A&P Chronicles 2003-2004 (I, 7)

Dal diario di Gawain "Corvo Nero" Caradrim - 6 Maggio 2010

Parte I, Capitolo 7: "Il sogno del Drago"

Seduta del 21 Ottobre 2003

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Dal diario di Gawain "Corvo Nero" Caradrim - 6 Maggio 2010

Parte I, Capitolo 7: "Il sogno del Drago"

Seduta del 21 Ottobre 2003

"Il sogno del Drago"

ancora
una volta vidi il drago. Era di nuovo di fronte a me, maestoso, imponente,
in tutta la sua terrificante bellezza. Nero come il buio di una notte senza
luna, eppure spiccava nell'oscurità generale in cui ero immerso, balzando
all'occhio, evidente come fosse stato un punto di luce nel nulla. Spiegava
le ali, lentamente, come in un movimento che durava da secoli, insensibile ad
ogni perturbazione.

-
Sei morto, Gawain - diceva una voce, che seppi provenire, in qualche modo,
proprio dal grande drago. - Sei morto, e la tua sola possibilità di tornare
in vita è abbracciare il drago...

E
quale sarebbe stata la novità? Altre volte mi ero trovato in quella
situazione, e sempre avevo finito per avvicinarmi, forse anche troppo, fino
alla grande effige del rettile, come se in quello strano mondo, in quel
sogno, fosse per me inevitabile l'unione con il mostro. Era come se in
quella situazione il drago non rappresentasse più Themanis, i miei sensi
erano alterati al punto di farmi mettere in secondo piano ogni altra
considerazione. Iniziai ad avvicinarmi al drago.

d'improvviso,
la grande oscurità silenziosa si era diradata. Un'immane confusione mi
circondava da ogni parte, e mi resi conto di essere sugli spalti di
Bor-Sesirim, mentre il clangore delle armi, le urla e le esplosioni mi
colpivano rimbombando nella testa. La rapidità con cui cambiò la mia
visione non mi diede neanche il tempo di stupirmi, di chiedermi come fosse
possibile tale prodigio.

Una
grande battaglia infuriava ovunque, e per quanto il mio sguardo potesse
spaziare, non vedevo altro che combattenti impegnati in una lotta all'ultimo
sangue contro le orde nere di Themanis. Orde di guerrieri di ferro si
accalcavano alla base delle Mura Ciclopiche, formando con i loro stessi
corpi una sorta di impalcatura che veniva scalata dagli altri per
raggiungere i merli ed i passatoi in cima alle mura. Numerosi stendardi
sventolavano, agitati da un vento che sembrava sottolineare la drammaticità
della scena più ancora che non il cielo dal colore plumbeo.

Riconobbi
il gonfalone della famiglia ducale di Bor-Sesirim e quelli delle più
importanti compagnie regolari e dei nobili della grande città esmeldiana.
Poi l'occhio si posò su uno stendardo particolare, più colorato e di più
grandi dimensioni, che riconobbi pur non avendolo in realtà mai visto
prima: era quello degli elfi del Calevenve.

Era
il mio presente quello? O era una visione del passato? Peggio ancora, poteva
essere un'anticipazione del futuro?

Poi
mi resi conto di non essere solo sul bastione. Di fronte a me, vicinissimo,
un uomo sfregiato stringeva minaccioso una spada nella mano sinistra, mentre
la destra penzolava inerte lungo il fianco. Una ferita mortale aveva
sfondato il suo petto dal lato sinistro, e mi fece ricordare il modo in cui
Shair era morta durante il sogno magico che avevo vissuto con i miei
compagni.

Riconobbi
l'uomo. Era lo stesso della statua con la fontana che tante volte aveva
misteriosamente attratto la mia attenzione, fino a che un giuorno vi ero
andato apposta per leggere il nome sulla targa: Gareth Jax. Un membro della
stessa antica famiglia di Shair e Angus, uno degli eroi dei cristalli, morto
oltre cinque secoli prima. Poteva essere quello un indizio per datare la mia
visione?

Non
ebbi il tempo di proseguire nei miei ragionamenti, poiché venni travolto
dal bruciante sospetto di essere stato io a provocare la ferita mortale
all'uomo che mi stava di fronte, nonostante solo un monaco themanita potesse
sferrare un simile attacco. In quel momento, Gareth Jax, in un ultimo
sforzo, mi trapassò al collo, facendomi precipitare giù dagli
spalti. 

fui
risucchiato in una sorta di vortice prima ancora di arrivare al suolo,
allontanandomi dalla mia visione, che fu subito sostituita dalla successiva.
Ora mi trovavo in un'ampia sala, una sorta di tempio themanita sotterraneo,
e mi trovavo sdraiato, con una sorta di tunica nera indosso. Attorno a me
era pieno di monaci neri raccolti in preghiera, i quali però iniziarono ad
avvizzire, morendo uno dopo l'altro, non appena schiusi gli occhi.

Nell'ombra,
di fronte a me, ero consapevole della presenza di due figure. Una mi era
palesata solo dal rosso scintillio dei suoi occhi, mentre della seconda
potevo vedere, a tratti, solo l'estremo pallore del viso ed un orecchio,
dalla forma singolarmente appuntita verso l'alto.

