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Posso chiedere quanti di voi hanno mai conosciuto una persona che sta affrontando o ha affrontato il percorso che porta a un cambiamento di questo tipo?
Una.
Ma io non ho nulla contro coloro che si sentono donne "prigioniere" in un corpo maschile o viceversa: è un "problema" conclamato.
Ciò che trovo assurdo è che qualcuno non si senta né uomo né donna... cosa sei, se non sei una di queste due cose? Come fai a dire "mi sento un'altra cosa, che però non esiste in natura"?
Ecco. Sono state fatte visite psicologiche a queste persone? Che esito hanno avuto?
 

phalanx

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phalanx72
Mi avete anticipato con le risposte.
Mi sono anche visto il video, mah.
Poi sono anche andato a vedermi chi è il gruppo pseudo religioso che fa seminari e battaglie contro i diritti lgbtq+
In sostanza un video di propaganda
Doppio mah.
 

Agzaroth

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Agzaroth
Mi avete anticipato con le risposte.
Mi sono anche visto il video, mah.
Poi sono anche andato a vedermi chi è il gruppo pseudo religioso che fa seminari e battaglie contro i diritti lgbtq+
In sostanza un video di propaganda
Doppio mah.
quindi il contenuto non conta? Io sono antireligioso, probabilmente pure più di te, ma non è che se uno dice una cosa lo giudico a priori. A meno che non sia un maledetto maschio bianco etero cis caucasico medio borghese, ovviamente.
 

Salironth

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Dai, facciamo un bel pippone. È il momento 😆
Intanto permettetemi ma certi accostamenti proprio non sono pertinenti. La differenza non è lieve tra l'importare un nuovo lemma dall'estero (cosa del tutto naturale) e il modificare la struttura grammaticale di una lingua introducendo una nuova desinenza mediante un carattere ed un fonema estranei. Partiamo da un presupposto: la pronuncia di una parola estera viene sempre adattata nella lingua di arrivo. Prendiamone una di derivazione straniera che presenterebbe la schwa nella pronuncia: computer. Come la pronunciamo? Kom'pju:ter o Kəm'pjutə(r)? È ovvio che la sentiamo pronunciata sempre nel primo modo, perché più armonico con i nostri fonemi. È evidente che introdurre un fonema nuovo è qualcosa di ben più complicato, per nulla paragonabile all'importazione di nuove parole (e ancor più agli errori di battitura, ma immagino che quelle sopra fossero mere provocazioni). Questo perché esistono esigenze reali con cui i propositi ideali non possono che scontrarsi.
La lingua non è totalmente sotto il nostro controllo. E soprattutto è del tutto opinabile che le discriminazioni dipendano da esse. In una lingua che ha due generi è normale che si ponga il problema di renderne uno onnicomprensivo. È possibile che il previgente sistema patriarcale avesse contribuito in maniera determinante in quella scelta, ma è altrettanto vero che nella lingua italiana il genere grammaticale non è di per sé legato al sesso biologico – quante guardie giurate hanno lamentato discriminazioni per essere chiamate con un sostantivo femminile? e quante donne e uomini si sono sentiti discriminati per essere stati chiamati, rispettivamente, «individuo» o «persona»? – e, soprattutto, la realtà sociale sta già superando le imperfezioni del linguaggio connesse alla necessità ineluttabile di scegliere un genere onnicomprensivo fra gli unici due disponibili (un esempio fra tanti: la già citata maggioranza femminile nel ceto forense). Vi è poi da non dimenticare che l'italiano conosce da sempre molti termini gender-neutral, se vogliamo metterla in questo modo. Perciò, se uno pensa che sia possibile mutare la realtà a partire dal linguaggio, cosa per me velleitaria, può comunque già tentare di farlo seguendo altre strade che risultino più naturali ed armoniche con il nostro idioma. Imporre un cambiamento così radicale alla maggioranza delle persone (termine femminile ma neutrale, per l'appunto) vi pare davvero possibile? Ma soprattutto davvero vi sembra utile? L'ho già detto altrove ma lo ribadisco: questo problema nasce oltreoceano proprio perché in quella parte del mondo non riescono a cogliere la dimensione materiale delle discriminazioni, perciò si concentrano sul (e si limitano al) piano ideale, simbolico. E lo fanno proponendo soluzioni tarate su problemi che però sono tipici della loro lingua, che non conosce il genere grammaticale. Molti giovani italiani oggi usano indicare nella sezione bio dei propri profili social la loro percezione di sé attraverso i pronomi inglesi e questo non è un caso: in italiano il problema si pone molto, molto meno. Addirittura, faceva notare quel giornalista di cui parlavo, lo fanno perfino i giovani finlandesi, che nella loro lingua conoscono solo pronomi neutri.

