Pax Pamir 2nd edition - recensione

Il "Grande Gioco" secondo Cole Wehrle (con un pizzico di Eklund)

Giochi collegati: 
Pax Pamir: Second Edition
Voto recensore:
8,5

Per la serie Pipponi Non Richiesti, seguono le mie opinabilissime e mediorientali impressioni su Pax Pamir: Seconda Edizione di Cole Wehrle.

Due cose mi spinsero all’acquisto del gioco: un tutorial di Ario – figura semi-mitologica del mondo ludico e cane sciolto (con rispetto parlando) tra gli youtuber nostrani – e un commento di un utente di questo gruppo, che a proposito di Pax Pamir mi scrisse (e cito testualmente): “è bello da fare schifo” (G. Alessio Ardito, dico a te ma non riesco a taggarti).

Il tutorial mi aiutò moltissimo e mi infuse fiducia nella mia capacità di poter assimilare le regole di un gioco che allora mi sembrava tra i più complessi in circolazione.
Il commento mi diede buone speranze sul fatto che le “vibrazioni” positive che il gioco sulla carta mi dava avrebbero potuto poi essere confermate.

Pax Pamir è ambientato nell’ottocentesca Asia centrale, teatro di scontri bellici, politici e diplomatici tra Afghani, Inglesi e Russi. Un tema che inizialmente mi suonava appetitoso quanto un piatto di crauti scaduti.

Il gioco è principalmente un tableau building al servizio di un gioco di “guerra”, in senso lato. Rientra nella serie Pax ideata dal mitologico (quasi quanto Ario) Eklund, ma questo Pamir risulta essere più asciutto e immediato rispetto, ad esempio, all’oscuro peso massimo Pax Renaissance (già oggetto di un altro Pippone Non Richiesto, su queste pagine, di prossima pubblicazione).
Nella serie Pax tornano alcune similitudini nel comparto regolistico, la principale delle quali è il mercato delle carte, poste su due file e a disposizione per l’acquisto da parte dei giocatori.
Altre similitudini si trovano nella morfologia delle carte, che quando vengono giocate innescano un “evento” immediato (posizionamento di pezzi in mappa o sulle carte) e che poi, fin quando restano in gioco, possono essere “attivate” per compiere alcune azioni, sulla base delle icone riportate in basso sulle carte stesse.
Intorno alle carte, cuore del gioco, si sviluppano meccaniche di controllo del territorio e di maggioranze, con un sistema di punteggio pressoché geniale innescato dalle quattro carte Dominio sparse nei due mazzi che alimentano il mercato.
Il proprio turno consta di due azioni principali (compra una carta e/o gioca una carta, in qualunque combinazione), più le eventuali azioni rese gratuite dal fantomatico “aspetto favorito”: ci sono quattro “semi” differenti (politico, militare, diplomatico ed economico), corrispondenti a simboli che compaiono sulle carte – ogni carta il cui seme corrisponde a quello “attivo” in quel momento, consentirà un’azione gratuita.
Ogni giocatore giurerà “lealtà” a una delle tre nazioni/fazioni, e la competizione tra i giocatori sarà su un triplo livello:
  1. la lotta tra le fazioni che perseguono il dominio sulle altre (quattro pezzi in mappa in più rispetto a ogni altra fazione), che in certe condizioni potrebbe implicare momenti quasi “cooperativi”, finchè non si arriva al punto 2;
  2. la lotta tra giocatori appartenenti alla medesima fazione, per ottenere il controllo della fazione dominante;
  3. la lotta diretta tra tutti i giocatori, indipendentemente dalle fazioni, qualora nessuna di queste fosse dominante sulle altre.
Un dolce, diabolico delirio.

Non provo nemmeno a riassumere ulteriormente le regole – ci sono miliardi di altri post, recensioni e tutorial che lo fanno benissimo.
Quello di cui qui mi preme parlare è il quadro generale, la sua cornice e alcuni dettagli che caratterizzano questo mattoncino “rigenerato” dalla sua seconda edizione.

