Bell'articolo come sempre. Il gioco è bello in tutto e per tutto. Giocato in due, in tre e in quattro da sempre grandi soddisfazioni giocarlo
Per 2-4 giocatori (si attiva il solitario con l'espansione Crono e si arriva a 6 giocatori con Hidden Thorns), durata circa mezz'ora a giocatore, destinato a un pubblico esperto (14+), Black Rose Wars si basa su meccaniche di hand-building, gestione mano, poteri variabili, mappa modulare.
Nelle stanze esagonali della fortezza dominata dall'artefatto senziente Rosa Nera, i maghi si scontrano per decidere chi sarà il nuovo reggente.
La premessa è decisamente classica, ma lo svolgimento – vedrete – non convenzionale.
Come si gioca a Black Rose Wars in breve

Per una descrizione più dettagliata dello svolgimento della partita, potete dare un'occhiata alla precedente recensione, dato che qui farò solo un breve riassunto.
Il tabellone è composto da stanze esagonali disposte casualmente, ciascuna con un certo numero di punti resistenza e un'azione specifica, attivabile dai maghi.
Ogni mago parte dalla propria stanza con una mano di carte iniziale scelta tra le varie scuole di magia a disposizione nella partita.
In ogni round di gioco ciascuno pesca due carte dal proprio mazzetto, più quattro da qualsiasi mazzo delle scuole a disposizione (anche una da quattro mazzi differenti, volendo). Di queste quattro pescate, ne tiene due che aggiunge alle due del suo mazzo e ad altre eventuali che aveva in mano dai round precedenti.
Ora programma da due a quatro magie sulla sua scheda, con il limite che tre andranno giocate in precisa sequenza e soltanto una è “libera”, ovvero giocabile quando si vuole.
Al proprio turno ciascun mago esegue una o due azioni fino a che tutti hanno passato. Le azioni comprendono lanciare una magia oppure fare un'azione fisica, che significa spostarsi e attivare una stanza, oppure colpire un altro mago infliggendogli due ferite e poi attivare la stanza.
La partita termina quando un segnalino arriva a trenta punti vittoria, finendo il round e calcolando poi i bonus per i PV finali. Da notare che anche la Rosa Nera guadagna punti durante il gioco, andando così a costituire sia un timer per la partita che un avversario da battere.
I punti vittoria si ottengono principalmente in quattro modi:
- uccidendo gli altri maghi e prendendo PV per chi ha inflitto alla vittima la maggioranza delle ferite; nessuno viene eliminato dal gioco: il morituro “rinasce” nella propria stanza con la vita ripristinata e continua a giocare;
- distruggendo le stanze: diversi incantesimi piazzano cubi distruzione sulle stanze del gioco che, quando saturate, forniscono PV a chi ne ha piazzati di più e inabilitano la loro funzione;
- alcune carte di determinate scuole forniscono direttamente PV;
- facendo le missioni: sono carte specifiche pescate in corso di partita che, se soddisfatte, danno una buona fetta di PV.
Una pericolosa commistione

Prima di dirvi quanto sia bello questo gioco, devo mettervi in guardia. Black Rose Wars non è quello che molti di voi si aspetterebbero e più di una persona al tavolo si è poi alzata con una strana sensazione non ben definita. Non di fastidio verso il gioco, anzi, direi che l'apprezzamento è pressoché unanime, ma Black Rose Wars contiene al suo interno due anime che lottano fortemente tra loro e questa eterna lotta si riverbera inevitabilmente anche sul giocatore.
Abbiamo spesso parlato del genere “ibrido”, di quei giochi che mutuano aspetti da american a german cercando di fonderli e generare un qualcosa di gradito a entrambe le parti, purché il pubblico in questione sia aperto e non ciecamente ultraortodosso (per intenderci non quelli che dicono a priori: “non ci sono i dadi: non lo gioco” o “ci sono i dadi: non lo gioco”).
Mettere insieme questi due approcci al gioco non è semplice, perché quel che solitamente va fatto è prendere il meglio dai due mondi e integrarlo, laddove invece alcuni ricadono nell'errore di prenderne il peggio.