Ora, tutto questo discorso del genere deriva proprio dalla concezione antiessenzialista postmodernista, che riduce il naturale al culturale: il piano reale, percepito come statico e in un certo senso supino rispetto a quello culturale, viene continuamente plasmato da quest'ultimo, l'unico tra i due ad essere ritenuto rilevante e dinamico. Perciò il genere, da (reale) questione psicologica dell'individuo, assume i contorni di un'entità culturale che va scardinata proprio perché inquadrata come costrutto meramente ideologico – e non come approssimazione (imperfetta) dell'esistente – nonché come mezzo politico per ottenere un fine: la perpetrazione dell'opposizione binaria. Questo che comporta? Beh, semplice: non esistono più né un'identità maschile né un'identità femminile, perché genere e sesso non vanno più in contraddizione. La stessa percezione del corpo biologico diventa qualcosa di definito culturalmente, perciò riplasmabile a partire proprio dal piano culturale, cioè anche dal linguaggio.
Questo modo di pensiero non è univocamente accettato nel mondo LGBTQ+. Per esempio, non sono pochi a percepirlo come un attacco all'omosessualità. Allargando ulteriormente lo sguardo si può apprendere come pure molte femministe non lo vedano di buon occhio, in quanto contrario alla dottrina della differenza, che rivendica con orgoglio la femminilità. Questo dimostra, banalmente, che ridurre l'esistente a mere questione culturali vuol dire aprire ad una spirale particolarista, dove ciascuna categoria pretende di imporre la cultura funzionale all'imposizione della propria identità.
Ad essere eliminato è il rapporto dialettico fra natura e cultura. Perciò a molti di noi sembrano strane queste idee: ci appare indubitabile che nella crescita di ciascun individuo vengono in rilievo sia elementi di predisposizione naturale sia componenti di naturale educazionale, culturale. Come e quanto possano le seconde rimodellare le prime è tutto da capire, e soprattutto varia da cultura a cultura, nello spazio e nel tempo. Però rimane certo, per noi che non accediamo a questa corrente filosofica, che una componente naturale permane. Che in alcuni individui questa possa "soccombere" a quella psicologica, come accade a chi decide poi di cambiare sesso, non è meramente normale: è proprio naturale. Ma altrettanto naturali sono alcune differenze tendenziali fra i sessi, che sono poi quelle che contribuiscono a determinare gli stereotipi. Le differenze tendenziali ovviamente non rappresentano la realtà, che è un complesso intricato di variazioni e peculiarità intermedie; tutt'al più la approssimano e pure grossolanamente, in modo chiaroscurale. Il punto però è che l'assenza di un confine netto tra identità maschile e identità femminile, così come la presenza di persone i cui orientamenti di genere sfuggono all'una e all'altra, non può per ciò stessa portare all'abolizione di queste categorie, che, per quanto imperfette e approssimative, rimarranno comunque funzionali a rispondere ad esigenze reali. L'alternativa è favorire contrapposizioni identitarie sterili ed incomponibili, permettendo alle molteplici percezioni soggettive di divenire centro di riferimento per il diritto e per la morale e, quindi, di elevarsi definitivamente ed irrimediabilmente su quella collettiva, con inevitabile acutizzazione delle tendenze centrifughe che stiamo vedendo, dove ognuno pretende che le convenzioni sociali, linguaggio compreso, vengano a riadattarsi sulle proprie necessità e peculiarità (l'opposto dell'inclusione, appunto). Visto però che il reale esiste e ha una sua autonomia dal culturale, l'unico effetto della negazione della dialettica fra i due piani è di negare anche quella tra individuo e collettività, proponendo soluzioni, come queste ortografiche, che non possono che essere percepite come aliene dalla maggioranza del corpo sociale di riferimento.

