Fortuna e giochi da tavolo

Un articolo sul rapporto tra giocatore e fortuna nel gioco da tavolo... dal mio punto di vista.

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Ricorre spesso nelle discussioni sui giochi da tavolo, in particolare sui wargames o nei giochi che comunque implicano un combattimento o che in qualche modo riproducono fatti storici. Ma più generalmente ogni volta che si parla di simulazione o ambientazione. Questo lunedì potete leggere il mio pensiero a proposito, ma il prossimo ce ne sarà uno ben più autorevole...

Intanto una precisazione: a me piacciono anche i giochi dove c'è una componente aleatoria. Certo non tutti e in misura minore ad altri più deterministici e ad informazione completa, ma gioco volentieri (molto volentieri) a Summoner Wars, Mage Wars, Trono di Spade, Race! Formula90, Battlestar Galactica, HeroQuest ed altri. O anche giochi di stampo tedesco in cui ci sia una componente fortunosa ben inserita e non determinante, ad esempio Age of Empires III o The Golden Ages.

Seconda precisazione: intendiamo come alea/fortuna non l'imprevedibilità data dalle mosse avversarie, ma un “elemento imponderabile esterno indipendente dalla volontà del singolo”. L'esempio più classico è il tiro di dado (poveretto, sempre lui) che interviene a decidere l'esito delle tue decisioni.

Poi si potrebbe distinguere ancora tra alea a priori (come nelle gestione dadi: prima il tiro, poi le decisioni) e a posteriori (prima le decisioni, poi il tiro), ma non è importante ai fini di questo articolo.

- L'obiezione che viene fatta più spesso è che la fortuna simulerebbe meglio la realtà. Ma è davvero così?

Ho diverse obiezioni in proposito.

1) Sicuramente molte episodi della vita (e della guerra) sono legati alla fortuna/sfortuna. Una malattia, un temporale, una scheggia di cannone, ecc. Questo è innegabile. Anche se tendiamo spesso ad enfatizzare questi episodi, perché giustamente ci colpiscono, dimenticando però che non sono la maggioranza e tutti gli altri passano un po' in sordina. Inoltre, alcuni episodi storici che noi imputiamo alla fortuna, sono in realtà ascrivibili al solo caso, ovvero a un concatenarsi di fatti e decisioni sempre causate da uomini e non da eventi esterni imponderabili. Una staffetta che porta gli ordini per una battaglia decide di fare un percorso e viene catturata dal nemico il cui generale ha deciso di fare una ricognizione. Son sempre decisioni umane che si intersecano, possiamo parlare di caso, ma questo come lo riproduciamo in un gioco? Con un tiro di dadi? Va sicuramente bene, ma è comunque una approssimazione, un mezzo, un artificio scelto dal game designer. Il generale ha deciso di fare quella ricognizione, non ha tirato una moneta. E questo ci porta dritti al punto 2.

2) L'inserimento del dado o di qualsiasi altro fattore è un artificio che tenta di riprodurre la realtà, ma non è la realtà. Il gioco rimane un gioco. Nella realtà può comunque esserci la fortuna, come detto al punto 1, ma in battaglia (parliamo sempre di questi giochi perché gli esempi sono più facili) ci sono anche il morale delle truppe, il terreno, le armi, i rifornimenti, le munizioni, il carburante, la tecnologia, il livello di addestramento, la catena di comando, ecc. Tutti questi elementi sono meno importanti della fortuna? Non credo. Allora perché dovremmo decidere che è più importante che ci sia alea per la simulazione e accettare di trascurare il resto? A chi mi dice che un gioco napoleonico senza alea non simula la realtà, posso rispondere che uno senza la catena di comando tipica dell'epoca la simula ancora meno.

Quindi stiamo semplicemente parlando di elementi di game design. Dipende tutto dal sapore e dall'esperienza che il designer vuole convogliare, conferendo più o meno incertezza al titolo.

Non dimentichiamoci che il Go, gioco astratto ad informazione completa e fortuna zero, viene considerato in oriente alla stregua di una vera e propria arte marziale, sublimazione assoluta dell'arte della guerra.

Questo ci porta ad un'altra considerazione collaterale: occorre scindere la realtà dal gioco. Anche se un gioco di guerra con una decisa componente aleatoria fosse più simulativo (e non è detto che sia così), non vuol dire che sia un gioco migliore. Perché magari quell'attacco (in cui eri in netta superiorità) va male causa dado e ciò ti costringe a fermarti mezz'ora a ripensare tutta la tua strategia e allunga il tempo di gioco di 3 ore perché la fortuna ha decretato un riequilibrio delle forze in campo quando ormai eri in vantaggio.