Tuttavia quando le operazioni riescono, vengono fuori ottimi prodotti se non capolavori, alla Mage Knight, Robinson Crusoe, Caos nel Vecchio Mondo e tanti altri.
Black Rose Wars fa un'operazione che sulla carta rischia molto, perché l'integrazione che propone tra i due mondi non è affatto fluida, ma, sorprendentemente, funziona, con un risultato finale decisamente american.
Estetica american con ambientazione german
Una scatola enorme, disegni spettacolari, metà dello spazio riempito da miniature di evocazione che spesso nemmeno tirerete fuori, basi incavate per farci alloggiare pin a forma di rosa, cartone spesso, plance scavate con gli alloggi per i cubetti. Tutto nell'estetica rimanda a una forte ambientazione, tutto esalta l'immedesimazione e la spettacolarizzazione del tavolo apparecchiato. Per non parlare degli stretch goals che aggiungono altre miniature e scuole magiche e dell'enorme – in tutti i sensi – miniatura di Crono che domina il tavolo.
Epperò quando poi giochi, sì ti attacchi lanciando palle di fuoco agli altri, ma vaghi anche per le stanze prendendo punti vittoria, costruendo altari sacri e profani che ugualmente ti danno punti, spaccando le stanze della fortezza (ma perché? Lo sai quanto costa ristrutturare oggi?), attivando stanze particolari che questo round danno punteggio, il prossimo no, ecc.
Per intenderci, nell'altro gioco di riferimento per il tema (Mage Wars), lo scopo è uccidere l'avversario e tutta la tridimensionalità del tabellone e delle magie lanciate è “cinematograficamente” funzionale a questo scopo. Qui invece accumuliamo asettici punti vittoria facendo spesso cose che tematicamente hanno poco senso.
Programmazione german e incertezza american
A ogni round ti è richiesto di scegliere tra quattro nuovi incantesimi, costruire una sequenza di tre di essi da attivare rigorosamente in serie, più uno jolly da inserire quando si desidera, all'occorrenza. Prendere punti è spesso questione di giusto tempismo, giusta posizione e giusta programmazione. Non solo, ma scegliendo gli incantesimi e avendo anche la possibilità di scartarne uno dalla mano a round, in teoria il gioco si baserebbe anche sul deck-building. Uso il condizionale perché in realtà si finisce la partita poco dopo il primo rimescolamento degli scarti, a volte pure prima, quando cioè le carte del proprio mazzetto le si è viste una volta sola, al massimo due (ma comunque non tutte, in questo caso).
In realtà quindi, il deck-building qui è estremamente tattico, non è affatto quello che siamo abituati a praticare, ovvero costruire un proprio mazzo da ottimizzare e usare più volte, a la Dominion e figli, per intenderci.
Quella che si costruisce qui, in effetti, è la propria mano (hand-building) e in ogni caso lo si fa avendo a che fare con un'ampia dose di incertezza, dato che ogni singolo mazzo ha dodici incantesimi differenti, ciascuno in triplice copia.
Non solo: se per giocare efficacemente è richiesta una programmazione che spesso porta via la maggior parte del tempo al tavolo (devi leggere come minimo dodici effetti, dato che ogni carta riporta due diverse versioni dello stesso incantesimo, poi devi metterne quattro nella migliore sequenza), è altrettanto vero che le azioni degli altri possono sconvolgere i tuoi piani in un attimo: si spostano dalla traiettoria di un tuo attacco, ti bruciano un incantesimo fondamentale, ti attivano la stanza che ti serviva, soprattutto ti uccidono rispedendoti alla stanza iniziale e facendoti saltare tutto quanto hai programmato con tanta fatica.
È come se improvvisamente i sofisticati calcoli matematici con cui hai scientemente costruito la tua sequenza di mosse fossero sostituiti da una scritta lampeggiante: “SUCA”.
Fato american e punteggi german
A parte la pesca degli incantesimi, a parte la composizione della plancia, che può favorirti con stanze più utili vicino alla tua base, ci sono gli eventi che possono incidere sulla situazione, ma soprattutto le Quest.