Spero che questo pippone, che rasenta l'OT, riesca a dare un minimo di contesto, magari spiegando come spesso alla base di queste diversità di vedute ci siano profonde divergenze filosofiche. Mi auguro anche che non venga gratuitamente additato come qualcuno che «odia il diverso e il cambiamento» per il sol fatto di ritenermi incompatibile con una filosofia che vede il reale come un'entità statica ed eterna. Certo è, però, che l'adozione di linee editoriali divisive, magari efficaci (almeno nel breve periodo) dal punto di vista pubblicitario, mi mette molta tristezza addosso. Per quanto ritenga che tutto sia in un certo senso "politico", dal momento che la politica è il precipitato pratico della nostra intima filosofia, sono comunque convinto che in certi ambiti, magari già inclini all'inclusione, come il nostro, sarebbe meglio andarci coi piedi di piombo.
 
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Agzaroth

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Se sostieni di essere una donna ci sta, per il disabile devi avere un certificato medico che lo dimostri, come per chiunque altro.
quindi possono sostenere di avere coppia di cromosomi XX?
 

phalanx

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Non l’ho giudicata a priori, ho guardato il video e l’ho contestualizzato, cercando di capire anche il background ed il motivo per cui è stato girato e pubblicato on quel modo
 

Agzaroth

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Non l’ho giudicata a priori, ho guardato il video e l’ho contestualizzato, cercando di capire anche il background ed il motivo per cui è stato girato e pubblicato on quel modo
eppure gli studenti non mi paio di quell'indirizzo. Sei concorde con le loro risposte?
 

phalanx

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Concordo solo che un adulto ha messo in difficoltà 4 ragazzi.
 

Patsy

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ifikrate
interessante. Quindi se io sostengo di essere una donna disabile, posso pretendere di essere inserito nelle quote rosa/disabili?

Beh,
Questa è la paura di alcuni.
In America centinaia di detenuti "sembra" (uso le virgolette e il verbo sembrare perché le notizie che da là arrivano qua su certi argomenti sono SEMPRE di parte,anche e soprattutto sui giornali italiani) abbiano chiesto di essere passati nel ramo femminile...
In ogni caso, a un certo punto, chiunque può dire di sentirsi di tutto un giorno si e l'altro no (certo sarebbe un caso di disagiato mentale non da poco, ma tant'è), anche a proprio vantaggio (e non mi si dica che non possa succedere).
Comunque questo è argomento già visto altrove, in altre discussioni qui in tana.
Rimanendo in topic, la mossa delle MS edizioni può essere una mossa pubblicitaria (probabile), fatta seguendo una tendenza (quasi certo) o veramente sentita (forse).
Ma concordo sull'ostilita verso un cambiamento della lingua italiana richiesto da alcuni (da pochi, pochissimi per fortuna, quasi preteso), imposto alla maggioranza ma che non serve praticamente a nulla, perché inclusione e rispetto non si inculcano obbligando la gente a dover storpiare la propria lingua
 

