Bravo!
L'accensione del braciere olimpico, momento di intensa poesia, estasi catartica attesa due anni.
A Barcellona la trovata dell'arciere fu - va detto - molto suggestiva; mentre la città della Coca-Cola, quattro anni dopo, si affidò alla gloria di un vecchio campione, malato, mai dimenticato, emozionato quanto sofferente.
Poi è come se fosse successo qualcosa. A Sydney Cathy Freeman, orgogliosa come orgogliosa è la sua nazione, accese un braciere avveniristico - acqua, fuoco, entusiasmo. Ci fu poi il ginnasta cinese che corse senza peso e senza dimensioni; mentre, quattro anni dopo, come petali nelle immagini montate al contrario di un fiore che appassisce, steli di fuoco si inerpicarono verso il cielo di Londra, fino a formare un fuoco unico, complesso e immaginifico. Infine la notte brasiliana in cui un immenso turibolo diede luce a un colossale congegno, un po' orologio meccanico del Settecento, un po' Glockenspiel, un po' caleidoscopio.
Bisognerebbe che qualcuno - Pyeongchang? Tokyo? Parigi? - si mettesse una mano sul cuore, si facesse coraggio e desse un segnale chiaro, forte, tornando a puntare sulla semplicità, sull'originalità, sul contenuto. Più merito e meno forma, facendo risparmiare la collettività per il beneficio di tutti.
Bisognerebbe che i comitati organizzatori, insomma, avessero il coraggio di tornare alla purezza di Lillehammer 1994, che fu - mi perdonerete l'arditezza - la Alea dei giochi olimpici.
Chiariamolo subito: quelli della Alea sono giochi che non hanno i mezzi per imbrogliare, perché puntano all'osso, all'essenza; eppure, spesso - prendete Puerto Rico, o Die Burgen von Burgund, o ancora Glen more - sono giochi clamorosi: sono la staffetta italiana che sconfigge gli alfieri norvegesi in casa loro, sono i muscoli tesi di Jury Chechi ad Atlanta, sono i tredici secondi di Valentina Vezzali a Londra.
Lo so bene: fuori da quelle scatole, perlomeno fuori dai giochi di questa anacronistica, stoica collana della Ravensburger, il mondo sta cambiando. Il gioco non è più tutto, perché si cercano anche una bella confezione e, soprattutto, dei materiali da urlo; si vuole qualcosa che sia bello da vedere, che sia immediato per quell'unica partita in cui, magari, verrà giocato. Soffocato da queste ingombranti vesti, anche i giochi stessi stanno evolvendosi, talvolta compensando bilanciamenti poveri con l'ingannevole miraggio della varietà, lasciando all'utente il compito di mascherare i difetti, di risolvere le magagne, finanche di eseguire - pagando, per giunta - il playtest.
Il passato non ritorna. Ieri, Puerto Rico aveva un paio di espansioni - le ho, nella scatola: mai usate -, più per sfizio che per altro. Oggi Zombicide: Green Horde deve ancora nascere, e già sono acquistabili due espansioni di taglia forte e infinite aggiunte a pagamento. Che succederà domani non lo so; ma non la vedo bene.
Ho giocato molto a Glen more, ultimamente. Non è un capolavoro, sia chiaro, ma è un peso medio di eccellente qualità: ha la giusta dose di fortuna, lo spessore tattico-strategico che ci si aspetta da un bel tedescone della sua categoria e, soprattutto, un prezzo commovente. Da più parti leggo di gente che anela a una ristampa con materiali che "gli rendano giustizia", come se quelle tessere sottili e grandi il giusto, quegli ometti colorati e quei cubetti di cui ora tutti sembrano vergognarsi non andassero più bene; come se fosse non solo normale, ma pure giusto desiderare di spendere cinquanta euro per un gioco che può regalare decine di partite - sempre diverse - a venti e poco più.
Però non voglio farne solo un discorso di soldi, sebbene - inutile girarci intorno - i soldi siano il fulcro di tutto, specialmente in un'epoca economicamente delicata come la nostra. So bene che i materiali fanno tanto, che le miniature fanno la differenza in termini di ambientazione, che il drago con un'apertura alare di cinquantaquattro centimetri farà la fortuna di Giovanna D'Arco. Tuttavia non dimentichiamoci che i giochi vanno giocati, oltreché guardati: per quanto bello possa essere uno scatolone pieno di personaggi di Guerre stellari, di orchi zombi o di soldati Lannister (sempre più di quanti te ne potranno mai servire), il punto è che stiamo mettendo in secondo piano il gioco per dei giocattoli.
A quel punto sì che diventerà dura giustificare la nostra passione.