WAR: intervista a Iacopo Frigerio

Iacopo Frigerio

Un interessante gioco di ruolo su un tema poco esplorato, spiegato dall'autore.

Interviste
Autori

WAR è il nuovo gioco di ruolo di Iacopo Frigerio, autore italiano, mente dietro alla storica Coyote Press e che ha al suo attivo svariati giochi di ruolo tra i quali Wulfach, Monsters. Scritto a quattro mani in collaborazione con Leonardo Lucci e Mano Sinistra - Necrobriscola GDR edito da Hollow Press, un interessante gioco OSR che si appoggia ad un mazzo da briscola.

WAR è un gioco affascinante e a suo modo unico, caratterizzato da una storia travagliata. Dopo essere stato reso disponibile gratuitamente con licenza CC-BY, attualmente è in una fase di autofinanziamento su itch.io fino al 3 dicembre. Questa campagna mira a raccogliere i fondi necessari per produrre una tiratura stampata del gioco, disponibile per tutti coloro che desiderano possederne una copia fisica. Per ulteriori dettagli e per partecipare alla campagna, puoi visitare il seguente link: https://fantasia-games.itch.io/war

Il gioco tratta di situazioni legate a missioni militari all'estero, parla di soldati e personale civile che operano in scenari di guerra contemporanei, in cui si trovano a contatto con popolazioni oppresse o in fuga. Come è facile intuire il gioco si concentra sui dilemmi morali affrontati dai personaggi, uomini e donne che si trovano in teatri di guerra internazionali. Si trovano costretti a bilanciare l'obbligo di obbedire agli ordini, con l'empatia verso gli oppressi e la decisione di aiutarli, vivendo un conflitto morale significativo.

WAR esplora il percorso personale di cambiamento che avviene durante queste missioni e il costo umano e morale associato. Si concentra sulle complesse sfaccettature dell'esperienza umana in situazioni di guerra contemporanea e sulla moralità dei personaggi in tali contesti. Il sistema di gioco mette le persone al tavolo costantemente sotto pressione per quanto riguarda il cambiamento morale, ma la decisione di resistere o cedere dipende esclusivamente dalle scelte narrative fatte durante lo sviluppo della storia.
Il gioco ci da la possibilità di creare e seguire personaggi che rappresentano la complessa condizione umana. Personaggi memorabili, misteriosi, fallibili e che spesso presentano sfaccettature complesse, detestabili e interessanti.
Coloro che giocano si immergono nelle vite di questi personaggi, osservano le loro azioni e le sfide che devono affrontare e cercano di comprendere le difficili scelte morali che li attendono.

È un gioco che tratta il tema della guerra vivendolo dal punto di vista dei protagonisti, offrendo ai partecipanti l'opportunità di esplorare le complesse esperienze umane legate alla guerra, compresi i costi umani, le atrocità e i dilemmi morali che possono emergere in tali situazioni. WAR invita i partecipanti a riflettere sulle scelte che potrebbero dover affrontare in contesti estremi, situazioni nelle quali la vita è costantemente in bilico.

La Narrazione Emergente nei Giochi PbtA

WAR è un gioco di ruolo facente parte della famiglia dei PbtA (Powered by the Apocalypse), una categoria di giochi di ruolo in cui il motore si basa sul sistema creato da Vincent Baker e Meguey Baker per il loro celebre Apocalypse World.

Un PbtA è gestito come una conversazione nella quale ciascuno deve parlare a turno descrivendo quello che succede, aggiungendo dettagli e facendo domande. Non si tratta di turni come nei giochi da tavolo, ma è più simile a come quando ci si ferma ad ascoltare gli altri durante una conversazione, senza parlarsi addosso.

Si gioca per scoprire cosa succederà, creando di fatto una storia che emerge direttamente al tavolo, non scritta prima.
Una volta acquisita una certa dimestichezza, le differenze rispetto ad un gioco tradizionale diventano chiare ed evidenti.

Sono giochi che si caratterizzano per un diverso ruolo del Master (il Maestro di Cerimonie, l’MC) rispetto a quello tradizionale, per il peso che i giocatori hanno sulla storia e per alcune meccaniche chiave, come le Mosse.

