Sul mito della longevità

light faber

Babbano
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Leggendo recensioni, c’è un tema su cui osservo una distanza sempre maggiore fra la mia esperienza di gioco e il punto di vista del recensore: la longevità. Il punto di partenza della mia riflessione è che nelle recensioni la cosiddetta longevità di un gioco sembra avere grande importanza nella sua valutazione, quando invece nella mia esperienza, ne ha veramente poca.
Premessa: il mio non è un approccio scientifico, perché non sostenuto da dati, è solo: ipotesi e speculazioni + la mia personale e ventennale esperienza come giocatore.

Scarsità vs Abbondanza
La prima considerazione è la più evidente: in qualunque ambito, la longevità ha tanto valore quanto più viviamo una fase di scarsa offerta, e tanto meno valore quanto più godiamo di un’abbondanza di offerta. Twilight Struggle o Puerto Rico, quando sono usciti, erano davvero gli unici di quel genere, e sono rimasti unici per un po’ (concedetemi la semplificazione, so che è leggermente più complesso di così).
Ora siamo assediati da centinaia di uscite all’anno e appena una nuova meccanica si affaccia sul mercato, a stretto giro escono giochi che propongono decine di varianti diverse di quella meccanica.

Cosa significa longevità?
Parte dell’equivoco è forse che si attribuisce a questo termine qualità che non sempre coincidono fra loro. Per esempio:
“Varietà”: la quantità di permutazioni che il gioco permette. Una quantità tale da non essere esplorata in un’unica sessione di gioco.
“Profondità”: la difficoltà a padroneggiare il gioco, quindi la necessità di fare più partite per diventare bravi, e quindi la promessa di una gratificazione futura quando questa padronanza venga acquisita.
Il problema è che la longevità è priva di valore reale per il giocatore se non viene soddisfatta un’altra condizione: la “voglia di fare un’altra partita”, o "ingaggio". Perché un gioco può “durare” potenzialmente anche 2 anni, ma se non mi viene voglia di fare una seconda partita, quel potenziale rimane inespresso.
E nell'usare il termine longevità spesso si dà per scontato che: grande varietà e/o grande profondità = grande ingaggio.
MA non sempre grande “varietà” e grande “profondità” determinano grande “ingaggio”.
A volte la varietà è solo riproposizione dell’identico sotto altre forme, e non mi interessano mille ricombinazioni di un gioco privo di... identità (anima? cuore? racconto? esperienza? personalità?).
A volte la profondità non è in grado di mantenere la sua promessa e si traduce solo in un gioco molto difficile e complicato, che poco mi restituisce in cambio della fatica e delle ore che ci ho dedicato.

“Eh ma per apprezzarlo ci vogliono almeno 1267836 partite”.
Commenti come questi sono diventato sinonimo di qualità per un gioco. La mia tesi è che, non solo sia una qualità obsoleta, ma che sia in realtà un difetto di design.
Al contrario, sempre di più tendo a dare importanza a qualità come il Primo Impatto: la capacità di un gioco, già dalla prima partita, di inserire il giocatore in un racconto (e in un metaracconto), di proporgli una sfida interessante ma con una curva d’apprendimento dolce, di fargli intravedere ampi territori ancora da esplorare che cambieranno in modo significativo la sua esperienza del gioco.
La prima partita ad un gioco è sempre più importante, e lo sarà sempre di più. Perché le abitudini di gioco stanno cambiando.
Perchè non mi interessa quanto quel gioco sarà fighissimo alle quarantreesima partita: se realizzo di aver passato la mia unica serata settimanale a giocare un tutorial di tre ore, quel gioco non lo voglio più vedere!

A chi interessa la longevità?
Prendiamo i classici tre segmenti di giocatori: occasionali, intermedi, appassionati. Gli occasionali giocano ogni tanto, di solito fra una giocata e l’altra si dimenticano anche come si gioca a giochi che hanno già giocato, sono stati abituati a giocare all’infinito gli stessi 3 o 4 giochi e la cosa non li disturba perché, appunto, giocano poco spesso. Per loro la longevità non importa granché.
Gli appassionati seguono da vicino il mondo dei GdT, comprano tanti giochi, hanno un gruppo di gioco fisso. Moti sono ormai dei tossici drogati di hype. E la voglia di provare l’ultimo gioco comprato è sempre alta. E’ vero che giocano molto spesso, ma è anche vero che comprano ancora più spesso. E sempre meno la routine di gioco riesce a stare dietro al volume di nuovi giochi acquistati. Anche per loro, che è già tanto se riescono a giocare uno stesso gioco più di 3 o 4 volte, la longevità sembra avere una valore relativo.
Rimane il segmento intermedio, che potrebbe essere quello ad apprezzare di più la longevità di un gioco. Il problema è che spesso i giocatori intermedi giocano in un gruppo in cui, ad un certo punto, un membro del gruppo evolve a giocatore appassionato, e allora è finita: comincerà a comprare giochi e a sottoporre ai suoi compagni giochi sempre nuovi. Come a dire: basta un tossico nel gruppo per compromettere le abitudini di gioco di tutto il gruppo.
E quindi mi chiedo: quanto è grande e consistente questo segmento intermedio per cui si producono giochi ad “alta longevità”?

