Bruciante sconfitta a Le Havre

come ogni domenica ci concediamo un attimo di respiro dalle nostre anteprima pre Essen e scegliamo per voi il miglior report apparso in "Ieri ho giocato a...". L'Occhio della Redazione è caduto sul report di Signor_Darcy che ci narra di una bruciante sconfitta a Le Havre., uno dei giochi da tavolo più amati.

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“Quarantacinque minuti”, dico. Due giocatori, versione semplificata.

La convinco, anche se è stanca.

Al solito, prima sistemo i componenti: mi piace spiegare un nuovo gioco quando tutto è già pronto. Peccato che per Le Havre ci vogliano eoni.

I tre tabelloni di cartone sono imbarcati – cosa che, se da un lato contribuisce all'ambientazione, dall'altro fa anche un po’ girare le palle.

Ventiquattro ore sotto Russian Railroads non hanno aiutato granché, per inciso.

Pazienza, mi dico: non che servano molto. Anche perché quasi scompaiono sotto le piramidi di risorse dei magazzini. 


Il gioco – va detto – si spiega davvero velocemente, e il fatto che gli edifici si svelino uno alla volta aiuta a non sovraccaricare di informazioni (anche se alla prima partita sarebbe comunque buona cosa avere una idea di quello che c’è nelle tre pile – o almeno in quell'unico ammasso di carte che scivolano allegramente sulle loro bustine).

Parto deciso: quel panificio in prima fila mi attira molto. Quindi accumulo grano; e vacche, perché a breve sbucherà fuori anche il mattatoio. La mia allegra nave blu saltella sui tondoni di cartone in un allegro valzer con quella rossa della mia avversaria, che ha optato per un gioioso affumicatoio e riempie le sue banchine di salmone, roba da far venire l’acquolina in bocca.



I primi turni ci si sta dietro, col cibo; poi ‘sto diavolo di dischetto comincia a diventare un po’ troppo vorace. Compro una seconda nave di legno, mi dico che dovrebbe sistemarmi un po’ di cose; per il resto mangia pane e bistecche come se non ci fosse un domani.

A turno ci riempiamo di legname, l’inverno si preannuncia lungo e l’energia serve a tutti. La pescivendola si dota di un’allegra fabbrica di mattoni e continua imperterrito nella sua politica di pesce affumicato e nuovi edifici, tanto che spesso devo porgergle una ciotola di zuppa calda.

Tuttavia, nonostante la zuppa, l'affumicatrice non ha molti liquidi, e sembra pure in crisi col cibo. Mi dico che è il momento di allungare e porto le mie pelli alla conceria cittadina – chissà, prima o poi il cuoio potrebbe servire a qualcuno.

E infatti scopriamo l’esistenza dello spedizioniere. Io gongolo con le mie due navi e, appena posso, imbarco quattro belle pezze di cuoio per la bellezza di sedici franchi.

Gli ultimi turni sembrano segnati: il cilindrino pescatore fa la spola fra la ditta di costruzioni gratuita e l’affumicatoio, il mio appena può torna dallo spedizioniere: non ho più cuoio, ma le vacche vanno via come il pane – e il pane come le vacche.

Prima dell’ultimo turno, nostra signora delle canne da pesca trova anche occasione di arraffare il generoso mucchietto di franchi raccolto sul molo.
Ultimo turno: manco a dirlo io spedisco, mentre Sampei raccimola qualche spicciolo nell’ennesima trasformazione di risorse.

La partita è finita. Bello tronfio, conto il mio capitale.

Sono novanta franchi sonanti, cara la mia pescatrice assopita all’ombra dell’ultimo sole. Novanta tra monete e valori di navi ed edifici: conta pure se non ti fidi; per la cronaca, contiamo quanti ne hai tu: è vero che hai tanti edifici, ma non vedo come tu possa arrivare a novanta. Sei. Novantasei. NOVANTASEI!

Mesto come un paese di mare in inverno, rimetto vagonate di risorse nei sacchetti. Rimugino. Penso che è un gioco bellissimo, che sono esausto e che era la versione semplificata per due. Poi la regina dei salmoni mi ricorda ancora che me le ha date di santa ragione.

I gabbiani stridono, mentre il sole si abbassa sul mare, ombre rossastre sulle banchine del molo.

Una sirena lontana; la nave rossa ha preso il largo, mentre la mia è ancora ancorata alla bitta.

Un boccone amaro, la sconfitta.

Va beh, basta che sfami.