Ecco allora che la tua "migliore simulazione della realtà" diventa un "allungamento elefantiaco del downtime e dilatazione pachidermica dei tempi di gioco".

I generali della storia facevano benissimo a tener conto del caso e tutto il resto, perché combattevano guerre vere. Ma noi siamo giocatori seduti attorno a un tavolo che usufruiscono di un prodotto di svago. Sarebbe un po' come la pretesa di essere un buon soldato anche nella realtà solo perché si gioca a SoftAir.

Poi, per qualcuno (beato lui) mezzora di downtime o 6 ore di gioco non sono un difetto, però almeno la cosa va evidenziata e fatta presente al lettore di una recensione, ad esempio.

3) Ma al di là di tutto, l'inserimento del dado aiuta davvero la simulazione? Qui ci aiutiamo con esempi concreti. Il movimento randomico di HeroQuest è più simulativo di un movimento massimo fisso? Quanti imprevisti ci possono essere nelle mattonelle di quel dungeon? Uno ad ogni passo? Piuttosto allora mi parrebbe più verosimile un sistema misto, con una parte di movimento certa e un'altra, piccola, incerta.

E torniamo ai wargame: Napoleon's Triumph fornisce, senza dadi e solo utilizzando informazioni nascoste (ma anche qui sempre decise dal giocatore) una simulazione mille volte più accurata del modo di combattere dell'epoca (addirittura pienamente apprezzabile solo conoscendo un po' tattiche e armi del periodo storico) mille volte superiore a C&C Napoleonics, con tutte le sue carte pescate e suoi dadi.

Il punto è che la fortuna viene utilizzata il più delle volte per simulare l'imprevedibilità, ma ci si dimentica che ci sono strumenti altrettanto validi per farlo. Perchè quello che cerca il giocatore non è tanto l'alea fine a se stessa (quel tipo di brivido è più consono al gioco d'azzardo), quanto l'imprevisto, l'imprevedibilità. Ma, come detto al punto 1), il ricorso alla fortuna è solo un mezzo per produrre questo effetto, al quale si può ricorrere come no, come scelta di design. Nebbia di guerra e scelte simultanee, tanto per fare due esempi classici, sono strumenti altrettanto validi -se non di più - per produrre la stessa incertezza e dipendono dal giocatore che li applica, mettendo in campo strategia, intuito, deduzione e azzardo calcolato, invece che dal puro caso.

- Un'altra argomentazione che spesso si tira fuori è che la presenza di un fattore aleatorio è in effetti un'ulteriore sfida all'abilità dei giocatori, che devono dimostrarsi più reattivi e capaci di pianificare tenendo conto di fattori non scontati e né prevedibili, se non in termini probabilistici.

Anche qui, dissento. in particolare alla questione dell'"ulteriore sfida". Dove se per ulteriore si intende "aggiuntiva/diversa", posso esser d'accordo, mentre se si intende "maggiore", non sono d'accordo.

intanto vorrei sapere quale "reazione e nuova pianificazione" si ottiene dal giocatore dopo aver pescato un segnalino "distrutto" al posto di un "danno lieve", come avviene in un noto gioco di battaglie aeree. Specie se si gioca solo col pezzo in questione (quello che il danno lo ha subito).

E sarei curioso di analizzare la partita di chi dice che è "più soddisfatto ad aver vinto ad un gioco con fattore fortuna perché ha sconfitto sia l'avversario che la sfiga". Curioso di vedere quanto effettivamente la sorte abbia pesato in positivo su di lui e in negativo sull'avversario, perché dubito che uno tenga davvero il conto di questo...

In secondo luogo l'adattamento tattico costante e il ripensamento della propria strategia si ha pure in moltissimi giochi a fortuna zero, date le variabili e le scelte degli avversari. direi anzi che è molto raro trovare un gioco in cui una pianificazione strategica fatta all'inizio viene portata avanti pedissequamente fino alla fine.

Cambiano i mezzi, cambiano le cause scatenanti (gli avversari vs la pesca/il tiro di dado), ma l'adattamento tattico c'è comunque. Come sopra, è solo questione di scelte e gusti di game design.

E sul gusto non discuto, se piace l'alea (e ripeto, a scanso di equivoci: in molto giochi mi piace e la trovo ben implementata) si sceglieranno un determinato tipo di giochi, se non piace, altri.