Il paradosso dei legacy e dei consumabili
I luoghi comuni sui giochi legacy (o sui giochi “consumabili” alla SHCI o Time Stories) li conosciamo: avrebbero una longevità molto limitata e quindi sarebbero uno spreco di soldi.
Anche qui mi rifaccio alla mia esperienza. I giochi che sono stati più giocati negli ultimi 2 anni sono stati i giochi legacy. Esempio estremo: arrivati a ottobre di Pandemic Legacy nessuno ne poteva più. Lo dico da superfan di Pandemic classico, ma dopo un po’ la minestra era sempre quella, e la storia è una brutta puntata di x-files. Eppure l’abbiamo giocato fino alla nausea per finirlo. Risultato: è stato il gioco a cui abbiamo fatto più partite l’anno scorso. Perché volevamo e dovevamo vedere come andava a finire. In altre parole, il racconto, ma sopratutto il "meta racconto" che il gioco ha creato era talmente forte da obbligarci a giocare.
Discorso simile per Time Stories: la possibilità di provare “il brivido della novità” comprando uno scenario a 25 euro, invece che un gioco completo a - in media- 45 euro, si è rivelato molto efficiente, anche dal punto di vista economico, rispetto alle nostre abitudini di gioco.
In sostanza, nel mio gruppo, la combinazione di “irripetibilità dell’esperienza” e “tensione narrativa” (chissà cosa succederà dopo!”) portano il gioco sul tavolo molto di più che non la voglia di provare strategie o permutazioni diverse all’interno di uno stesso gioco.
Idem per Sherlock Holmes Consulente Investigativo.

Forse non per te che sei un vecchio con poco tempo per giocare, ma i giovani…!
Eh già. Per me arrivare in fondo a una campagna di Assalto Imperiale è una prospettiva fantascientifica, ma esistono i famosi giovani, con tanto tempo libero a disposizione che passano pomeriggi e pomeriggi a sviscerare uno stesso gioco come facevo io a 12 anni. Così dicono. Però se vedo le abitudini di intrattenimento dei giovani attorno a me, questo comportamento non l’ho mai visto. Anzi hanno un’organizzazione del tempo libero iper-frammentata e bulimica: videogiochi su console, videogiochi su cellulare, fumetti, libri, serie tv, film, giochi da tavolo. Agli adolescenti che conosco io, per esempio, non potrebbe fregare di meno che un videogioco garantisca centomila ore di gioco, ne preferiscono poche ma memorabili, perché tanto poi ne esce uno nuovo il giorno dopo.

E quindi?

E quindi boh! Il discorso è articolato. Ma penso sia saggio per produttori e designer ipotizzare che la soglia di attenzione media sarà sempre minore, e che il primo impatto di un gioco, e la gratificazione che una singola sessione regala, sarà sempre più importante.
E vorrei dai recensori meno attenzione per la “longevità” in generale (che vuol dire poco), e più precisione nel farmi capire qual’è il primo impatto di un gioco, se promette solo “varietà” o anche “tensione narrativa”, se la curva di apprendimento “ripida” poi restituisce davvero quel che promette e dopo quanto tempo.
Perché insomma, la mia storia da “host” di serate di gioco, è costellata di cosiddetti “capolavori” uccisi sul nascere da più di un gruppo perché onestamente indigeribili alla prima partita.
O giochi “a campagna”, in cui la campagna altro non era che un’esperienza di gioco probabilmente piacevole ma segmentata e rallentata in n sessioni di per se poco gratificanti e mal progettate e tenute insieme con lo sputo di una “storia” scritta con un generatore automatico.

