“Non fidarti della momentanea bonaccia: fa presto il mare ad agitarsi; nello stesso giorno le barche affondano là dove si erano spinte per svago”
Lucio Anneo Seneca
Quando è uscito l’articolo di Agzaroth sui
10 giochi american migliori di sempre e non includeva
La Guerra dell’Anello (GdA da qui in poi) avevo due scelte: andare dall’avvocato per capire la possibilità di intentargli causa oppure fare
un pippone una
profonda riflessione sulla fortuna. Più dell’articolo, mi ha mobilitato la risposta del Signor Darcy a un utente che si stupiva dell’assenza di
GdA: “I dadi azione sono forse il vero scoglio del gioco, se non altro in termini di attualità: sono forse l’elemento invecchiato meno bene di tutto l’impianto, giacché limitano spesso e volentieri le scelte dei giocatori, a volte costretti ad azioni relativamente subottimali”.
Inoltre, proprio la sera prima, avevo fatto con amici una bellissima partita a
Nemesis (presente nella top 10) – che avevo vinto, per bravura, ovviamente, e non per fortuna... Altro fattore scatenante è il fatto che
il tema fortuna mi ha sempre incuriosito, anzi affascinato, e dedicandomi moltissimo negli ultimi mesi – grazie sia alla nuova ristampa che alla comunità di gioco online – a
GdA,
è diventato quasi un’ossessione: si lanciano dadi che ti costringono a un orizzonte di azioni possibili turno per turno, si lanciano dadi per combattere, si pescano carte evento/combattimento in ordine del tutto casuale. Solo il
setup è fisso e immutabile, come la vita degli elfi. Quindi ambientazione esaltante – e fra le più ambite – e profluvio di emozioni nel lancio dei dadi. L’ambientazione, che in
GdA è fortissima, tratta di due imprese disperate: un mezzuomo che deve portare un anello malvagio e corruttore per chilometri fino al cuore del nemico, mentre un manipolo di coraggiosi deve difendersi da orde infinite di creature malvagie; ma anche per Sauron non è affatto facile trovare un anello in tutta la Terra di mezzo, mentre deve organizzare un attacco militare su vasta scala che, pur disponendo di soverchie unità, è reso difficile dal fatto che nani, elfi e uomini siano tutti ottimi guerrieri che difendono per giunta la propria libertà. Le forze e le variabili in gioco sono molte e quindi anche il caso la fa da padrone – ed il gioco simula molto bene tutto ciò.
È bene a questo punto intenderci su cosa siano il caso, l’alea, la fortuna che spesso sembrano una categoria residuale, un ospite indesiderato per molti, una dinamica che piace ai ludopati American.
“I tratti essenziali di ogni gioco: la simmetria, le leggi arbitrarie, la noia”
Jorge Luis Borges
Per la
goblinpedia l’alea, la fortuna, il caso sono “
tutti quegli elementi di gioco indipendenti dall'intervento dei giocatori, introdotti da meccaniche di gioco esterne al controllo dei giocatori”. È curioso che
nella nostra cultura moderna e occidentale con il termine fortuna (che ha radice latina che significa semplicemente
ciò che avviene)
si intenda soprattutto la buona sorte mentre per alea (che banalmente significa dado)
si intenda il rischio, con una connotazione quindi prettamente probabilistica. In realtà per i nostri antenati la
Fortuna era identificata con una potenza superiore che determinava gli avvenimenti, positivi o negativi che fossero. È dal medioevo, epoca molto cristiana nel mondo conosciuto, che la dea bendata viene pian piano soppiantata dalla
Provvidenza, cioè un attributo del Dio cristiano che, non potendo essere malevolo, ha un preordinato fine di bene, anche quando un avvenimento è
apparentemente negativo. Ne rimane traccia nella lingua, infatti
noi auguriamo buona fortuna, perché essa può essere anche cattiva. Se quindi osserviamo la questione da questo punto di vista semantico, possiamo vedere come la vita umana, sia del singolo che della specie, sia il tentativo di
gestire la fortuna, di parare gli eventi negativi, sfruttare quelli positivi oppure costruire le condizioni perché si verifichi quello che noi desideriamo, al riparo il più possibile da eventi negativi. Il gioco sposta sul piano ludico-simulativo tutta questa dinamica che nell’uomo assurge a programma di specie, alla massima potenza attraverso la cultura (e quindi la tecnica).