Le Mosse sono il cuore dei PbtA e sono progettate per guidare il flusso della narrazione in modo dinamico e collaborativo.
Di solito, una Mossa si innesca ed è associata a una specifica situazione o a un tipo di azione che uno specifico personaggio può intraprendere.
Durante il gioco, il giocatore narra liberamente come il suo personaggio agisce e pensa, ma quando descrive un'azione che intercetta una tra le azioni indicate con una Mossa, scatta la regola specifica ad essa associata.
Per stabilire l'esito incerto dell'azione, quindi, si tirano 2 dadi a 6 facce si somma il modificatore della relativa caratteristica e con un risultato di 10 o più è un successo, un risultato compreso tra 7 e 9 darà luogo ad un successo parziale, cioè si otterrà un successo con delle conseguenze, un risultato di 6 o meno rappresenta un fallimento.

E qui succede qualcosa di interessante, perché alcune mosse danno una risoluzione meccanica (infliggere una data quantità di danni, ottenere bonus ai tiri successivi, ecc...), altre una narrativa in base al risultato del dado (il giocatore o la giocatrice avrà la facoltà di determinare gli effetti della sua azione, in termini di gioco), altre daranno la risoluzione all’MC. Quindi, alcuni risultati danno l’autorità di narrare lo svolgimento dei fatti a chi sta interpretando il personaggio, altre volte sarà MC ad avere l’occasione di rispondere all’azione. In generale l'MC utilizza i risultati della mossa per sviluppare la trama, reagendo alle azioni dei giocatori, pur avendo cura di conservare il più possibile la loro autonomia.

Infatti nei PbtA, i giocatori hanno un'influenza significativamente maggiore sulla narrazione e spesso vengono coinvolti in modo più profondo, potendo contribuire con contenuti che vanno oltre la semplice interpretazione del proprio personaggio.
Inoltre, anche il ruolo del MC nei giochi PbtA è notevolmente diverso dal tradizionale narratore e giudice delle azioni. L’MC non agisce come un autore che guida gli altri giocatori attraverso una storia scritta in precedenza. Agisce invece come il regista di un film o di una rappresentazione teatrale, muovendo il riflettore e le telecamere sui diversi personaggi per veder quale storia emerge mentre questi personaggi esplorano il mondo che lui ha descritto.

Si gioca per scoprire cosa succederà, creando di fatto una storia che emerge direttamente al tavolo, piuttosto che seguire una trama predefinita scritta in anticipo.

Dinamicità Narrativa in WAR

Nel gioco, ogni partecipante prenderà il ruolo di un personaggio che può essere un militare o un civile in un ambiente di guerra moderna.

All'inizio, tutti i personaggi sono operatori che svolgono ruoli diversi nello stesso contesto bellico. Ma nel corso del gioco, potrebbero evolversi diventando rivali o addirittura diventare nemici mortali, ma inizialmente dovrebbero almeno essere alleati.
Compito dei giocatori e giocatrici sarà quello di interpretare i propri personaggi in modo da farli sembrare persone reali con una coerenza interiore, con le loro convinzioni, debolezze e bellezze umane.

WAR un gioco che punta a una narrazione emergente e dunque creata nel momento stesso del suo svolgimento sulla base delle scelte che via via prendono tutte le persone al tavolo. É utile sottolineare che siamo di fronte a un'esperienza di gioco di ruolo diversa dai tradizionali GdR, dove il master guida la narrazione e la storia è in gran parte predefinita. In WAR e questo tipo di giochi è estremamente difficile seguire una storia scritta in precedenza o replicare con precisione un evento storico reale, in quanto le azioni di coloro che giocano daranno vita a nuove direzioni, imprevedibili e incompatibili con una narrazione già definita. Qui ci allontaniamo dall'approccio classico che mira a risolvere un'avventura e le sue quest.
La narrativa si differenzia da quel tipo di schema, sviluppandosi invece in modo dinamico in base alle decisioni di giocatori e giocatrici, incoraggiandoli a esplorare una tematica profonda attraverso le scelte dei loro personaggi.

