Ma come si fa' a dare 7 a un gioco che in pochi mesi ha scalato le classifiche MONDIALI di Game Geek fino ad arrivare al 25° posto e ha una media voti di 8,3 .. Se non ti piacciono i giochi di Rosenberg forse sarebbe meglio non scrivere recensioni sui suoi titoli, perche risulteresti "di parte".Io possiedo tutti i titoli di Rosenberg ,ho giocato diverse volte a questo gioco e posso assicurarti che è uno dei suoi migliori titoli di sempre, e come me la pensavano anche tutti gli altri giocatori al tavolo.Ma noi siamo solo giocatori normali e forse non abbiamo potuto notare tutti questi difetti come hai notato tu.Mi dispiace, ma da oggi non leggero piu le tue recensioni, perche o sono scritte solo per portare clamore , oppure i nostri gusti sono agli antipodi ..
Quando arriva un nuovo gioco di Uwe Rosenberg hai almeno un paio di certezze: ci sarà tanta roba - ma tanta - e a alla fine dovrai sfamare qualcuno. Anche questa volta il bulimico teutonico non si smentisce e zeppa lo scatolone di "A Feast for Odin" (in italiano "La festa per Odino", del quale abbiamo un video qui sotto) di ennemila componenti.
Il gioco è un cinghiale da uno a quattro giocatori; BGG mente sapendo di mentire riportando un tempo di di gioco dai trenta ai centoventi minuti, che in realtà sono dai 60 ai 240; età consigliata 12+, sfrutta principalmente le meccaniche di piazzamento lavoratori e piazzamento tessere.
Materiali, grafica ed ergonomia
Graficamente è il classico Rosenberg bucolico, con vichinghi paciosi che non farebbero paura nemmeno ad un merluzzo. L'iconografia è per fortuna chiara: dico "per fortuna" perché il tabellone delle azioni è talmente denso e spiazzante che altrimenti sarebbe stato un disastro. Salvo qualcosa da controllare a volte sulle carte, la maggior parte della simbologia è subito compresa già nel corso della prima partita.
Regolamento
Ambientazione
Ci sono i vichinghi che coltivano, allevano, commerciano, cacciano, fanno razzie, scoprono nuove terre e fondano colonie. Ma soprattutto mangiano, mangiano tanto. Diciamo che tutta la vita degli allegri predoni nordici è rappresentata nel gioco (beh non proprio tutta...) e alcune azioni hanno anche un loro perché (si commercia con le giuste navi, si armano i drakkar col metallo, si ricava il latte dalle vacche, eccetera), mentre altre sono buttate un po' così (si saccheggia usando la pietra? Le montagne si consumano da sole?). Il fatto è che più del 50% del gioco, ovvero il suo meccanismo centrale, è assolutamente astratto, dato che si tratta di riempire villaggi, isole o capanne con roba a caso, che va dai cesti di frutta, alle pelli di orso, alle aringhe affumicate, alle collane. Quindi onestamente, se avete comprato il gioco per sentirvi dei veri vichinghi, mi sa che avete buttato un bel po' di soldi.
Il gioco in breve
Le azioni sul tabellone consentono una miriade di opzioni, come comprare barche, usarle per cacciare le balene, per commerciare, per razziare; poi prendere animali, farli figliare e produrre latte o lana; raccogliere legna, pietre e metallo; prendere nuove plance da riempire per altri bonus; prendere carte Miglioramento e poi giocarle per avere punti e piccoli vantaggi, eccetera. Lo scopo finale, verso il quale tutto si incanala, è comunque quello di raccogliere quante più tessere “oggetto” possibile, migliorale tramite le apposite azioni e infine piazzarle sulle proprie plance per coprirne tutti gli spazi, guadagnando così punti vittoria o comunque non perdendone, coprendo gli spazi con stampati quelli negativi.
Scalabilità
Molto buona, se accettate la durata pachidermica di una partita in quattro. Molto carino il meccanismo del solitario, per il quale a volte ti intralci più che a giocare con gli altri: lo scopo è sempre quello di fare un buon punteggio e, personalmente, questo tipo di solitari dopo un po' mi stufa; ma le molte strade da esplorare me lo hanno comunque reso più interessante di tanti altri. Tra due e tre giocatori non c'è nessun aggiustamento, ma comunque non ho mai trovato mai il gioco particolarmente stretto.
Rigiocabilità
Ottima. Sessanta azioni non solo son tante, ma schiudono una buona varietà di strategie e combinazioni, questo senza contare le innumerevoli carte presenti nella scatole, delle quali userete solo una minima quantità ad ogni partita, nel classico stile rosenberghiano.
Originalità
Patchwork deriva da questo gioco, sebbene sia poi stato pubblicato ben prima. Il concetto poi di incastro delle tessere sulla griglia arriva direttamente dai Principi di Firenze, ripreso in seguito anche da Antiquity. La Festa per Odino presenta in realtà molto meno incastri, difatti la stragrande maggioranza delle tessere che userete ha forma rettangolare o quadrata e ci sono anche jolly (monete e metallo) per riempire i buchi. Piuttosto dovrete stare attenti a non coprire alcune parti importanti della plancia (i simboli risorsa), girando quindi loro attorno. Insomma il sapore della meccanica è tutto sommato abbastanza diverso, anche da Patchwork stesso, sebbene non dia comunque quel senso di novità eclatante o di idea geniale.