E quindi giusto per togliere ulteriore scientificità a questo pezzo che ne ha già poca: abbasso i giochi lunghi, e viva i giochi a sessione singola.
(A proposito, quando esce Doom in italiano?! Lo voglio!!)
 

Thegoodson

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niente, sono d’accordo al 100% su quello che hai scritto. anzi rilancio, con un corollario ancor più difficile da accettare: dovrebbero avere meno peso anche diversi dei cosiddetti difetti o errori di design che emergono solo dopo un uso longevo del gioco, non so, per esempio eventuali strategie dominanti. certe volte, a costo di passare per fessi villici, verrebbe davvero da dire che il re è nudo...
 

Thegoodson

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detto questo, la cosa carina della Tana è che scrivono diverse penne con target di riferimento diversi; e alcune di queste penne ultimamente specificano molto, più che la presunta qualità assoluta del prodotto, l’indicazione per il target più adatto. credo che questo sia un forte pregio del sito.
 

steam

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Boh dipende.

Io sono personalmente convinto che sia bell giocare tanto a pochi giochi, approfondirli e andare in profondità piuttosto che avere un approccio più superficiale a tanti giochi diversi.

Insomma, preferisco giocarne 1 solo bello 10 volte che 10 giochi mediocri 1 volta.
 

Pigoz

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Questione di punti di vista e di approccio. Personalemnte mi piace "affezionarmi" ad un gioco. Mi piace fare 10 o più partite ad uno stesso gioco e scoprire nuove trategie, strade, possibilità... Mi da soddisfazione capire a fondo un gioco e vedere come l'esperienza permette di apprezzare sempre di più cioò che l'autore ha faticosamente creato. Non tutti i giochi permettono questo approfondimento. E mi rendo perfettamente conto che a molti questo aspetto non interessa preferrendo cambiare continuamente gioco, cercando sempre l'ultima novità appena uscita. Dico di più: proabilemnte, come hai scritto, alla maggioranza dei giocatori non importa nulla della longievità. Ed è anche vero che il mercato sta sempre più assecondando questo nuovo trend, con giochi semplici, di breve durata, da farci un paio di partite per poi passare ad altro. Tutto sembra ruotare intorno al "Casual Gamer"... La cosa, personalmente, non mi piace, ma me ne faccio una ragione e non ci resto troppo male. Quello che già c'è mi basta. Quando compro un gioco appena uscito, mi accorgo sempre più spesso, che in realtà è un acquisto per capriccio, piuttosto che per bisgono di giocare a qualcosa di nuovo. Agricola, Puerto Rico, Ticket to Ride, Carcassonne, Marco Polo, Orleans, Brony, Bora Bora, Caverna, Quadropolis, Concordia, Lords of Waterdeep, Ora et Labora, Nations, Terra Mystica, 7 Wonders, Suburbia: sono alcuni dei giochi a cui ho fatto almeno 10 partite (se non di più) ma che sarei pronto a rigiocare anche subito e con grande piacere! La longevità sarà anche passata di moda, ma per fortuna i giochi longevi hanno fatto in tempo ad uscire :approva: !
 

odlos

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Non sono d'accordo con tutto quanto c'è scritto, ma più che altro perché sono un giocatore che ha un differente tipo di approccio ai giochi da tavolo, in ogni caso, trovo che per molti aspetti sia una disanima molto interessante e ben argomentata sulla longevità.
 

Magio

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light faber":3monv38j ha scritto:
Perché insomma, la mia storia da “host” di serate di gioco, è costellata di cosiddetti “capolavori” uccisi sul nascere da più di un gruppo perché onestamente indigeribili alla prima partita.

Ok ma bisogna anche vedere quello che si desidera raggiungere con il proprio gruppo di gioco. Se il mio gruppo dovesse rifiutarmi Puerto Rico, Terra Mystica o Tramways perché la "prima partita non basta a catturarli"... beh cambio gruppo non gioco. :approva:

Insomma mi sembra un discorso che ha un senso se si vuole "per forza" far divertire i casual e andare a colpo sicuro... ma come detto non mi ci ritrovo come approccio,se non ti piace quello che propongo, pace! Oltre a questo io prediligo i giochi profondi, quelli che una partita non basta per capirli quindi sono anche molto fuori target. Per me la longevità, quella vera da 100 e più partite, è un valore.
 

nakedape

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Dipende da ciò che uno cerca in un gioco. Se vuole essere "divertito" allora vada pure per i giochi compra, usa e rivendi. Se uno vuole essere "appagato" da una sfida che cresce nel tempo allora è meglio che lasci perdere i giochi che si bruciano dopo un paio di partite.
Inoltre per me, una parte considerevole del divertimento di un titolo consiste proprio nell'esplorazione dello stesso.
Preferisco di gran lunga i giochi ostici e spiazzanti che mi raccontino qualcosa di nuovo, e che mi obblighino ad approcci non convenzionali, piuttosto che la solita minestra semplice ed intuitiva.