Crisi e scrupoli di coscienza

War tratta principalmente il tema della presa di coscienza etica da parte delle persone che si trovano a lavorare in scenari di guerra e che lentamente sono trascinate all'interno di dilemmi che li portano a scegliere tra i propri doveri o interessi e il benessere di persone che, proprio a causa della guerra in atto, vengono oppresse.

Collegato a questo concetto c’è l’interessante meccanica che riguarda la moralizzazione delle caratteristiche dei personaggi. In pratica, ci sono eventi o situazioni nella narrazione che mettono a dura prova le statistiche dei personaggi, portandole in crisi. Ogni statistica è collegata a specifiche Mosse che, quando vengono messe in crisi a causa delle decisioni del giocatore, possono essere moralizzate. In questo caso, il personaggio acquisisce nuove Mosse che lo rendono più umano e migliore, ma a costo di perdere le Mosse originarie del suo libretto. Questo provoca una catena di eventi che mette in crisi le altre statistiche del personaggio, poiché alla lunga i personaggi rischiano di perdere le loro abilità principali. L'unico modo per “redimersi” e tornare a essere efficaci in una situazione di guerra è chiedere scusa per le proprie azioni, accettare una punizione e rientrare nei ranghi. In sostanza, questo sistema di corruzione del personaggio rappresenta un'evoluzione morale per i personaggi, ma con un prezzo da pagare, poiché sono in guerra e non in una situazione normale che premia l'umanità. In questo modo, il gioco promuove la riflessione sulla guerra e sull'oppressione in modo diretto e aperto.

Intervista all’autore

Insomma, si tratta di un gioco peculiare e affascinante, capace di suscitare una profonda riflessione sulla complessità della guerra e sull'oppressione. Attraverso le sfide morali e le scelte dei personaggi, WAR offre un'opportunità unica per esplorare tematiche profonde e spesso scomode, consentendo ai giocatori di immergersi in una narrazione che mette in discussione le fondamenta stesse dell'umanità di fronte a situazioni di conflitto.

Dopo aver delineato i concetti chiave di WAR e il contesto, è giunto il momento di scoprire il suo creatore, Iacopo Frigerio. Durante l'intervista, avremo l'opportunità di approfondire ulteriormente la sua visione e il processo di creazione di WAR, per comprendere meglio come questo gioco esplora le complesse dinamiche della guerra contemporanea e dei personaggi coinvolti.

Ciao Iacopo, sono molto felice di poter fare questa chiacchierata con te. Una delle cose che mi ha colpito maggiormente riguardo al tuo gioco è la sua inusuale genesi.  Puoi raccontarci come nasce il gioco? Cosa ti ha ispirato a creare un gioco che affronta la guerra in modo così unico e diretto?

ll soggetto nacque da una richiesta di Gionata Dal Farra, che rimase notevolmente affascinato da un mio precedente lavoro, Precious, un gioco sulla pena di morte co-scritto con la collaborazione di Amnesty International. Gionata espose l'idea di sviluppare un gioco legato alla guerra, che parlasse di scelte etiche, e basato sulla meccanica PbtA (Powered by the Apocalypse). Doveva essere fatto col cuore, per mandare un messaggio di rilevanza sociale. Era previsto che il gioco sarebbe stato presentato a Essen, in quattro lingue, grazie alla collaborazione con Space Orange 42.
Nonostante il duro lavoro e il tempo dedicato per scriverlo e testarlo, si presentò un grave intoppo. Space Orange 42, l'editore originariamente interessato al progetto, entra in una crisi che a distanza di qualche anno sta ancora perdurando. Questo evento mi privò sostanzialmente dell'opportunità di avere un editore e mi lasciò con un gioco di alta qualità, ma con una tematica difficile a livello commerciale (guerra contemporanea senza elementi di fantasia e con un focus sulle scelte etiche) e dalla mole di materiale estremamente ampia.
Dopo un periodo di scoraggiamento in cui ho lasciato trascorrere del tempo, che poi è diventato un anno intero, ho deciso di prendere l'ultima decisione, che probabilmente avrei comunque preso perché è in linea con la mia filosofia: ho reso il testo del gioco disponibile sotto la licenza CC-BY anziché lasciarlo a raccogliere polvere in un cassetto.
È a questo punto che entra in scena Francesco Pregliasco, che si è affezionato al gioco e si è gentilmente offerto di impaginarlo gratuitamente, utilizzando Midjourney per le illustrazioni.

