Anche a me l'autore ha fatto drizzare le antenne. Ammetto che dalla tua simpatica descrizione però non è nato quel quid che mi spingerebbe a prenderlo. L'ho messo pure in wishlist ma mi sa che non ci resterà per molto a meno di stracciamento di vesti dopo che l'intera comunità goblin lo avrà provato.
Quella che segue è un'anteprima seguente alla lettura del regolamento e non vuole certo essere una recensione.
Lo ammetto: leggo Peer Sylvester e comincio a non essere più obiettivo.
L'autore di roba molto bella come King of Siam/The king is dead, Let them eat cake e La spedizione perduta (nonché co-autore del magnifico 2015 Wir sind das Volk!) torna pubblicando un gioco per la spagnola Ludonova (quellli di Yukon Airways).
Si tratta – non lo nasconde: anzi, lo specifica nel regolamento – di un astrattone a cui ha voluto comunque dare la veste di un omaggio alle tribù austronesiane che per prime, con coraggio, si insediarono negli arcipelaghi cristallini di quella che ora è l'Oceania. Con però un elemeno inventato: il vulcano. Ché se no il gioco non poteva finire e insomma, non sarebbe stata proprio una gran furbata.
Polynesia si basa sulla meccanica di costruzione e movimento su rete, con una spolverata di gestione risorse; è pensato per 2-4 persone e dovrebbe durare un'ora abbondante. Asternersi americani.
Ora però basta fare i seri.

Il gioco in breve
Il tabellone di gioco mostra una porzione di oceano Pacifico con tante belle isole più o meno distanti dal vulcano che minaccia le tribù indigene. Tra le isole ci sono dei collegamenti che i giocatori possono esplorare mettendoci accanto una propria barchetta (tipo quelle di Vanuatu, che dai, anche a quei tempi la Melanesia era veramente dietro l'angolo; il problema è che nelle isole del Pacifico di trentamila anni fa non c'erano angoli).
Ogni giocatore muove gli omini di queste tribù con lo scopo di portarli su più isole possibili (parte degli omini parte dall'isola principale, quella del vulcano; parte invece comincia la partita sulla plancia personale negli spazi numerati che poi, a fine partita, daranno punti se vuoti).
Il gioco è diviso in round che si susseguono finché il vulcano non erutta – cosa che avviene se da un sacchetto che contiene dieci cubetti lava vengono estratti tutti e sei i cubetti rossi, tenendo presente che il cubetto nero ne fa pescare altri due. (La pesca avviene a ogni fine round e, in genere, la domenica mattina se avete una licenza.) A quel punto l'isola principale e le limitrofe vengono distrutte insieme a tutti i meeple che ci stanno sopra e, a quel punto, si contano i punti vittoria sommando ai punteggi di cui sopra anche vari segnalini, cose del tabellone e gli obiettivi comuni eventualmente soddisfatti.
Ogni round è formato da tre giri di tavolo di azioni personali e la particolarità è che tutte le azioni hanno un effetto che dipende proprio dal turno in corso, che viene conteggiato in ordine decrescente, da tre a uno. Chiameremo questo numero trois-deux-un, tutto attaccato come se lo pronunciasse Denis Pettiaux, utilizzando l'esotica lingua che in Polinesia va per la maggiore.
Le azioni
Le azioni possibili sono quattro. Si possono esplorare nuove isole, piazzando appunto le barche; le rotte non ancora esplorate costano trois-deux-un risorse di un singolo tipo (conchiglie o pesci, ché a quei tempi non si pescavano ancora sacchetti del Carrefour; una di queste risorse va piazzata sulla rotta, a indicare che risorsa serve per poterla attraversare da quel momento). Esplorare rotte già note comporta invece un pedaggio fisso di due risorse del tipo opportuno al proprietario di ogni barca già presente.

Si può procreare: nulla di scenografico come in Last Night on Earth, o di simpaticamente allusivo come in Stone Age; ma insomma, puoi spostare tre omini dalla plancia personale all'isola del vulcano, oppure uno solo ma in qualsiasi isola sulla quale siete già insediati. Si tratta dell'unica azione che non dipende dal numero del turno.
Infine si possono pescare trois-deux-un conghiglie o pesci, a scelta del giocatore.
Prime impressioni
Che volete che vi dica: sembra un bel gioco. Per certi aspetti può ricordare, più che il citato Vanuatu (al quale si può ricondurre al limite la sola esplorazione, con possibilità di sfruttare zone poco battute dagli altri senza spendere una fortuna in pedaggi; ma è poca roba), forse Hawaii, bel tedescone della Hans-im-Glück che condivideva la cosa degli spostamenti, delle conchiglie e dei colori pastello – e forse anche i punti azione, ma c'ho fatto una sola partita e potrei non ricordare un cazzo del gioco.
Al netto di analogie improbabili, comunque, Polynesia dà l'idea di essere, come detto sopra, un astrattone ben pensato e dall'interazione non trascurabile, seppur limitata alla meccanica dell'esplorazione ed eventualmente del movimento.
Bella l'idea della forza delle azioni data dal turno in corso, tenendo però conto del fatto che non in tutti i casi il gioco ti porta a svolgerle quanto prima: se ciò è vero per il movimento (più punti azione) e per la pesca (più roba), non è così per l'esplorazione di tratte nuove, che sono più economiche a fine round. Questo fattore, se da un lato fornisce una sorta di linea guida temporale per lo svoglimento delle azioni, dall'altra forse intacca un po' la prondità decisionale del titolo. Poca roba, comunque.
I materiali sembrano fare il loro, nella media dei giochi di questa tipologia; belli inoltre i disegni di Laura Bevon e David Prieto (insieme o per conto loro, tra gli altri, hanno illustrato Ceylon, Yukon Airways o quell'ibrido più improbabile di Alien vs Predator che risponde al nome di Between two castles of mad king Ludwig).
In definitiva un gioco che potrei voler provare – e addirittura comprare, se non costerà quanto un volo verso Tahiti – fosse anche solo per la garanzia data dal nome dell'autore.

(Pochi giorni dopo aver scritto 'sta roba qua l'ho preordinato. Merda.)