Chi gioca a
Nemesis sta simulando la vita, al riparo però, dai mostri veri, dalle ferite, dalla morte. Io credo che questa simulazione (nei suoi aspetti cognitivi, relazionali ed emotivi) sia proprio ciò che noi cerchiamo nel gioco. Qui, estremizzando, ci sono i due modi in cui i giochi e i giocatori spesso si differenziano: da un lato le simulazioni tal quale il nostro universo, in cui il giocatore
American ama gestire la fortuna attraverso scelte più o meno subottimali; dall’altro le simulazioni di un universo utopico o parallelo in cui abbiamo informazioni complete e il giocatore
German può gestire tutti i parametri presenti in scelte il più ottimali possibile.
Nella vita extraludica siamo costantemente chiamati a prendere decisioni più o meno importanti avendo a disposizione un set di informazioni parziali. Anzi, spesso proprio di fronte alle scelte importanti abbiamo meno informazioni – cioè le conseguenze delle nostre decisioni possono molto facilmente variare nel futuro in maniera considerevole al di fuori del nostro controllo: la scelta di studiare una certa materia, scegliere una carriera, fare un investimento, sposarsi, avere un figlio, trasferirsi o restare.
Senza parlare degli imprevisti (facendo esempi di fantasia): un nuovo virus che comincia a circolare nel mondo; una guerra inaspettata che compromette decenni di equilibri. Sul versante
German i giocatori amano simulare non solo impossibili universi di ordine e armonia, ma anche quegli spazi circoscritti che nella sua storia evolutiva l’uomo ha cercato di preservare dal caso: il motore termico di un’automobile, una centrale nucleare, la struttura portante di un edificio.
Fra questi voglio citare i due capolavori
Wir Sind Das Volk e
Maria (eh sì, seppure a volte pretestuosa, la forte ambientazione per me è importante). Da un po’ di tempo gli autori si sono spinti sulla creazione dei cosiddetti ibridi, un po’
German ed un po’
American, fra i quali cito
Robinson Crusoe. Ora, io non ho le competenze per entrare nel merito, ma forse, a livello metaforico, non sbaglio se paragono gli ibridi a quelle importanti attività umane che cerchiamo il più possibile di controllare che poi inevitabilmente sono anche esposte alla fortuna: una produzione agricola che grazie alla tecnologia oggi è abbastanza standardizzata e potente per isolare il più possibile dagli accadimenti il processo, ma che eventi ambientali possono ancora far variare.
Quello che probabilmente sfugge è che l’alea è sempre presente, in qualunque situazione di vita, giochi german compresi.
E, per altro verso, nei giochi American l’alea conta meno di quanto sembri.
“Giudico che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre ma che ce ne lasci governare l’altra metà”
Machiavelli
Dimostrazione ne è il fatto che a livello competitivo i giocatori più bravi – d’altronde come nei settori non ludici, in quelli sportivi, lavorativi, eccetera – tendono a restare tra i primi dieci, a vincere persino nel tanto vituperato
Risiko per il quale conosco statistiche basate su mezzo milione di partite online con regole da torneo. Noi tutti sappiamo che la statistica funziona bene sui grandi numeri eppure
i lanci dei dadi risultano abbastanza distribuiti anche nelle singole partite.
Non mi suona strano questo dato visto che giocando online e competitivamente
GdA anche lì è frequente osservare, su una singola partita in cui si lanciano direi un minimo di trecento dadi (fra dadi azione e dadi combattimento), come le statistiche si discostino di poco o siano spesso nella media. E anche quando non lo sono non influenzano (salvo casi estremi) l’esito della partita, a meno che non ci sia un certo divario fra i due giocatori. “
Ah!” mi dirà il Sig. German che ha appena finito una partita a
Terra Mistyca “i
o non voglio che la fortuna, anzi buona o cattiva fortuna come dici tu, influenzi o addirittura determini la buona riuscita delle mie magnifiche strategie. Ok, sarà un universo utopico o molto circoscritto, ma io godo così, hai problemi a riguardo?”. Assolutamente no mio caro amico, non mi fa problema che tu goda così, ma che tu ti prenda in giro sì però!