Una vicenda interessante, come molto interessante è anche il gioco. WAR affronta tematiche molto concrete e ambientazioni reali, il che è un aspetto distintivo. Come vedi il rapporto tra il desiderio di esplorare ambientazioni reali e le sfide del mercato, specialmente in un contesto italiano? Questa esperienza ha influenzato il percorso creativo del gioco?

Possiamo partire dalla premessa, avvenuta sul Forte di Bard (un complesso fortificato sulla rocca che sovrasta il borgo di Bard, in Valle d'Aosta, NdR) che mi è stata fatta da Gionata stesso quando mi ha commissionato il gioco: questo gioco per sua natura sarebbe stato pochissimo attrattivo dal punto di vista commerciale e sarebbe andato bene così.
Tutti abbiamo coscienza che nel mercato internazionale, ma ancora più in quello italiano, che è un po’ più indietro, giochi con tematiche poco d’evasione, non fatti per essere leggeri e senza componenti fantastiche, sono poco ricercati. Apprezzati sì, spessissimo, ma poco comprati, poco giocati e seguiti da pochi.
Però all’interno di un’offerta di giochi che si espande, specializza e diventa più complessa, ha senso offrire anche giochi didattici, giochi educativi, giochi riflessivi o qualunque altra tipologia possa avere scopi diversi dal mero “intrattenimento/divertimento”. E una parte della mia produzione ha sempre avuto questo scopo aggiuntivo.
Precious è nato per questo, I diritti degli animali (sul tema migratorio, scritto prima di WAR e che spero possa vedere la luce editoriale a breve) l’ho creato per quello e WAR voleva essere sulla stessa linea di pensiero. Io normalmente chiamo questi giochi “Serious Game”, mutuando dai contesti aziendali in cui mi capita di usare serious game e serious play.
Su WAR in particolare, però, ho scelto di percorrere una via che potesse essere più sottile e difficile: stare in equilibrio tra i due mondi.
Essere un serious game, ma poter essere considerato comunque un normalissimo roleplaying game. Essere uno spunto per approfondimento, riflessione, didattica, ma poter essere usato anche per gli amanti dei film come Three Kings, Mercenari (direi il secondo) o altri film di guerra che hanno un senso riflessivo e antibellicista, per il solo scopo di intrattenersi in quel tipo di storie.
Poi certo, era intrigante poter scrivere un gioco che non avesse alcun elemento fantastico. Perché è inusuale.
Certo, tutti quelli coinvolti sapevano che non sarebbe stato un gioco dal facile successo commerciale. Ma ho sempre sperato potesse avere la sua nicchia di appassionati e interessati per la sua totale unicità. Ma non consiglierei di seguire il mio esempio a nessun autore che vuole diffondere il suo nome e vendere. In assoluto un gioco serio non sarà mai un campione di vendite, e nello specifico del nostro contesto è addirittura prematuro in generale. Può invece esserci enorme spazio per giochi didattici, e qui intendo espressamente dedicati per essere usati come strumenti in contesti d’aula e scolastici, con molte persone partecipanti. Quello potrebbe richiamare una fetta di mercato enorme, soprattutto se non si trattasse di un solo gioco, ma di una collana capace di colpire molti argomenti e tematiche.

Un serious game che tratta tematiche sensibili… con quale spirito va giocato?