Interazione
Quasi nulla. Ti dai più fastidio nel solitario, con i lavoratori del round precedente che rimangono in plancia, a tappare la tua stessa strategia. Ovviamene anche in multigiocatore capitano momenti in cui qualcuno prende proprio l'azione che ti serviva, ma è normale amministrazione: in genere le opzioni disponibili sono così tante che qualcos'altro di buono da fare lo si trova sempre. Insomma, inferiore sicuramente alla media degli altri piazzamento lavoratori.
Profondità, strategia e tattica
A questo punto subentra la parte tattica, in cui si innestano le carte pescate e giocate, il gioco avversario e tutta una serie di altri fattori.
Una delle decisioni più importanti da prendere in partita, che coinvolge sia l'aspetto strategico che tattico, riguarda poi con cosa espandere la propria plancia, ovvero come andarsi a guadagnare quei preziosi punti vittoria extra per vincere. Chi ha costruito molte navi può semplicemente farle emigrare, tenendo presente però che non potrà più usarle e che occorrono molti soldi. Prendere le piccole plance di capanne e case è sempre l'opzione più semplice, perché basta poco per riempirle e danno sempre qualche punto - sono però anche le meno remunerative. Infine ci sono le nuove isole, molto diverse tra loro - da quelle più utili all'inizio, con un sacco di risorse e pochi punti, alle ultime, rischiose ma molto remunerative per la vittoria. Anche in questo caso le scelte non sono esclusive: mi è capitato più di una volta di far emigrare una o due navi, riempire un'isola aggiuntiva e anche una casa.
Eleganza e fluidità
Non ci sono soluzioni particolarmente eleganti nel gioco: tutto è molto canonico e senza guizzi di design. Il gioco scorre abbastanza in generale, ma dei momenti di paralisi da analisi sono inevitabili, oltre al classico blocco della prima partita, di fronte alle sessanta azioni. La durata rimane comunque abbastanza elevata, forse un po' troppo, ma ridurre i round non è possibile perché è proprio negli ultimi due che si rileva l'escalation che finalizza tutte le strategie messe in atto.
Pregi / difetti
La cosa per me più bella del gioco è che quelle stesse cose che ti danno i punti, possono anche toglierteli, se le giochi male: è (molto più blandamente e alla lontana) un po' il concetto dei potenziamenti di The Great Zimbabwe: se prendi qualcosa che non fai fruttare, diventa zavorra. Qui è molto rischioso prendere cose, soprattutto prenderne troppe, soprattutto se non hai un'idea precisa di come riempirle. Allo stesso tempo devi rischiare, se vuoi fare un buon punteggio.
C'è una grossa libertà nel gioco, tante strade percorribili che paiono tutte ugualmente valide. Ma tali strade non sono affatto evidenti e il gioco ti costringe a scoprirle da solo, anche con un certo impegno. Tutto sembra essere importante e al contempo nulla pare indispensabile. Entrare nella logica del gioco non è affatto semplice, ma per questo può essere molto gratificante e al contempo l'esperienza ripaga parecchio.
L'enorme quantità di carte a cui Rosenberg ci ha abituato la troviamo anche qui, ma più diluita nel corso della partita. Sono ugualmente importanti, ma forse non così determinanti come in altri suoi giochi ed anche questo è un aspetto che ho apprezzato.
Come difetti, o meglio come avvertenze, posso segnalare cinque cose:
- il disorientamento al primo impatto. Veramente tante, troppe azione, delle quali difficilmente si riesce a capire rapidamente il valore. Dà un'impressione di confusione e di “mischione” che occorre superare per apprezzarlo;
- I'interazione ai minimi termini, specie se si scelgono strade diverse. Può sempre capitare che ti occupino una casella che ti serva ma qualcos'altro da fare lo trovi sempre ed in ogni caso è veramente il minimo sindacale dell'interazione richiesta in un “gioco di società”;
- il tema appiccicato: riempire tessere è essenzialmente astratto, senza contare le regolette di accostamento delle tessere stesse;
- il dado e le carte pescate si sentono, c'è poco da fare. Per il dado ci sono mezzi per rischiare qualcosa meno, ma ti fanno spendere altre azioni e in ogni caso ti può dire comunque male. In un gioco di strettissima ottimizzazione come questo, non è poco e a più di una persona al mio tavolo ha dato fastidio;
- la durata, specie in quattro, è un po' eccessiva per quel che il gioco restituisce.
Conclusione
In definitiva, La festa per Odino è meglio di come me lo aspettassi, meglio di quanto traspariva dalle regole, migliore di tutti gli altri giochi di Rosenberg degli ultimi sette anni (tranne Patchwork, ma è un'altra categoria), ma ancora non all'altezza dei suoi lavori migliori, ai quali resta ancora un gradino sotto.