Mi spiego, entrando nell’aspetto più tecnico dell’alea, suddividendola in tre tipologie:
- alea di output: ti attacco, il lancio dei dadi combattimento decide come va a finire;
- alea di input: lancio dei dadi azione (come in GdA) e io potrò effettuare le azioni che quei dadi permettono, in altre parole posso solo decidere cosa fare con quello che ho;
- alea intrinseca: essendoci interazione umana, non solo le azioni dell’altro non possono mai essere completamente prevedibili, ma, soprattutto, io o l’altro possiamo distrarci per una frazione di secondo oppure sbagliare mossa perché un meeple era in ombra – e questo può danneggiare chi sbaglia, ma, per assurdo, anche se improbabile, anche avvantaggiarlo.
Il terzo tipo di alea non è eliminabile, è intrinseca al funzionamento di questo universo soprattutto quando entrano in gioco dinamiche psicologiche. In un ipotetico gioco che non preveda alcun tipo d'interazione, ci sarebbe sempre la variabilità casuale dovuta ai fattori inconsci soggettivi. E quindi mio caro Sig. German, anche negli Scacchi c’è alea – della peggior specie perché è quella meno controllabile in quanto occulta.
Possiamo a buon diritto affermare che i giochi con alea di tipo 1 e 2 sono, in fondo, comunque dei gestionali, solo che tra i fattori da gestire c'è anche la probabilità, la buona e la cattiva sorte.
“La sorte, buona o cattiva, ci accompagna sempre, ma ha un modo di favorire l'intelligente e di voltare le spalle allo stupido”
John Dewey
Secondo le indagini psicosociali le persone con maggiore scolarità tendono a credere di poter determinare maggiormente il proprio destino – la mia impressione è che nei sondaggi le persone più scolarizzate mentano sapendo di mentire.
Vi sono una serie di variabili psicologiche che determinano quanto un soggetto sente di poter controllare gli eventi. Classicamente si parla di centro di controllo (
locus of control) esterno o interno. Gli internalizzanti tendono ad attribuire a sé sia i fallimenti che i successi, gli esternalizzanti alla sorte buona o cattiva entrambi. Ci sono poi i
paraventi self serving bias che portano ad attribuire a sé i successi, alla sfortuna i fallimenti. In realtà la situazione è molto più complicata di così, in quanto noi tutti conserviamo dall’infanzia una qualche forma di pensiero magico che ci porta a credere (giusto o sbagliato che sia) di poter influenzare gli eventi da un lato e, dall’altro, (quasi sempre sbagliato) che ci siano potenze misteriose che li controllano. La letteratura e la
folk psychology (su cui la prima fa spesso leva per vendere) sono piene di riferimenti al destino, a forze spesso benigne che guidano i nostri eventi e determinano l’esito delle nostre azioni.
Come ogni fenomeno psicologico, questo corpus di credenze è polarizzato: c’è una versione pessimistica che corre parallela alla speranza che invece il disegno sia buono.
Sul versante pessimistico, molto famosa è la cosiddetta
legge di Murphy che sancisce che se qualcosa può andar male lo farà, e nella vulgata ha perso il senso ironico originario. In realtà l’assioma sancisce una verità statistica e cioè che per quanto sia improbabile che si verifichi un certo evento, se il numero di occasioni è elevato, (tendendo all'infinito) questo finirà molto probabilmente per verificarsi. Cioè accadrà tutto quello che può accadere prima o poi.