oracolodidelfi

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Dai, facciamo un bel pippone. È il momento 😆
Intanto permettetemi ma certi accostamenti proprio non sono pertinenti. La differenza non è lieve tra l'importare un nuovo lemma dall'estero (cosa del tutto naturale) e il modificare la struttura grammaticale di una lingua introducendo una nuova desinenza mediante un carattere ed un fonema estranei. Partiamo da un presupposto: la pronuncia di una parola estera viene sempre adattata nella lingua di arrivo. Prendiamone una di derivazione straniera che presenterebbe la schwa nella pronuncia: computer. Come la pronunciamo? Kom'pju:ter o Kəm'pjutə(r)? È ovvio che la sentiamo pronunciata sempre nel primo modo, perché più armonico con i nostri fonemi. È evidente che introdurre un fonema nuovo è qualcosa di ben più complicato, per nulla paragonabile all'importazione di nuove parole (e ancor più agli errori di battitura, ma immagino che quelle sopra fossero mere provocazioni). Questo perché esistono esigenze reali con cui i propositi ideali non possono che scontrarsi.
La lingua non è totalmente sotto il nostro controllo. E soprattutto è del tutto opinabile che le discriminazioni dipendano da esse. In una lingua che ha due generi è normale che si ponga il problema di renderne uno onnicomprensivo. È possibile che il previgente sistema patriarcale avesse contribuito in maniera determinante in quella scelta, ma è altrettanto vero che nella lingua italiana il genere grammaticale non è di per sé legato al sesso biologico – quante guardie giurate hanno lamentato discriminazioni per essere chiamate con un sostantivo femminile? e quante donne e uomini si sono sentiti discriminati per essere stati chiamati, rispettivamente, «individuo» o «persona»? – e, soprattutto, la realtà sociale sta già superando le imperfezioni del linguaggio connesse alla necessità ineluttabile di scegliere un genere onnicomprensivo fra gli unici due disponibili (un esempio fra tanti: la già citata maggioranza femminile nel ceto forense). Vi è poi da non dimenticare che l'italiano conosce da sempre molti termini gender-neutral, se vogliamo metterla in questo modo. Perciò, se uno pensa che sia possibile mutare la realtà a partire dal linguaggio, cosa per me velleitaria, può comunque già tentare di farlo seguendo altre strade che risultino più naturali ed armoniche con il nostro idioma. Imporre un cambiamento così radicale alla maggioranza delle persone (termine femminile ma neutrale, per l'appunto) vi pare davvero possibile? Ma soprattutto davvero vi sembra utile? L'ho già detto altrove ma lo ribadisco: questo problema nasce oltreoceano proprio perché in quella parte del mondo non riescono a cogliere la dimensione materiale delle discriminazioni, perciò si concentrano sul (e si limitano al) piano ideale, simbolico. E lo fanno proponendo soluzioni tarate su problemi che però sono tipici della loro lingua, che non conosce il genere grammaticale. Molti giovani italiani oggi usano indicare nella sezione bio dei propri profili social la loro percezione di sé attraverso i pronomi inglesi e questo non è un caso: in italiano il problema si pone molto, molto meno. Addirittura, faceva notare quel giornalista di cui parlavo, lo fanno perfino i giovani finlandesi, che nella loro lingua conoscono solo pronomi neutri.