Altra cosa invece sono i giochi legacy o campagna, che prevedono un tipo di approccio diverso. Per quanto mi riguarda corrono in categorie diverse da quelli tradizionali.
 

phalanx

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light faber ha scritto:
“Eh ma per apprezzarlo ci vogliono almeno 1267836 partite”.
Commenti come questi sono diventato sinonimo di qualità per un gioco. La mia tesi è che, non solo sia una qualità obsoleta, ma che sia in realtà un difetto di design.
[n/quote]

Per quanto siano condivisibili alcune delle tue affermazioni, nonostante io sia un casual gamer, qui non posso che dissentire.

Una cosa è una tua preferenza verso giochi che si apprendono subito un’altra è classifica re come un difetto di design qualcosa che non ti piace.
 

odlos

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phalanx":3ps0hjsl ha scritto:
light faber":3ps0hjsl ha scritto:
“Eh ma per apprezzarlo ci vogliono almeno 1267836 partite”.
Commenti come questi sono diventato sinonimo di qualità per un gioco. La mia tesi è che, non solo sia una qualità obsoleta, ma che sia in realtà un difetto di design.

Per quanto siano condivisibili alcune delle tue affermazioni, nonostante io sia un casual gamer, qui non posso che dissentire.

Una cosa è una tua preferenza verso giochi che si apprendono subito un’altra è classifica re come un difetto di design qualcosa che non ti piace.

Ci può stare che venga considerato un difetto la mancanza di immediatezza, ma non per forza un gioco longevo è un gioco che si apprezza solo dopo molte partite.
Comunque, vedo questo atteggiamento, un elogio alla semplificazione, in molti campi e non posso che biasimarlo.
 

phalanx

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Il fatto è che secondo me la parola “difetto” implica fatto oggettivo.
Altrimenti è semplicemente una scelta di design che non piace e che determininerà la voglia di giocarci o meno.
 

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phalanx":2gi6haus ha scritto:
Il fatto è che secondo me la parola “difetto” implica fatto oggettivo.
Altrimenti è semplicemente una scelta di design che non piace e che determininerà la voglia di giocarci o meno.

il fatto è che se i 99% delle persone dei "secondo me" lo indicano come un difetto, e l'1% dei "secondo me" lo indica come un pregio, queste ultime potranno argomentarne tutta l'oggettività della loro posizione ma un po' di dubbi è lecito averne.
A me è piaciuto molto il post d'apertura perchè ha ritratto, in modo diretto e senza massimi sistemi, quello che vede accadere al suo gruppo di gioco, ai teenager che conosce, etc, accorgendosi semplicemente che la realtà del mondo giocante è un po' diverso da quello che è talvolta raccontato in questa community.
Ci sta, no?
 

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Thegoodson":20eie0g4 ha scritto:
che la realtà del mondo giocante è un po' diverso da quello che è talvolta raccontato in questa community.
Ci sta, no?

Certo che ci sta. Ma nel momento in cui si dice che la complessità è un difetto di design il discorso, secondo me, perde di significato. È come dire che Fabio Volo è migliore di Dostoyevsky perché più immediato.

La gente è libera di leggere e giocare quello che vuole ma che ci siano delle diversità di profondità è oggettivo.
 

phalanx

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Assolutamente si :)

Ci mancherebbe altro.
 

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La questione interessante sollevata dal thread è che, nel momento in cui diventiamo consapevoli che esistono tutta una serie di giochi prodotti appositamente per avere una vita ludica limitata a 4/6 mesi e ad un utilizzo saltuario, quasi usa e getta estremizzando, la longevità (o meglio la mancanza di essa), entro certi limiti, diventa una caratteristica di design e non più un difetto.

Ora, il punto è:
1- verificare se questa specifico pattern di produzione esista o sia una percezione data esclusivamente da una certa modalità di consumo
2- se è vera la prima, essere in grado di capire quali giochi rientrino in questo filone

Il problema non è assolutamente di facile risoluzione da questo punto di vista.
 