Posso rispondere per WAR, più che in generale.
WAR può essere giocato innanzi tutto con uno spirito riflessivo. Quella voglia umana di provare a sperimentare un tipo di situazioni particolari per provare a speculare (con se stessi) su che tipo di persone saremmo, su come reagiremmo e ci comporteremmo. Mettersi in una simulazione, un gioco, e provare a vedere fin dove arrivi e magari riflettere se è accettabile, giusto, aspettato o inaspettato e di conseguenza ragionare su come rendere questa cosa tua o cercare di fare in modo diverso. In fondo non è niente più o niente meno di quello che dovrebbe fare un gioco (che non è tanto e solo divertire, ma piuttosto farci sperimentare differenti esperienze di vita in ambienti protetti) e quello per cui lo strumento del roleplay (non game) fu inventato (citando Jacob Moreno).
Oppure può essere giocato con uno spirito educativo, in contesti che sono di formazione, istruzione o educazione. Permettere a delle persone, che magari sono poco consapevoli o poco coscienti di certe dinamiche, di certi accadimenti e delle loro conseguenze. Questo gioco diventa uno strumento per permettere loro di simulare e vivere in un certo modo un’esperienza e poi magari avviare successivamente un dibattito, o degli approfondimenti.

Può essere giocato con uno spirito di curiosità. Di chi magari non ha mai provato a giocare qualcosa che non fosse pura evasione, che può avere risvolti drammatici e scoprire che anche se non è divertente può essere comunque un qualcosa di appagante o di intrattenimento. Oppure per la curiosità di chi vuole mettersi alla prova in una zona di non comfort e scoprire cosa succede.

WAR rimane comunque uno strumento ludico e può essere giocato con uno spirito ludico. A una persona che ama le storie come quella dei film Three Kings, o Full Metal Jacket, Apocalypse Now, il ponte sul fiume Kwai o anche Mosul o Mercenari 2 e vuole uno strumento che gli permetta di giocare e inscenare quel tipo di storie lì, lo può fare tranquillamente. Ho citato titoli non a caso, non semplici film di guerra, ma film dove c’è una commistione tra guerra e riflessioni sul comportamento umano e scelte etiche (dal grande al sottile spessore).

Dal punto di vista di game designer, invece, come è stata l'esperienza di scrivere WAR su commissione? Quali sono stati i principali obiettivi che ti sono stati dati e come li hai affrontati nel processo creativo?

Fondamentalmente è stato il miglior ingaggio possibile, nel senso che ho avuto la piena libertà creativa e nessun influenza, se non nell’incontro iniziale. Di fatto gli obiettivi erano pochi, chiari e precisi. Un PbtA. Trattare il tema della guerra con un dichiarato spirito antibellicista. Trattare il tema dei popoli oppressi dalla guerra. Trattare il tema della presa di coscienza morale. A cappello dell’arco narrativo, avere come punto di riferimento il gioco Three Kings di David O. Russell.
Da lì in poi ho avuto mano libera, ho approfondito il tema dei giochi PbtA (che già conoscevo bene), partendo dagli obiettivi ho identificato gli aspetti di design fondamentali da trattare (carriere militari e civili, operazioni di guerra, pressione meccanica sulla morale, centralità della popolazione oppressa, l’importanza dei rapporti umani). Ho scelto le linee guida di riferimento per trattare l’argomento semplificando molto, le idee di design di Sagas of the Icelanders (edito in Italia da Dreamlord, è un gioco di ruolo che offre un'esperienza ambientata nell'Islanda delle saghe vichinghe del IX secolo, un'epoca storica caratterizzata da lotte per il potere, vendette e alleanze. NdR), che punta molto sulle tematiche di relazione sociale, ideale anche per quello che volevo sviluppare, e mi sono preso la libertà di scegliere alcune innovazioni di design che sentivo necessarie per rendere il gioco davvero “originale” (su tutto, il libretto che cambia le mosse un pezzo alla volta, col cambiamento del personaggio e i dadi di diverso colore che scatenano mosse automatiche, una roba inusuale per in questa forma nei PbtA).
Da lì l’iter è stato abbastanza usuale, molta fase di brainstorming ed esplorazione, una fase di sfoltimento (delle mosse, dei libretti, delle tematiche), la prima stesura, i primi playtest, la stesura della bozza, la fase di blind playtest e la stesura del testo poi rilasciato in CC-BY.
Nel mentre, l’attenzione a non cadere in alcune trappole solite dei PbtA (le poche informazioni su come giocare, la vaghezza di alcune procedure come l’attivazione delle mosse, l’esagerazione nell’inserire mosse e l’effetto cascata troppo esagerato).

Poi però l’intoppo, quando l'editore ha iniziato ad avere difficoltà.