Prima di tutto, la cosa più semplice di cui parlare: estetica e materiali.
È semplice perché è l’aspetto più banale e soggettivo, ma è semplice anche perché per la mia sensibilità e i miei gusti questo è una delle massime espressioni di arte al servizio dell’hobby ludico, senza molto altro da aggiungere.
È da qualche tempo che le case editrici ci stanno abituando a tabelloni grandi quanto un letto a due piazze, a plance che sembrano astronavi e in generale a soluzioni ergonomiche che, mi si consenta l’iperbole, costringono il giocatore a mettere in conto di dover spendere, oltre ai soldi per il gioco in sé, anche quelli per un tavolo-portaerei e, di conseguenza, per una casa più grande adatta ad accoglierlo.

Avete visto il “tabellone” di Pax Pamir?
È un fazzolettino. Letteralmente. Occhio a non sbagliarvi se mentre giocate siete raffreddati e un po’ distratti.
Pare una critica, ma non lo è: quel fazzolettino è di una semplicità e di una eleganza senza molti eguali.
Su quel pezzo di stoffa, probabilmente ricamato a mano da Nonna Wehrle, appariranno strade e armate nella forma di parallelepipedi, o mattoncini, che da lontano potrebbero sembrare quelle mini-saponette che di solito si rifilano a Natale alla zia cui non si sa cosa regalare.
Pare una critica, ma non lo è: quei cosi sono semplicemente belli, pesanti, si “innestano” perfettamente nell’estetica generale e se come me siete sensibili al valore dell’esperienza visiva e tattile, non potete non rimanerne affascinati.

Poi arriva il gameplay.
È un gioco da pugni sul mento, ginocchiate sui denti, coltellate alle spalle, sportellate in faccia, e via dicendo.
Astenersi solisti perditempo.
Suscettibili e permalosi, via dalle palle.
Si può avere un’idea strategica da perseguire, ma i continui stravolgimenti nelle “corti” avversarie (le carte giocate) faranno saltare i piani, ci si troverà spalle al muro, si trameranno vendette, tradendo all’occorrenza, sacrificando pezzi propri per far male, e di più, all’avversario. È un aspetto marginale del gioco, ma si può anche negoziare, scambiandosi favori e stringendo alleanze di dubbia solidità – che per me, in un gioco del genere, è la proverbiale ciliegina.
È importante il colpo d’occhio, per identificare le carte migliori e più utili alla causa strategica o a rimuovere l’ostacolo contingente. È importante anche essere pronti a cambiare casacca e garantire la propria lealtà a un’altra fazione, stravolgendo il proprio tableau, la propria strategia, il proprio gioco.

Il tema c’è, è vivo, soprattutto se ci si prende la briga di leggere il testo sulle carte – in questo senso, Pax Pamir sembra un Bignami iperconcentrato, che racconta su ogni singola carta un pezzo di quel conflitto, storicamente noto come il “Grande Gioco”: i personaggi, i luoghi, le vicende – sono tutte lì, piccole  piccole, frutto di un grande studio alla base del gioco, e che invitano i più curiosi a un approfondimento. Può non interessare, ma l’accuratezza e l’attenzione al tema sono un ulteriore plus.

Passatemi allora il gioco di parole poco arguto: un grande gioco basato sul Grande Gioco.
Potrebbe non interessarvi il tema, ma – se non siete tra i cuori fragili che temono l’alta interazionePax Pamir funziona che è un piacere.
Non so se è “bello da fare schifo”, ma è tra i giochi migliori in circolazione per i miei gusti personali, per il suo livello di complessità. Il setup è piuttosto veloce (occorre solo “creare” i mazzi delle carte e srotolare il fazzolettino). Il tempo di gioco potrebbe rivelarsi sorprendentemente breve, in certi casi. Profondo e caciarone allo stesso tempo.
Giocato in quattro e in cinque è molto meno controllabile, com’è ovvio che sia, ma rimane notevole. In due, purtroppo, è dimenticabile. Ma personalmente nutro un grande sentimento per Wakhan, automa per il gioco in solo, che bara come pochi ma che si fa volere un gran bene e alla fine gli si perdona tutto, come a quel Grande figlio di pu***na cantato dagli Stadio.