Ora, tutto questo discorso del genere deriva proprio dalla concezione antiessenzialista postmodernista, che riduce il naturale al culturale: il piano reale, percepito come statico e in un certo senso supino rispetto a quello culturale, viene continuamente plasmato da quest'ultimo culturale, l'unico tra i due ad essere ritenuto rilevante e dinamico. Perciò il genere, da (reale) questione psicologica dell'individuo, assume i contorni di un'entità culturale che va scardinata proprio perché inquadrata come costrutto meramente ideologico – e non come approssimazione (imperfetta) dell'esistente – nonché come mezzo politico per ottenere un fine: la perpetrazione dell'opposizione binaria. Questo che comporta? Beh, semplice: non esistono più né un'identità maschile né un'identità femminile, perché genere e sesso non vanno più in contraddizione. La stessa percezione del corpo biologico diventa qualcosa di definito culturalmente, perciò riplasmabile a partire proprio dal piano culturale, cioè anche dal linguaggio.
Questo modo di pensiero non è univocamente accettato nel mondo LGBTQ+. Per esempio, non sono pochi a percepirlo come un attacco all'omosessualità. Allargando ulteriormente lo sguardo si può apprendere come pure molte femministe non lo vedano di buon occhio, in quanto contrario alla dottrina della differenza, che rivendica con orgoglio la femminilità. Questo dimostra, banalmente, che ridurre l'esistente a mere questione culturali vuol dire aprire ad una spirale particolarista, dove ciascuna categoria pretende di imporre la cultura funzionale all'imposizione della propria identità.
Ad essere eliminato è il rapporto dialettico fra natura e cultura. Perciò a molti di noi sembrano strane queste idee: ci appare indubitabile che nella crescita di ciascun individuo vengono in rilievo sia elementi di predisposizione naturale sia componenti di naturale educazionale, culturale. Come e quanto possano le seconde rimodellare le prime è tutto da capire, e soprattutto varia da cultura a cultura, nello spazio e nel tempo. Però rimane certo, per noi che non accediamo a questa corrente filosofica, che una componente naturale permane. Che in alcuni individui questa possa "soccombere" a quella psicologica, come accade a chi decide poi di cambiare sesso, non è meramente normale: è proprio naturale. Ma altrettanto naturali sono alcune differenze tendenziali fra i sessi, che sono poi quelle che contribuiscono a determinare gli stereotipi. Le differenze tendenziali ovviamente non rappresentano la realtà, che è un complesso intricato di variazioni e peculiarità intermedie; tutt'al più la approssimano e pure grossolanamente, in modo chiaroscurale. Il punto però è che l'assenza di un confine netto tra identità maschile e identità femminile, così come la presenza di persone i cui orientamenti di genere sfuggono all'una e all'altra, non può per ciò stessa portare all'abolizione di queste categorie, che, per quanto imperfette e approssimative, rimarranno comunque funzionali a rispondere ad esigenze reali. L'alternativa è favorire contrapposizioni identitarie sterili ed incomponibili, permettendo alle molteplici percezioni soggettive di divenire centro di riferimento per il diritto e per la morale e, quindi, di elevarsi definitivamente ed irrimediabilmente su quella collettiva, con inevitabile acutizzazione delle tendenze centrifughe che stiamo vedendo, dove ognuno pretende che le convenzioni sociali, linguaggio compreso, vengano a riadattarsi sulle proprie necessità e peculiarità (l'opposto dell'inclusione, appunto). Visto però che il reale esiste e ha una sua autonomia dal culturale, l'unico effetto della negazione della dialettica fra i due piani è di negare anche quella tra individuo e collettività, proponendo soluzioni, come queste ortografiche, che non possono che essere percepite come aliene dalla maggioranza del corpo sociale di riferimento.

Spero che questo pippone, che rasenta l'OT, riesca a dare un minimo di contesto, magari spiegando come spesso alla base di queste diversità di vedute ci siano profonde divergenze filosofiche. Mi auguro anche che non venga gratuitamente additato come qualcuno che «odia il diverso e il cambiamento» per il sol fatto di ritenermi incompatibile con una filosofia che vede il reale come un'entità statica ed eterna. Certo è, però, che l'adozione di linee editoriali divisive, magari efficaci (almeno nel breve periodo) dal punto di vista pubblicitario, mi mette molta tristezza addosso. Per quanto ritenga che tutto sia in un certo senso "politico", dal momento che la politica è il precipitato pratico della nostra intima filosofia, sono comunque convinto che in certi ambiti, magari già inclini all'inclusione, come il nostro, sarebbe meglio andarci coi piedi di piombo.
Ehm... siiiiii.... capito.... (forse):ninja:
Tendo a concordare, anche con la lunghezza del tuo post :p (vedi mio sopra)
 

prozio

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prozio
quindi possono sostenere di avere coppia di cromosomi XX?
Mi sembra ti manchino un po' le basi per affrontare una discussione su questo argomento se ritieni ancora che donna = cromosomi xx.

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Agzaroth

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Mi sembra ti manchino un po' le basi per affrontare una discussione su questo argomento se ritieni ancora che donna = cromosomi xx.

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sicuro? Quindi 5 anni di studi medici non contano? Tu ad esempio in che materia sei laureato? O forse si sta spostando l'idea di poter definire "donna" tutto quello che ci pare ed è lì, il centro del discorso?
 