Se un recensore evidenzia che, secondo lui, il fattore fortuna, in un determinato titolo non ci azzecca nulla oppure è addirittura elemento di disturbo, non vedo perché dovrebbe avere scrupoli a scriverlo. Così come si fa bene a scrivere che il fattore fortuna dona pepe al gioco e non disturba affatto in titoli in cui effettivamente è così.

Io non contesto che la fortuna nella vita conti.

Contesto l'affermazione che non possa esistere un buon wargame (o altro) simulativo senza l'impiego della fortuna.

Il dado è una strada (che piaccia o meno) ma ce ne sono di alternative e a mio parere ugualmente valide, dato che il gioco non è (e non potrà mai essere) la perfetta riproduzione della realtà. Tutto qui.

In conclusione, molto semplicemente, il mio scopo era solo controbattere alla visione comune per cui “nella vita c'è fortuna quindi deve esserci anche nel gioco”: non è detto che un gioco simulativo debba includere per forza la fortuna e non è detto che la presenza di fortuna renda un gioco più simulativo di un altro.

Napoleone preferiva un generale fortunato ad uno bravo. E' vero. Infatti alla fine ha perso tutto ed è morto in esilio. Forse se avesse tenuto più vicini i generali bravi e avesse allontanato quelli fortunati, oggi parleremmo francese, chissà...

Commenti

Bello anche questo approfondimento, e complimenti Agzaroth perché solleva ed analizza sempre questioni che fanno riflettere, che si sia d'accordo o meno. E in effetti ci sono molti elementi ampiamente condivisibili in questo pezzo, primo fra tutti il fatto che la componente aleatoria non debba essere considerata una miglior simulazione di un fatto reale, che non costituisca una sfida aggiuntiva, ma anche che teoricamente non sia una necessità assoluta. Partendo dal presupposto che si parli di giochi e dunque di riduzioni dei fatti della realtà, preferisco considerare che ogni gioco debba rappresentare un compromesso fra la simulazione più rigorosa e deterministica possibile e la sovrana confusione generata della totale imprevedibilità affidata al caos dell'ignoto e imprevedibile. Se da un lato possiamo collocare l'esempio del Go, ovviamente dall'altro abbiamo il gioco d'azzardo puro: la questione da porci sull'opportunità (non necessità) della fortuna sta quindi giustamente in ciò che si desidera ottenere con il gioco, un fatto di game design e gusti, appunto.

Quindi, complice anche la mia formazione scientifica che mi induce a pensare che ogni effetto sia generato da una causa per quanto non sempre nota o visibile, preferisco pensare che il fattore aleatorio non sia affatto un "elemento imponderabile esterno indipendente dalla volontà del singolo", ma piuttosto sia il "livello di semplificazione" che adottiamo nella riduzione dei fatti reali a gioco. Se voglio un wargame di simulazione assolutamente dettagliato, è evidente che possa introdurre ogni regola minuziosa per descrivere cose come il morale, la catena di comando, i rifornimenti, le munizioni, anche l'umore dei singoli soldati al momento, se vogliamo, ottenendo ovviamente un monster game da ore di durata per pochi appassionati; se voglio una cosa di più largo interesse, posso invece decidere che qualcuno di questi fattori sia deciso altrove e non nel ruolo dei giocatori, demandandolo al lancio di un dado, alla pesca di una carta, e via dicendo: a secondo di quanti elementi scelgo di delegare alla sorte, avrò tutte le varianti possibili, che dipendono però da cosa si volesse effettivamente realizzare.

A volte assistiamo a titoli che non ci convincono, perché non sempre la questione sulla fortuna viene inquadrata in modo corretto, seguendo secondo me logiche diverse da quella del "compromesso necessario" per gli scopi che si vogliono raggiungere. Capita che un game designer perda egli stesso questo punto di vista nel corso delle revisioni, degli adattamenti, delle pressioni e della foga creativa che indubbiamente fa parte del progetto. Allora troviamo giochi inizialmente pensati in un certo modo che improvvisamente semplificano eccessivamente alcuni aspetti che stridono con altri, solo perché ad un tratto occorreva assicurare una durata più contenuta, oppure altri che partono molto leggeri per poi perdersi in aspetti di dettaglio su minuzie di secondaria importanza solo perché si voleva dare qualcosa anche agli hard gamer. Queste sono le situazioni che secondo me meritano la nostra analisi critica in un gioco, perchè ne valutano la coerenza di realizzazione più che la sterile quanto inutile disquisizione sul fatto che la fortuna in sé possa essere un bene o un male in assoluto.

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