Infatti… Dicevo che è stato facile, ma perché è mancato il vero momento di confronto con l’editore, in cui probabilmente avrei dovuto sudare per correggere davvero le cose secondo il suo desiderio (e per arrivare a rispettare le necessità editoriali). Gionata è stato presente fino al termine della prima fase di playtest, fino ad allora mi aveva lasciato libero, solo alla conclusione della stessa mi aveva chiesto di rispettare determinati punti aggiuntivi. Di questi, molto operativi, una buona parte è diventata parte integrante del testo, soprattutto nelle istruzioni per GM e giocatori e nella creazione del capitolo finale interamente dedicato a trasferire informazioni sul mondo bellico, e in minima parte è stato da me disatteso perché lo ritenevo problematico per la struttura dell’opera nel suo insieme. Ci sarebbe stato da dibattere con lui, probabilmente, e sono convinto che mi avrebbe chiesto qualche taglio al testo: due o tre libretti in meno, magari tagliare qualche istruzione e così via e cambiare quelle meccaniche che non volevo cambiare. Ma proprio prima della seconda fase di playtest è quando la sua presenza è purtroppo venuta meno.

Torniamo un attimo sulle meccaniche. Parlavi di alcune innovazioni che rendono il gioco originale: un aspetto davvero intrigante di WAR è la meccanica della moralizzazione delle caratteristiche dei personaggi. Potresti spiegarci come questa meccanica influenza il percorso dei personaggi nel gioco e cosa hai sperato che i giocatori potessero trarre da questa esperienza?

Formalmente il principio è semplice, ma si compone di tanti piccoli ingranaggi meccanici. I personaggi hanno quattro caratteristiche (e c’è un ordine: da Cuore, che è il più empatico e volatile, fino al quarto Ruolo, che è il più stabile e resiliente) su cui può essere messo un flag che le denota in crisi, cioè sensibili per il personaggio.

Questo porta alla conseguenza che quando si tirano i due dadi usuali per le mosse dei PbtA, i dadi siano tirati con due diversi colori, uno in particolare che rappresenta proprio la possibilità che la coscienza del personaggio abbia dubbi. Ai risultati si agganciano due meccaniche speculari, per coprire tutte le casistiche: se il dado Empatia è più basso tra i due, viene data l’opportunità di alzarlo (cosa che può determinare il successo della mossa) a patto però che le azioni si colorino di una forte componente morale (l’azione che verrà narrata dovrà avere ricadute positive per la popolazione oppressa o per i deboli o genericamente per essere chiari, in una situazione non bellicista o non violenta); se il dado Empatia è più alto, allora scatta l’opportunità per il GM di effettuare una sua mossa bellica speciale (sono definite così le mosse del GM) per cui può proporre un esito simile a quello descritto sopra e il giocatore può accettarlo, dando via alla moralizzazione, oppure rifiutarlo pagando però l’abbassamento del dado Empatia al valore dell’altro dado (col rischio dunque di avere un esito negativo).
Se la crisi viene abbracciata, il personaggio cambia, ha diverse ricadute, la cui principale è la perdita di una mossa specifica del libretto e la sua sostituzione con una mossa morale legata alla caratteristica. La caratteristica successiva entra a sua volta in crisi, se non lo fosse già da prima.
Due sono gli aspetti fondamentali:
Il primo è il fondamentale passaggio obbligato dalla volontà del giocatore, quello che ho descritto prima è un meccanismo, che può anche generare conseguenze, che però funziona solo se il giocatore è d’accordo, se volontariamente accetta che quel momento sia uno dei momenti di cambiamento, oppure vuole resistere. Sono momenti di scelta ed entrambi portano a conseguenze sia negative, sia positive, e anche sia narrative, sia meccaniche. Ma il centro di tutto è che i dadi favoriscono le occasioni, ma tutto sta nel contesto del dialogo e il fulcro è la volontà del giocatore di dove spingere la storia e il suo protagonista.
Il secondo aspetto è una dinamica profonda del senso dei PbtA. Le mosse sono un qualcosa che piega la storia in cliché consolidati, i giocatori le usano perché poi la storia va verso dei cliché che a loro piacciono. I libretti (le classi, diremmo) sono di fatto delle collezioni di cliché coerenti con un prototipo di personaggio dentro quelle storie. Il cambiamento morale in WAR sostituisce le mosse nel pacchetto. Uno aveva un soldato, con mosse per uccidere e usare la forza, e gradualmente si ritrova un personaggio che moralizzandosi non è più in grado di agire nella storia imponendo cliché di uccisioni e imposizione di forza, ma piuttosto può sempre di più solo fare scelte umanitarie. Questo è molto potente.