Thegoodson

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Dai, facciamo un bel pippone. È il momento 😆
Intanto permettetemi ma certi accostamenti proprio non sono pertinenti. La differenza non è lieve tra l'importare un nuovo lemma dall'estero (cosa del tutto naturale) e il modificare la struttura grammaticale di una lingua introducendo una nuova desinenza mediante un carattere ed un fonema estranei. Partiamo da un presupposto: la pronuncia di una parola estera viene sempre adattata nella lingua di arrivo. Prendiamone una di derivazione straniera che presenterebbe la schwa nella pronuncia: computer. Come la pronunciamo? Kom'pju:ter o Kəm'pjutə(r)? È ovvio che la sentiamo pronunciata sempre nel primo modo, perché più armonico con i nostri fonemi. È evidente che introdurre un fonema nuovo è qualcosa di ben più complicato, per nulla paragonabile all'importazione di nuove parole (e ancor più agli errori di battitura, ma immagino che quelle sopra fossero mere provocazioni). Questo perché esistono esigenze reali con cui i propositi ideali non possono che scontrarsi.
La lingua non è totalmente sotto il nostro controllo. E soprattutto è del tutto opinabile che le discriminazioni dipendano da esse. In una lingua che ha due generi è normale che si ponga il problema di renderne uno onnicomprensivo. È possibile che il previgente sistema patriarcale avesse contribuito in maniera determinante in quella scelta, ma è altrettanto vero che nella lingua italiana il genere grammaticale non è di per sé legato al sesso biologico – quante guardie giurate hanno lamentato discriminazioni per essere chiamate con un sostantivo femminile? e quante donne e uomini si sono sentiti discriminati per essere stati chiamati, rispettivamente, «individuo» o «persona»? – e, soprattutto, la realtà sociale sta già superando le imperfezioni del linguaggio connesse alla necessità ineluttabile di scegliere un genere onnicomprensivo fra gli unici due disponibili (un esempio fra tanti: la già citata maggioranza femminile nel ceto forense). Vi è poi da non dimenticare che l'italiano conosce da sempre molti termini gender-neutral, se vogliamo metterla in questo modo. Perciò, se uno pensa che sia possibile mutare la realtà a partire dal linguaggio, cosa per me velleitaria, può comunque già tentare di farlo seguendo altre strade che risultino più naturali ed armoniche con il nostro idioma. Imporre un cambiamento così radicale alla maggioranza delle persone (termine femminile ma neutrale, per l'appunto) vi pare davvero possibile? Ma soprattutto davvero vi sembra utile? L'ho già detto altrove ma lo ribadisco: questo problema nasce oltreoceano proprio perché in quella parte del mondo non riescono a cogliere la dimensione materiale delle discriminazioni, perciò si concentrano sul (e si limitano al) piano ideale, simbolico. E lo fanno proponendo soluzioni tarate su problemi che però sono tipici della loro lingua, che non conosce il genere grammaticale. Molti giovani italiani oggi usano indicare nella sezione bio dei propri profili social la loro percezione di sé attraverso i pronomi inglesi e questo non è un caso: in italiano il problema si pone molto, molto meno. Addirittura, faceva notare quel giornalista di cui parlavo, lo fanno perfino i giovani finlandesi, che nella loro lingua conoscono solo pronomi neutri.

