalle scelte di opportunità del giocatore stesso ma difficile che si riesca a giocare due volte partite simili. Il gioco però è strutturato in modo tale che se vuoi completare la task proposta l'arco narrativo che fisiologicamente si costruisce "racconta" la storia del "viaggio dell'eroe". Il mageknight che trionfa nella città è, secondo me, una proiezione archetipale del giocatore che, proiettato in lui, prova l'estetica ebrezza dell'aver sconfitto l'ombra di un sè "fallimentare", ovvero essersi dimostrato "capace" di fregare e trionfare sulla realtà fittizia (i meccanismi del gioco contro il player). Se guardi una qualsiasi partita a mageknight la pedina dell'eroe parte moscia e dopo mille peripezie arriva ad affrontare la propria nemesi in un crescendo di potere e fuochi d'artificio. Gli ultimi turni sono le battaglie campali, dove tutto si risolve, e nei turni precedenti il giocatore è portato a "pomparsi" per arrivare pronto alla sfida della vita. L'arco narrativo cresce e il gioco, che secondo me è divinamente strutturato, ti porta, se hai giocato bene, all'affrontare la città in chiusura fisiologica della partita, conferendogli un estetica apocalittica del "ora o mai più".

basil451":2963vb3j ha scritto:
Inoltre mi viene da pensare che sia implicito nel tuo discorso che la grandezza dello spazio delle fasi sia indirettamente proporzionale agli input emotivi trasmessi dal gioco (e anche qui non vorrei fraintendere). Nel caso in cui ciò sia vero come spiegare le tante persone che hanno esperienze diverse? (Mi viene da pensare ai GdR ma magari è un'associazione mentale sbagliata).
Uhm, no, non concordo. Uno spazio delle fasi ben strutturato può essere amplissimo ma consentire lo sviluppo di archi narrativi molto piacevoli da "percorrere". Io non vedo correlazioni tra la cardinalità dello spazio delle fasi agli input emotivi trasmessi. Una cattiva progettazione dello spazio delle fasi, questo sì, che può trasmettere input negativi come frustrazione e tedio. Poi effettivamente è possibile che uno spazio delle fasi generato da un set di regole crei sottoinsiemi loffi non previsti (e questo la dice lunga sull'importanza del playtest) e maggiore è lo spazio delle fasi maggiore è il rischio che appaiano sottoinsiemi "loffi" o che, addirittura rompono il gioco stesso.

basil451":2963vb3j ha scritto:
E per concludere, se ci si deve rivolgere esclusivamente ai giocatori perché gli input dello spazio delle fasi siano recepiti come possiamo quantificare questi parametri e definirli come ottimali? Dobbiamo presupporre un' "empatia" da parte del game designer o è possibile fare empiricamente uno studio sul gioco?

Scusa se magari le domande ti sembreranno ovvie ma non posso non approfittare della tua disponibilità :grin: .
Guarda, io sono felicissimo di aver trovato qualcuno che abbia voglia di confrontarsi su questi temi. Io non sono in alcun modo un teorico di cui approfittare, sono un appassionato del giocare e dei meccanismi sotto e purtroppo è sempre difficile trovare qualcuno con cui parlare senza sentirsi scemi.
Sinceramente penso sia possibile analizzare empiricamente un gioco anche se non saprei dirti come. Io penso che ora tutti i GD lavorino essenzialmente per empatia. "Faccio un gioco che mi diverte giocarlo, se diverte me dovrebbe divertire anche gli altri". So, invece, che Chvatil ha proprio un approccio più "estetico", leggendo in qualche sua intervista lui parte proprio dal "cosa voglio far provare, cosa voglio che il mio gioco trasmetta a chi lo gioca" per costruire i meccanismi. Sarà per questo, forse, che penso i suoi giochi abbiano una marcia in più rispetto a molti altri gestionali che magari hanno meccaniche molto raffinate ma che essenzialmente girano a vuoto.
Perdona il wall of text
 

basil451

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Grazie, sei stato gentilissimo nel rispondermi punto per punto :grin:
 

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eriadan":2utafodg ha scritto:
Sinceramente penso sia possibile analizzare empiricamente un gioco anche se non saprei dirti come. Io penso che ora tutti i GD lavorino essenzialmente per empatia. "Faccio un gioco che mi diverte giocarlo, se diverte me dovrebbe divertire anche gli altri". So, invece, che Chvatil ha proprio un approccio più "estetico", leggendo in qualche sua intervista lui parte proprio dal "cosa voglio far provare, cosa voglio che il mio gioco trasmetta a chi lo gioca" per costruire i meccanismi. Sarà per questo, forse, che penso i suoi giochi abbiano una marcia in più rispetto a molti altri gestionali che magari hanno meccaniche molto raffinate ma che essenzialmente girano a vuoto.
Credo che comunque Chvatil cerchi in se stesso le emozioni che vuol far provare agli altri: non costruisce giochi che non piacciano comunque prima a lui stesso. E' il fatto stesso che si concentri sulle sensazioni che vuole suscitare piuttosto che su cose più... materiali come "far girare il gioco rapido senza che si inceppi", "fare un gioco bilanciato" o "fare un gioco con una meccanica originale" che lo renda speciale (decisamente uno dei miei autori preferiti). Poi quelle cose le fa anche, ma in un secondo momento, dopo che ha infilato nel gioco le cose che scatenano le emozioni desiderate dal giocatore (cioè usa l'esperienza per legare tutto in un'insieme giocabile).

Se ci fai caso i suoi giochi (non party game) sono comunque complicati, a causa dei particolari che ci vuole inserire, e solo una logica simulativa ben applicata riesce in genere a non renderli troppo pesanti. Non ha la bacchetta magica o un processo creativo codificato per ben riuscire; solo una buona dose di fantasia e l'esperienza per contenerla con una buona sintesi di meccaniche.
 
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