In una partita singola gli eventi sono troppo pochi perché ci sia una distribuzione statistica perfetta; però, tendenzialmente, stando alle statistiche molto attendibili che citavo prima,
tende comunque a verificarsi con squilibri anche nella stessa partita: magari nella prima metà partita tiriamo molti "6" che poi latitano nella seconda metà. Ecco allora che la bravura nella gestione della sorte consta da un lato nel parare il più possibile gli eventi avversi e sfruttare al meglio quelli favorevoli quando accadono.
Ho l’impressione che citare questi dati serva solo a giustificare gli American agli occhi dei severi giocatori teutonici – come il povero arricchito che deve giustificare la legittimità della sua presenza a una festa di nobiluomini. In ultima analisi il giocatore American vuole gestire la fortuna. E, come nella vita, a volte, gli eventi sono talmente estremi che ci travolgono, ma, sempre, possiamo farne qualcosa. Che sia anche solo perdere con onore.
“Ti ho prevenuta, o sorte, e da ogni tua insidia mi sono premunito. Non a te né ad alcun'altra circostanza ci arrenderemo: ma quando sia necessario andarcene, sputando ampiamente sulla vita e su quelli che vanamente ci si attaccano, ce ne andremo con un bell’elogio, proclamando quanto bene abbiamo vissuto”
Epicuro
La nobiltà del giocatore American è nella sfida che oppone alla sorte, nel riuscire a cavarsela in mezzo alla tempesta mentre urla contro le divinità che non lo avranno senza combattere, battendo pugni e lingua contro il cielo mentre governa la sua barca in mezzo al fortunale. Mentre governa! Il tutto comodamente seduti al tavolo del salotto, con una buona birra accanto al tabellone (eh sì, io corro anche questo rischio), in ciabatte. Questo è il potere dell’immaginario umano che ci permette di immedesimarci con grandi eroi e creature malvagie, di viaggiare in tempi mai esistiti e luoghi di meraviglia. Potere magico davvero formidabile.
È chiaro che in mezzo alla tempesta, alla guerra, di fronte a una creatura minacciosa che ci si para innanzi parlare di scelte subottimali è già un eufemismo. Le scelte subottimali sono quelle che affrontiamo quotidianamente nella nostra vita, ma più le situazioni sono estreme minori saranno le informazioni che abbiamo, le azioni che possiamo scegliere, la capacità e la probabilità di portarle a termine nel modo in cui desideriamo.
Mi viene in mente qui il disastro della Costa Concordia. Innanzitutto l’incidente, che rientra appieno nell’assioma di Murphy: erano infatti decenni che si faceva il cosiddetto
inchino – e tutti lo sapevano – ed era solo questione di tempo prima che qualche nave andasse a scontrarsi contro qualcosa. Se è un bene che l’inutile e smargiasso rituale dell’inchino sia stato, spero, bandito per sempre, bisogna anche dire che gli incidenti càpitano. Perché precisarlo? Perché il grande potere tecnico che abbiamo acquisito ha portato gli occidentali a una forma di delirio di controllo. Questo è un passaggio importante:
da un lato acquisiamo tanto potere di controllo, dall’altro ci rendiamo conto che non possiamo avere tutto il controllo che vorremmo, che l’ordine degli eventi (sia per grandezza che per complessità) ci surclassa e noi lo sappiamo oggi ancora più di ieri proprio grazie a quella stessa conoscenza che ci ha fatto progredire. In un mondo dove, se è vero che sopravvive – e sempre lo farà – un pensiero magico, la fede in divinità benigne che guidano il destino in realtà è in forte declino. La tendenza politica diventa così negli ultimi anni quella di ipernormazione, patetico (e deleterio) tentativo di controllare la sgusciante realtà. I legislatori occidentali sono anni che costruiscono un enorme gioco da tavolo
German con migliaia di regole e regolette, con cui, però, nessuno si diverte. L’altro aspetto della tragedia del mare di cui stiamo parlando è tutta la straordinaria opera di recupero della nave; ho visto qualche settimana fa un documentario in cui l’ingegnere responsabile di tutta la maestosa operazione diceva, con enorme orgoglio - ma ancora con un fremito di terrore nella voce - quanto fosse probabile che, soprattutto negli ultimi passaggi, qualcosa andasse storto. Era un tiro di dadi, non alla cieca però eh! Si colpiva al 6 con un d6 (
dado a 6 facce, ndr), però avevano fatto in modo di avere più unità possibile, quattro comandanti (che permettono di ritirarlo una volta), avevano almeno tre ottime carte combattimento e nell’esercito erano presenti quattro unità élite (che, per chi non conoscesse GdA, permettono di proseguire l’assedio a una fortezza e valgono due punti danno). Un attacco devastante ma comunque fallibile.
“Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali”
W. Shakespeare
Al di là dell’evocatività epica e del divertimento, sono convinto del
grande potere psicopedagogico che la dimensione simulativa dei gioco da tavolo permette. Generalizzando: di controllo di situazioni, apparati, ambienti a bassa alea i
German, di gestione di situazioni
ecologiche gli
American. Se utilizzati nel modo appropriato, i giochi possono mettere alla prova, esplicitare – e rendere quindi passibili di elaborazione – i meccanismi psicologici che ciascuno di noi gelosamente custodisce e che ripete in un eterno ciclo che si autoconsolida.
Per esempio,
quello che crede di essere sfortunato ha due possibilità – sempre generalizzando:
prepararsi molto per affrontare l’inevitabile cattiva sorte che lo colpirà, oppure non prepararsi perché tanto la iella sarà più forte. Di solito lo sfortunato si comporta più in quest’ultima modalità. Ma anche qualora fosse uno sfortunato operoso commetterà qualche errore, inconsapevolmente, in modo da continuare a confermare la propria visione del mondo.
Chi si crede fortunato, in modo speculare,
non si preparerà perché tanto è sicuro che gli andrà bene,
oppure, credendo che ha la possibilità di perseguire i suoi obiettivi,
si preparerà. Di solito si verifica quest’ultima opzione e questo confermerà la sua credenza. Di conseguenza lo
sfortunato produrrà la sua sfortuna attraverso errori o poca preparazione o perché si prepara con la delusione preventiva nel cuore o perché sapendo che fallirà non persevererà. Il
fortunato, di solito abbastanza preparato, avrà un alone di simpatia e sicurezza che a parità di preparazione gli varrà un voto più alto del suo
sfortunato collega; soprattutto, convinto di potercela fare, riuscirà a vedere quegli appigli minimi o grandi presenti in quel momento e non si farà sopraffare dagli eventi sfortunati dai quali uscirà con il minimo danno o, addirittura, riuscirà a trarre un qualche vantaggio.
Ultima obiezione che mi autoinfliggo e poi prometto di cessare questo pippone queste elucubrazioni: esistono delle partite completamente sfortunate! Come esistono, ne conosciamo purtroppo, persone sfortunate che, per esempio, nascono già con delle difficoltà fisiche o ambientali. Verissimo, purtroppo. Nel mio mestiere (sono uno psicoanalista) ho incontrato tantissime persone che sono state molto sfortunate, che la vita, le persone più care, la fortuna, hanno sferzato con offese ingiuste, soprattutto se inflitte quando erano bambini. Eppure, in scienza e coscienza, non posso affermare che chi subisce certi affronti dalla vita sarà infelice o si ammalerà. Perché ci sono tante altre persone che hanno affrontato gli stessi problemi e sono felici. Solo che io non le incontro nel mio mestiere. Questo si chiama pregiudizio di sopravvivenza. La mia mente va subito a due delle persone più sfortunate che si possano immaginare: Nick Vujicic che è nato senza gambe né braccia a causa della tetramelia, una grave malattia congenita. Io non so se sarei sopravvissuto, lui è uno scrittore famoso, predicatore, divenuto benestante e, perché no, diciamolo, ha una bella moglie e quattro figli. Oppure Sammy Basso, affetto da progeria (malattia rara che causa l'invecchiamento precoce) che ha fatto della sua vita un efficace stendardo per la ricerca sulla sua malattia. In un passaggio di un suo libro Vujic scrive: “a volte pensando alla mia vita mi dicevo: non posso fare questo… nemmeno quest’altro… Questo mi dava profonda tristezza. Poi ho cominciato a dirmi: ok, ma cos’è che posso fare?”. Non è troppo se affermo che questa è la descrizione migliore – anche se drammatica – che si possa dare di scelta subottimale.