Thegoodson

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Mod_XXII":3k9403j6 ha scritto:
Certo che ci sta. Ma nel momento in cui si dice che la complessità è un difetto di design il discorso, secondo me, perde di significato. È come dire che Fabio Volo è migliore di Dostoyevsky perché più immediato.

Guarda, se tu credi davvero nel paragone che fai hai ragione. Il fatto è che personalmente continuo a ritenere il boardgame non una forma d'arte ma primariamente un oggetto di consumo (come peraltro dimostrato dai fenomeni sopradescritti di hype, ks, acquisti compulsivi etc), e come tale il consumatore/fruitore di giochi ha più autorevolezza nel giudicare i giochi (soprattutto se è un "giudizio di massa") che non un lettore nel giudicare i libri (soprattutto quelli ammantati da aura classica e resi immortali).
Però è una mia idea eh, una "chiacchiera e questione inerente il mondo dei giochi", come da titolo del topic.
 

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Su semplicità/complessità di regole credo che sia difficile paralre di pregi/difetti ma piuttosto di caratteristiche del gioco.
Sulla profondità direi che è quasi sempre un pregio, anche se in alcune categorie di giochi in effetti non è richiesta e quindi potrebbe risultare fuori luogo.
Sulla longevità invece nessun dubbio: è sempre un pregio, poi sta al giocatore voler sfruttare o meno tale qualità.
 

Thegoodson

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Morg":1uhc1m2h ha scritto:
La questione interessante sollevata dal thread è che, nel momento in cui diventiamo consapevoli che esistono tutta una serie di giochi prodotti appositamente per avere una vita ludica limitata a 4/6 mesi e ad un utilizzo saltuario, quasi usa e getta estremizzando, la longevità (o meglio la mancanza di essa), entro certi limiti, diventa una caratteristica di design e non più un difetto.

Che poi Lightfaber non dice che non deve essere più considerato un difetto, ma che "la cosiddetta longevità di un gioco sembra avere grande importanza nella sua valutazione, quando invece nella mia esperienza, ne ha veramente poca". Ovvero che oggigiorno dovrebbe avere un peso minore rispetto a una decina d'anni fa. Perchè? Perchè oggigiorno la maggior parte delle persone gioca in una maniera sostanzialmente diversa.
Per me ci sta tutto, ripeto.
 

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Thegoodson":1hhrihsw ha scritto:
Morg":1hhrihsw ha scritto:
La questione interessante sollevata dal thread è che, nel momento in cui diventiamo consapevoli che esistono tutta una serie di giochi prodotti appositamente per avere una vita ludica limitata a 4/6 mesi e ad un utilizzo saltuario, quasi usa e getta estremizzando, la longevità (o meglio la mancanza di essa), entro certi limiti, diventa una caratteristica di design e non più un difetto.

Che poi Lightfaber non dice che non deve essere più considerato un difetto, ma che "la cosiddetta longevità di un gioco sembra avere grande importanza nella sua valutazione, quando invece nella mia esperienza, ne ha veramente poca". Ovvero che oggigiorno dovrebbe avere un peso minore rispetto a una decina d'anni fa. Perchè? Perchè oggigiorno la maggior parte delle persone gioca in una maniera sostanzialmente diversa.
Per me ci sta tutto, ripeto.

Lo dico io :rotfl:
Nel senso: andrebbe valutato in base al target di design dello specifico gioco, non in base alle tendenze di fruizione generica del pubblico, che sono variabili, difficilmente analizzabili/generalizzabili.
Un passaggio insomma da "difetto" a "caratteristica". Alcuni giochi sono fatti e pensati proprio per essere giocati TANTO, non valutarne pesantemente la longevità perchè mediamente i nuovi giocatori giocano poco sarebbe un errore in quel caso.
Diventa semplicemente un problema di inquadramento del singolo gioco e di riparametrizzazione dei giudizi e del peso delle singole caratteristiche in base a questo inquadramento.
Analogamente [tag]Agzaroth[/tag] mi pare lo faccia già per esempio con l'ambientazione in giochi german VS american.

Il problema qui sarebbe quello che esponevo nel post precedente, capire se esistano davvero giochi "fatti per non essere longevi" e riuscire a inquadrarli correttamente.
 

phalanx

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Credo che nessun gioco sia fatto apposta per non essere longevo (sempre escludendo legacy o investigativi), piuttosto credo sia una conseguenza di un minore studio del prodotto da parte dell’editore.
Sapendo che molti titoli avrebbero comunque una durata limitata nel tempo, vale la pena investire tempo e soldi in migliorie?
 
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