[Postato contemporaneamente a Domon]
Ciao Zaidar.
I metodi che un gioco usa (ossia le tecniche - "Quando attacchi tira 1d20", "Chi vince il conflitto narra la risoluzione", "Se fai meno del tuo valore con 1d100 hai successo", "quando parli 'in personaggio' devi tenere gli occhi chiusi" e così via) non sono indicativi per determinare se un gioco sia narrativista, simulazionista o gamista.
Il complesso delle tecniche, e la loro interazione, insieme ad altri elementi, può dare qualche indicazione, ma se il gioco è fatto bene, la cosa è trasparente.
I giochi "narrativisti" (o meglio, "storia adesso" - Story Now) sono progettati per permettere ai giocatori di esprimersi (attraverso il mezzo del gioco) su questioni "morali" (inteso in senso ampio, che significa più o meno "tematiche interessanti e dalla risposta aperta") e lo fanno dandoti i mezzi necessari affinché tu riesca ad esprimerti appieno senza preoccuparti che il gioco ti remi contro.
Per distinzione, ad esempio, i giochi orientati allo Step on Up ("scendi in campo" - quello che nel GNS è il gamismo) sono invece progettati per permetterti di mostrare le tue capacità agonistiche, e la soddisfazione del gioco esce da quello. In questi, non c'è bisogno di garantire che tutti i giocatori abbiano la possibilità di esprimersi liberamente su un tema interessante, perché sono pensati per la sfida, la competizione, e quindi sviscerare una questione attraverso il gioco è secondario (sempre che ci sia proprio).
I giochi "diritto di sognare" (Right to Dream - ex-simulazionismo) sono invece tutt'altra roba ancora, ma dato che è l'intento meno esplorato (perlomeno dai designer) e più sfuggente (perlomeno per i giocatori), lasciamo perdere qualsiasi tentativo di definizione.
Basti sapere che, come ho già setto sopra, cose come chi narra e quanto, il tipo di tiro di dado, se il gioco ha una lista infinità di abilità e statistiche o meno, non ha hanno che fare con l'intento creativo.