E infatti, per rispondere alla seconda parte della domanda, è questo aspetto che ha impattato molto nelle reazioni dei playtester (i playtest più lunghi, in cui hanno sperimentato questa evoluzione), sia in senso positivo, sia in negativo. Chi era contento di avere delle mosse che permettessero di salvare vite umane (è quella di Cuore) o di avere possibilità diverse dai cliché del libretto. Ma anche chi a un certo punto si spaventava di vedergli sfuggire l’efficacia del personaggi di mano (era un soldato, ma ormai poco capace di usare la forza, perché non aveva più materiale adatto).
E poi c’erano conseguenze narrative, pesanti ricadute di insubordinazioni, ribellioni, colpi di testa. O talvolta il giocatore che si era divertito della piega morale per un po’ ma voleva provare a tornare ad indurirsi. E allora si attuava il percorso che con ironia ho definito di redenzione.
Quello che ha colpito più o meno qualsiasi giocatore che ha giocato fino a quel punto non era il cambiamento in sé, sulla carta, ma che sentiva il drastico cambiamento dell’orizzonte delle possibilità narrative che poteva imprimere nel gioco. Con un senso di spaesamento, anche quando era sentito e divertito.

Grazie Iacopo per aver condiviso con noi la tua esperienza e la passione che hai messo in WAR. È stato un piacere avere questa conversazione con te.

Commenti

Complimenti per il contenuto di questa intervista. Peccato questo progetto abbia avuta poca visibilità finora, almeno nei canali che seguo, ma speriamo questa intervista doni un boost alla campagna; per ció che mi riguarda ha avuto effetto e mi sto documentando 

Molto interessante il gioco e molto ben fatto l'articolo, anche se non è il mio target.

Articolo veramente interessante. Grazie mille.

mc, master of cerimonial è un termine della cultura hip hop. io ero riamsto, complice la veneranda età e non aver più giocato di ruolo, al dungeon master di d&d ed al generico master o narratore di tonnelate di altri giochi. questa definizione non l'avevo mai sentita a dire il vero. è usta in questo?

 

mc, master of cerimonial è un termine della cultura hip hop. io ero riamsto, complice la veneranda età e non aver più giocato di ruolo, al dungeon master di d&d ed al generico master o narratore di tonnelate di altri giochi. questa definizione non l'avevo mai sentita a dire il vero. è usta in questo?


E' da tempo che non esiete più un termine univoco per indicare il game master.
In WAR tale figuara è chiamata "Signore della Guerra".
Il termine MC compare in Apocalypse World dove l'autore si diverte ad immaginare un futuro post apocalittico dove molti temini ora comuni, lì hanno perso di significato. Il manuale è ricco di esempi simili...

Daltro canto il termine Master, ormai non è ben visto in alcuni ambienti di gioco di ruolo, soprattutto tra i madrelingua inglesi. Una ragione è che il termine può essere visto come autoritario o dominante. Il Dungeon Master è la persona che ha il controllo totale del gioco e può decidere cosa succede ai personaggi dei giocatori. Questo può portare alcuni giocatori a sentirsi come se il Master sia semplicemente lì per "sconfiggerli". Un'altra ragione è che il termine può essere visto come sessista. Il termine Master è tradizionalmente maschile e può essere visto come un modo per escludere le donne dai giochi di ruolo. Inoltre, specialmente Dungeon Master è un termine obsoleto che non descrive più il ruolo di quel giocatore, in un contesto che non sia D&D.

In molti ambienti di gioco, si sta cercando di promuovere un approccio più collaborativo e inclusivo.

Chiaramente in Italia in un ambiente mainstream la questione è meno sentita.

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