Gentili Signore e Signori, dal Pamir è tutto, e che (ehm..) la pax sia voi (ah ah!).
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Commenti

Giocato una sola volta in quattro, mi aveva lasciato un po' perlesso... Uno di quei giochi che riproverei, ma dei quali non sento la mancanza, ecco.

Preso, provato e riprovato parecchio (al tavolo e online), infine rivenduto con dispiacere. Un bel Pax, con materiali straordinariamente curati, ma che dinamicamente mi ha restituito meno di quanto mi sarei aspettato, ahimè.

Ritratto di the

nel nostro gruppo ha avuto un inizio difficile. Considerato complesso e fumoso. Riscoperto ed ora apprezzatissimo, intavolato spesso, tensione al tavolo e Interazione feroce. Bello da far schifo

Pax Pamir non è un gioco, è una fede.

Pax Pam non lo si gioca mai abbastanza

Intavolato spesso con somma soddisfazione per gli occhi e per il palato, uno dei giochi più belli a cui abbia mai giocato!

Meccanico, lungo, statico e soporifero. L'unica cosa che rimpiango di Pax Pamir e' la produzione splendida.

Con roba come Renaissance, Viking o Porfiriana a giro questo non vedeva mai il tavolo.

Molto bello, quello sì, ma non da costare 90 euro di listino.
Avrei preferito una "poracci-edition" da 50 euro (che solo il gameplay li vale TUTTI), e fare a meno della piacevole sensazione tattile del toccare i mattoncini, del fazzoletto in fibre sintetiche da 3 euro su temu, delle carte con una grammatura da un kilo e mezzo che tanto ho imbustato ugualente, del manuale tradotto acdc da giochi x con il loro orrendo bollone rosso a rovinare la scatola.
Lo abbiamo apprezzato tanto anche in 2 (piu wakan), molto da solo, ed altrettanto le poche volte che ci abbiamo giocato in piu giocatori.

Mai giocato .... Ho sempre voluto, ma non ho mai conosciuto qualcuno che lo avesse .... Della serie pax ho vickings.... Che è considerato il più semplice.... Gioco che mi piace tantissimo.... Perciò, se tanto mi dà tanto, dovrebbe piacermi pure pax Pamir.....

Una domanda: Ho letto molto in giro che la seconda edizione, benché migliori dal punto di vista materico/estetico, peggiora da quello del gameplay, perché cambiano alcuni obiettivi che truggerano il fine partita .... Hai per caso fatto qualche partita alla prima edizione per poter esprimere una opinione in merito? 

PS continua con le tue recensioni non richieste che è sempre un piacere leggerle 😉

Però la recensione non menzione una cosa. Si può essere d'accordo cul fatto che il fazzolettino è i monoliti siano eleganti, pratici e originali. Ok. Però sempre un fazzoletto è, più qualche blocco è una manciata di carte. In nome di cosa devo pagarlo 90 euro? "Less Is more" va bene, ma se diventa  "less Is more...expensive", no. 

Pizza.mystica scrive:

Però la recensione non menzione una cosa. Si può essere d'accordo cul fatto che il fazzolettino è i monoliti siano eleganti, pratici e originali. Ok. Però sempre un fazzoletto è, più qualche blocco è una manciata di carte. In nome di cosa devo pagarlo 90 euro? "Less Is more" va bene, ma se diventa  "less Is more...expensive", no. 