-
Chi è là? - chiesi, cercando di comprendere.

-
Ancora non si rende conto... - mormorò una delle due figure all'altra,
evidentemente ignorando la mia domanda.

Poi,
uno dei due emerse dall'ombra, in tutta la sua imponente figura. Era quello
dalla carnagione pallida, mentre l'altro rimase nell'ombra. Aveva l'aspetto
di un guerriero e poteva sembrare umano, ma la sua corporatura era
straordinariamente robusta, e la sua altezza poteva essere quasi due volte
la mia. Indossava una pesante corazza ingombra di incisioni e simboli, tutti
richiamanti il tema del drago, ed aveva anche due teste di drago sugli
spallacci, che fissavano un pesante mantello nero che ricadeva lungo la
schiena. 

Il
suo viso, dal candore quasi mortale, esprimeva una malvagità senza confini,
distorto da un ghigno diabolico, mentre ora vedevo chiaramente le sue
orecchie appuntite fra la massa di lunghi capelli biondissimi. La sola vista
di quell'individuo incuteva timore, e sentii il sangue raggelarsi nelle vene
mentre mi osservava, facendo qualche passo nell'ampia sala.

-
Chi sei? - ebbi il coraggio di ripetere.

-
Io sono colui che viene chiamato l'Araldo - fu tutto ciò che ottenni in
risposta.

ancora
una volta fui assorbito dal vortice che mi allontanò dalla scena
schiacciandomi lo stomaco, e trattenni a stento l'impulso di vomitare,
mentre tutto si allontanava da me. La scena cambiò ancora, ed ora mi
trovavo all'interno di un ambiente circolare, del tutto spoglio ad eccezione
di una porta e due finestre sui lati opposti della stanza.

Guardai
alle finestre e compresi di trovarmi in una torre. O forse, all'interno di
un faro, dato che ovunque si spingesse il mio sguardo potevo vedere solo
mare, a perdita d'occhio. Nessun indizio di terraferma era visibile e
iniziai a chiedermi dove potessi trovarmi ora. Ero dunque prigioniero in
quel luogo misterioso? Non ebbi il tempo di rispondermi, poiché qualcuno
aprì la porta. 

Un
uomo di mezza età, eppure assai giovanile, entrò osservandomi compiaciuto.
Il suo aspetto era assai curato, notai, in particolare per la corta barba
che portava, e mi trovai a riflettere che se si fosse rasato avrebbe
mostrato ancora meno la sua reale età. Avanzò verso di me impugnando un
bastone, di cui evidentemente non aveva bisogno per sorreggersi. E riconobbi
il bastone, era quello di Perigastus!

-
Vedo che ti sei ripreso - disse l'uomo, guardando distrattamente da una
finestra. - Mi fa piacere, presto ci sarà bisogno di te... Ora riposa così
che ti possa ristabilire completamente - aggiunse subito dopo, tornando
quindi verso la porta.

-
Posso chiederti che giorno è oggi? - ebbi la lucidità di chiedergli.

-
Oggi è il quattordicesimo sestile dell'anno 1827 - rispose l'uomo, ben più
cordiale dell'interlocutore precedente, sebbene apparisse perplesso per la
mia richiesta. Tuttavia, mi pentii di non aver fatto la stessa domanda nelle
precedenti visioni.

Quella
data mi colpì, facendomi riflettere. Quel modo di indicare le date era
tipico del Carusaal, ma per quanto ne sapessi non potevamo trovarci in
quello stato. Infatti, il mare del Carusaal è verde e denso per le
innumerevoli alghe che infestano le sue acque, mentre dalle finestre avevo
potuto vedere una grande distesa di acqua limpida e azzurra.

-
Un'ultima cosa... - mormorai, mentre l'uomo era già sull'uscio, - qual'è
il tuo nome?

-
Beh, io sono Perigastus, ovviamente - disse sorridente l'uomo. 

Quindi
mi lasciò, chiudendo la porta alle sue spalle.

tutto
riprese a vorticare attorno a me, portandomi lontano da quel luogo, ovunque
fosse, che per lunghi istanti riuscii a vedere come dall'alto, sebbene non
mi fosse possibile comprenderne l'ubicazione. La luce svaniva poco a poco,
finché divenne un'oscurità penetrante e silenziosa, e mi ritrovai ancora
una volta di fronte al grande Drago nero.

Ora
il rettile stava lentamente chiudendo le ali e compresi che mi stavo
allontanando da lui. Ero forse riuscito a rimandare ancora una volta
l'unione con il mostro, che sempre più appariva inevitabile, un destino
scontato?

Mano
a mano che ci allontanavamo sentivo le membra intorpidirsi fino a che
presero a formicolare, ed un grande sonno si impadronì di me. Lottai in
tutti i modi per restare sveglio, ma non vi riuscii, come se quel buio
contenesse in sé l'essenza stessa della stanchezza, della spossatezza e
della rinuncia. 

Mi
addormentai. O, forse, fu allora che iniziai a svegliarmi...