Ora, tutto questo discorso del genere deriva proprio dalla concezione antiessenzialista postmodernista, che riduce il naturale al culturale: il piano reale, percepito come statico e in un certo senso supino rispetto a quello culturale, viene continuamente plasmato da quest'ultimo culturale, l'unico tra i due ad essere ritenuto rilevante e dinamico. Perciò il genere, da (reale) questione psicologica dell'individuo, assume i contorni di un'entità culturale che va scardinata proprio perché inquadrata come costrutto meramente ideologico – e non come approssimazione (imperfetta) dell'esistente – nonché come mezzo politico per ottenere un fine: la perpetrazione dell'opposizione binaria. Questo che comporta? Beh, semplice: non esistono più né un'identità maschile né un'identità femminile, perché genere e sesso non vanno più in contraddizione. La stessa percezione del corpo biologico diventa qualcosa di definito culturalmente, perciò riplasmabile a partire proprio dal piano culturale, cioè anche dal linguaggio.
Questo modo di pensiero non è univocamente accettato nel mondo LGBTQ+. Per esempio, non sono pochi a percepirlo come un attacco all'omosessualità. Allargando ulteriormente lo sguardo si può apprendere come pure molte femministe non lo vedano di buon occhio, in quanto contrario alla dottrina della differenza, che rivendica con orgoglio la femminilità. Questo dimostra, banalmente, che ridurre l'esistente a mere questione culturali vuol dire aprire ad una spirale particolarista, dove ciascuna categoria pretende di imporre la cultura funzionale all'imposizione della propria identità.
Ad essere eliminato è il rapporto dialettico fra natura e cultura. Perciò a molti di noi sembrano strane queste idee: ci appare indubitabile che nella crescita di ciascun individuo vengono in rilievo sia elementi di predisposizione naturale sia componenti di naturale educazionale, culturale. Come e quanto possano le seconde rimodellare le prime è tutto da capire, e soprattutto varia da cultura a cultura, nello spazio e nel tempo. Però rimane certo, per noi che non accediamo a questa corrente filosofica, che una componente naturale permane. Che in alcuni individui questa possa "soccombere" a quella psicologica, come accade a chi decide poi di cambiare sesso, non è meramente normale: è proprio naturale. Ma altrettanto naturali sono alcune differenze tendenziali fra i sessi, che sono poi quelle che contribuiscono a determinare gli stereotipi. Le differenze tendenziali ovviamente non rappresentano la realtà, che è un complesso intricato di variazioni e peculiarità intermedie; tutt'al più la approssimano e pure grossolanamente, in modo chiaroscurale. Il punto però è che l'assenza di un confine netto tra identità maschile e identità femminile, così come la presenza di persone i cui orientamenti di genere sfuggono all'una e all'altra, non può per ciò stessa portare all'abolizione di queste categorie, che, per quanto imperfette e approssimative, rimarranno comunque funzionali a rispondere ad esigenze reali. L'alternativa è favorire contrapposizioni identitarie sterili ed incomponibili, permettendo alle molteplici percezioni soggettive di divenire centro di riferimento per il diritto e per la morale e, quindi, di elevarsi definitivamente ed irrimediabilmente su quella collettiva, con inevitabile acutizzazione delle tendenze centrifughe che stiamo vedendo, dove ognuno pretende che le convenzioni sociali, linguaggio compreso, vengano a riadattarsi sulle proprie necessità e peculiarità (l'opposto dell'inclusione, appunto). Visto però che il reale esiste e ha una sua autonomia dal culturale, l'unico effetto della negazione della dialettica fra i due piani è di negare anche quella tra individuo e collettività, proponendo soluzioni, come queste ortografiche, che non possono che essere percepite come aliene dalla maggioranza del corpo sociale di riferimento.

Spero che questo pippone, che rasenta l'OT, riesca a dare un minimo di contesto, magari spiegando come spesso alla base di queste diversità di vedute ci siano profonde divergenze filosofiche. Mi auguro anche che non venga gratuitamente additato come qualcuno che «odia il diverso e il cambiamento» per il sol fatto di ritenermi incompatibile con una filosofia che vede il reale come un'entità statica ed eterna. Certo è, però, che l'adozione di linee editoriali divisive, magari efficaci (almeno nel breve periodo) dal punto di vista pubblicitario, mi mette molta tristezza addosso. Per quanto ritenga che tutto sia in un certo senso "politico", dal momento che la politica è il precipitato pratico della nostra intima filosofia, sono comunque convinto che in certi ambiti, magari già inclini all'inclusione, come il nostro, sarebbe meglio andarci coi piedi di piombo.
post impegnativo da leggere, ma che a livello teorico trovo condivisibilissimo.
 