Obiezione motivata.... Io ad esempio ho Tokyo Metro, gioco dalla componentistica simile, ma in una scatola addirittura piccolissima, x abbattere i costi di trasporto (non che di emissioni di CO2 nell'atmosfera).... Eppure costa una 60ina di €..... Obiettivamente non so cosa ci sia dietro i costi di produzione.... Boh

meradoc scrive:

Mai giocato .... Ho sempre voluto, ma non ho mai conosciuto qualcuno che lo avesse .... Della serie pax ho vickings.... Che è considerato il più semplice.... Gioco che mi piace tantissimo.... Perciò, se tanto mi dà tanto, dovrebbe piacermi pure pax Pamir.....

Una domanda: Ho letto molto in giro che la seconda edizione, benché migliori dal punto di vista materico/estetico, peggiora da quello del gameplay, perché cambiano alcuni obiettivi che truggerano il fine partita .... Hai per caso fatto qualche partita alla prima edizione per poter esprimere una opinione in merito? 

PS continua con le tue recensioni non richieste che è sempre un piacere leggerle 😉

 

Mai giocata la prima edizione, qualcuno più esperto qui in Tana magari saprà rispondere 😉

Pizza.mystica scrive:

Però la recensione non menzione una cosa. Si può essere d'accordo cul fatto che il fazzolettino è i monoliti siano eleganti, pratici e originali. Ok. Però sempre un fazzoletto è, più qualche blocco è una manciata di carte. In nome di cosa devo pagarlo 90 euro? "Less Is more" va bene, ma se diventa  "less Is more...expensive", no. 

Sul prezzo non so esprimermi: non so dire se produrre quel  "fazzoletto" costa più o meno di un tabellone classico. Quei blocchetti non so quanto possano incidere rispetto a cubetti o che so io. Però ad esempio noto che la scatola è spessissima e resistente, che nella scatola c'è un buon organizer che ancora non ho buttato come fatto con altri, poi ci sono altri piccoli dettagli. Non sarà economico, siamo d'accordo, ma non saprei dire se il prezzo sia cosi tanto fuori scala.

È stata una fortuna veder apparire Pax Pamir su BGA, per provarlo subito dopo aver letto le regole e per fugare i dubbi che lascia un regolamento che senz'altro poteva essere scritto meglio, che sembra tralasciare l'evidenziare di alcune regole e relegarle in sosta nella descrizione di un esempio di gioco. Giocarlo in digitale è stato praticamente fondamentale per capirlo e chiarire gli ultimi dubbi prima di proporlo in ludoteca. Un successo. Cinque giocatori e un sorriso nel vederci sconfitti dal più giovane, un ragazzino di dodici anni che acciuffa la vittoria finale sfruttando il doppio dei punti in un controllo di dominio finale negativo, ovvero senza maggioranza. Spiegate bene le regole, presentato bene il gioco e immergendo i giocatori nello spirito di gioco.. Pax Pamir è uno di quei titoli che lascia la voglia di riprovarlo per cercare di far di meglio. Pax Pamir è longevo, rigiocabile grazie alla varietà di carte (che ad ogni partita una gran parte rimane fuori dal gioco, come pure gli eventi) e di situazioni infinite dovute alle molteplici interazioni dei giocatori e di presenza su mappa. Siccome le fazioni son "solo" tre non è molto vero che in cinque la partita diviene meno controllabile. Con due sole azioni più qualcuna gratuita, e con soldi la cui penuria è sempre pronta a farti soffrire, il turno spesso torna che non molto è cambiato sulla mappa. Bisogna saper essere veri squali. Gli "sprovveduti" avran di che apprendere!

Pamir 2 molto bello, semplificato molto rispetto al primo.

(Per i veterani, è un gioco con la sola condizione vittoria religiosa di pax renaissance)

A causa di questa semplificazione è necessario giocare in molti (4 o 5 umani) al fine di innescare i suoi gustosi meccanismi.

IO preferisco il primo, con tutte le sue ineleganze. Si sentono le due impronte nel primo Eklund nel secondo puro Wherle

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