Attenti però! Ho dovuto generalizzare perché ci sono più sfumature nell’animo umano che in un bosco d’autunno. Nel gioco da tavolo, come nella vita, si può anche mentire. Parlo dei piagnoni tattici: quei giocatori che, come lupi travestiti da agnelli, cominciano a lamentarsi della sorte non ottima che hanno avuto al primo lancio di dadi oppure alla prima pescata di carte. È una tattica (consapevole o meno) molto efficace che ha come risultato sempre di deconcentrare l’avversario e, essi funzionano così, di motivarsi e cercare con maggiore convinzione di farcela con quello che hanno. Quindi in realtà questo loro, fastidiosissimo, atteggiamento li mette proprio nella giusta disposizione di cavare il meglio da quello che si ha. Con mio grande dispiacere, i piagnoni tattici sono la testimonianza vivente che anche i grandi, come Shakespeare, possono sbagliare: piangere sui propri mali può portare a vincere! Al tavolo da gioco incontreremo tutti i tipi, e anche da questo punto di vista relazionale, in un contesto abbastanza protetto, sarà possibile allenarsi a rapportarsi e fronteggiare i diversi tipi umani – oltre che imparare a trattare la vittoria e la sconfitta per quello che sono: due bugiarde!
“Possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso”
Gandalf
Non ho sbagliato la citazione, ho scritto
Gandalf perché pochi non lo conoscono, è un personaggio vivo di cui sappiamo molto e che ci accompagna da decenni e chi gioca
GdA lo fa rivivere a ogni partita, a ogni lancio di dado, a ogni decisione strategica o mossa tattica. Ed è proprio l’ambientazione
aderente e sentita di
GdA insieme all’essere immersi in una simulazione molto fedele della
storia vera de
Il Signore degli Anelli (quindi alla gestione degli eventi di quella storia) che ne fa la quintessenza del genere
American. E
proprio la meccanica (vecchiotta) dei dadi azione che costringe a scelte subottimali è lo strumento di una più fedele simulazione da un lato e di una epica sfida puramente gestionale dall’altra.
Mi è venuto in mente qualche giorno fa il film Assolto per aver commesso il fatto di Alberto Sordi, una rocambolesca ma precisa scalata economica che porta Sordi ad acquistare la più importante emittente televisiva. Si scopre che ha fatto tutto questo perché la sua nipotina non aveva passato il casting per una trasmissione per quello che era considerato un difetto fisico, un dentino mancante. Io ho fatto tutto questo pippone lavoro di elaborazione concettuale perché La Guerra dell’Anello non è stato incluso tra i 10 giochi American migliori di sempre – ed è chiaro anche a voi, se siete arrivati fin qua nella lettura, che è stato un errore molto grave di valutazione, da denuncia. Perché GdA rappresenta la quintessenza di ciò che chiamiamo American: la sfida della gestione dell’alea in un’ambientazione straordinaria come l’epopea della Terra di Mezzo. È il gioco del mio cuore, a partire soprattutto dall’ambientazione, perché permette a ogni partita di riscrivere e rivivere la storia de Il Signore degli Anelli. È vero, è un gioco che richiede dedizione – proprio come la vita (e, invece, mi sembra che attualmente la tendenza sia la ricerca della novità). Non sono io che scopro l’importanza del gioco nell’esperienza umana, se né è parlato a profusione. Semplicemente mi sono voluto soffermare su di un aspetto che può sembrare marginale ma che io invece reputo centrale, cioè imparare a gestire la fortuna, sia cognitivamente che emotivamente. I giochi permettono di esaltare questa dimensione e quindi possono essere, oltre che una grande goduria, un ottimo strumento psicopedagogico. Perché ci permettono, al riparo dalle vere intemperie, di vivere, sperare e perseverare con coraggio di fronte all'oscurità.