Queste carte danno un indirizzo tattico a tutto il turno e soprattutto forniscono una quantità di punti cospicua. Il meccanismo, però, te ne fa pescare una sola e solo se non ne hai più e ti impedisce di trattenerne più di due in mano. Purtroppo la loro natura va da “l'ho praticamente già fatta senza sforzo” a “non ci riuscirò mai”. E questo dipende solo dalla pesca. Forse pescarne ogni volta più di una per poi scegliere avrebbe tamponato un po' la situazione.
Altro sistema prono al fato è quello del primo giocatore. Spesso è molto importante giocare prima degli altri e si può diventare primi in due modi: andando a prendere il segnalino apposito (una corona) nella stanza del trono, oppure, all'inizio del round successivo, se si pesca un evento col simbolo corona (la pesca la fa sempre chi ha giocato per ultimo al round precedente e questa è una buona cosa, perché compensa il suo aver giocato dopo gli altri).
Messa così, si capisce che la stanza del trono non ha molto senso, se non con la regola opzionale che ti permette di diventare primo appena prendi la corona, così da giocare in pratica due volte di fila. Diversamente, con la regola standard, potresti sprecare una delle due attivazioni di stanza che hai (il 50% delle mosse comuni) per prendere un segnalino che poi ti frega immediatamente chi ha pescato l'evento, senza così averlo mai sfruttato.
A questa dose di fortuna, fa da contraltare un sistema di punteggio spesso basato sulle maggioranze che fa molto calcolo german. Le stanze vanno a chi ha piazzato più cubi (la Rosa Nera in caso di pareggio), le “morti” degli avversari assegnano punti secondo le maggioranze, le stesse Quest, a fine partita, danno un bel bonus di sei punti a chi ne ha risolte di più. Insomma si è sempre un po' a contare quanti punti dia questa cosa e quanti quest'altra, spesso privilegiando le magie non tanto per quello che fanno, quanto per quanti punti forniscono, perché poi alla fine quelli contano.
Le scuole di magia che tutti vorremmo

In attesa di provare quelle degli stretch goals, la sfida è provare a vincere o quanto meno ad andarci vicini usando tutte quelle della scatola.
La caratterizzazione, il diverso funzionamento e al contempo la similare efficacia delle differenti magie è poi il principale motivo di acquisto e gioco di titoli con questo tema, almeno per me.
I diversi maghi sono praticamente identici: ognuno si porta dietro una singola carta incantesimo, ha un numero di ferite diverso (meglio di più) e un diverso numero massimo di carte in mano (che praticamente non raggiungerete quasi mai).
Quello che differenzia davvero un personaggio da un altro è la scelta degli incantesimi su cui puntare, a partire dai sei iniziali, dato che la scuola scelta da uno non la può prendere l'altro.
È vero che nel corso della partita si può attingere a tutte le carte, ma generalmente ho visto funzionare meglio chi si concentra su una o due scuole, pescando magari da un'altra solo in specifiche occasioni (se per esempio c'è da dare il colpo di grazia a qualcuno, pescare da Distruzione, per essere quasi sicuri di prendere un attacco, può essere una buona idea).
E la cosa bella è che tutte queste scuole funzionano, bene e in modo diverso. Si può succhiare punti vita e punti vittoria agli altri, li si può attaccare direttamente, si possono costruire altari da cui ricavare punti o trasformarsi in bestie, si possono manipolare i mazzi di gioco a proprio piacere, si possono piazzare difese e trappole in quantità.
Il lavoro di limatura fatto dietro a ciascuna scuola è encomiabile e invoglia a sperimentare sempre nuove strade, a provare soluzioni alternative e dona grande rigiocabilità al sistema.
Conclusione
La particolarità di Black Rose Wars, in conclusione, è proprio quella di non cercare a tutti costi un'integrazione tra le sue due anime, ma anzi di metterle in contrasto, più o meno evidente e più o meno voluto. Il risultato finale è un gioco assolutamente american, ma con un sentore diverso dal solito, decisamente spiazzante.
Il sistema spesso non è responsivo alle tue azioni, anzi è resiliente: invece di oliare gli ingranaggi che costruisci, ti ci spara sabbia random in mezzo.
Se vi piace l'idea di combattere contro questa resistenza passiva, oltre che contro gli avversari, adorerete questo gioco, diversamente sarà per voi oggetto di odio e frustrazione.