Agzaroth

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ah, prima che qualcuno tiri per la giacchetta i soliti intersex, sappia che nell'ombrello intersex rientrano un sacco di patologie mediche di svariata natura, entità e gravità, per fortuna molto rare, che solo per comodità vengono raggruppate tutte in un unico termine. Sostenere che esista un "genere intersex" è una vigliaccata nei confronti di chi ha questi problemi.
 

Agzaroth

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Agzaroth
Mi sembra ti manchino un po' le basi per affrontare una discussione su questo argomento se ritieni ancora che donna = cromosomi xx.

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dammi pure la tua, di definizione di donna.
In condizioni di norma, il fenotipo esprime il genotipo, ma immagino tu abbia un'altra idea della definizione.
 

prozio

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sicuro? Quindi 5 anni di studi medici non contano? Tu ad esempio in che materia sei laureato? O forse si sta spostando l'idea di poter definire "donna" tutto quello che ci pare ed è lì, il centro del discorso?
Ci sono ingegneri che hanno sposato la teoria della terra piatta, ci sono scienziati che credono in un qualche dio/entità sovrannaturale, ci sono medici che usano l'omeopatia.
Tu quante persone conosci che non si riconoscono nel proprio sesso biologico? Quante che hanno subito discriminazioni per i propri orientamenti sessuali?
Fai parte o frequenti ambienti lgbt+?

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Agzaroth

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Agzaroth
Ci sono ingegneri che hanno sposato la teoria della terra piatta, ci sono scienziati che credono in un qualche dio/entità sovrannaturale, ci sono medici che usano l'omeopatia.
Tu quante persone conosci che non si riconoscono nel proprio sesso biologico? Quante che hanno subito discriminazioni per i propri orientamenti sessuali?
Fai parte o frequenti ambienti lgbt+?

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bene, quindi senza polemica, procediamo per gradi: mi stai intanto parlando di sesso biologico.
Partiamo quindi dalla condivisione che esista un sesso biologico? Da cosa è determinato?

(p.s. non si sta parlando di me o di te, ma di definizioni, eviterei di proseguire discorsi ad personam, ma se ci tieni, io sono una donna, nera, in transizione)
 

Patsy

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ifikrate
Concordo solo che un adulto ha messo in difficoltà 4 ragazzi.
Intanto sono adulti, dato che sono universitari.
Ovviamente il video è una provocazione.
E la domanda sui 2 metri ha poco senso e non è paragonabile dato che l'altezza è un dato misurabile e incontrovertibile (per quanto le misure siano una convenzione).
Ma che tutto stia diventando un atto di fede non ragionato davvero condiviso si vede dalle risposte date sulla donna cinese. La risposta non sei cinese, ma un uomo bianco, fa capire ad esempio il razzismo rovesciato: oggi,in occidente, tutti danno per scontato che un nero o un asiatico possano essere di qualsiasi nazionalità. Ma il contrario non è concepito (non del tutto a torto in realtà, data la chiusura, se non il razzismo, imperante in quasi tutte le culture asiatiche).
Tralascio il fatto che imporre alle donne la presenza di uomini nei bagni a loro riservati credo non faccia piacere proprio a tutte ((e di quelle favorevoli vorrei vedere quante lo sarebbero ancora se al bagno della stazione (o del ristorante o della piscina) entrasse un bel omaccione mentre ci sono solo loro)). Tanto che a che in California era venuto fuori un putiferio per una sauna femminile: ma davvero noi uomini (perché anche in questi casi sempre di uomini o nati tali si tratta) vogliamo imporre la nostra presenza al gentil sesso anche nei pochi spazi a loro riservati in esclusiva?
Davvero la maggioranza deve sempre e solo subire? Non si può avere un po di rispetto e non cercare sempre di imporsi?
Ma pure al cesso le signore non possono stare tranquille e senza rotture di scatole?
 

Jafar

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Ci sono ingegneri che hanno sposato la teoria della terra piatta, ci sono scienziati che credono in un qualche dio/entità
Ci sono pure persone che ogni tanto oggettivamente hanno torto nella vita eh. E non mi riferisco alla discussione sull'identità sessuale ovviamente ma solo all'esempio citato.
 
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