I modelli di business dei negozi di giochi da tavolo

Produttore, negoziante, acquirente: addentriamoci in questo sistema e scopriamone qualcosa di più.

Editoriale
Giocatori

Essere giocatori vuol dire per molti di noi essere anche acquirenti, come pure magari collezionisti. Il negozio che ci vende l’agognata scatola è un interlocutore obbligato, croce e delizia di questa passione. Il negozio, che una volta era uno: quello di riferimento della comunità, da cui giocoforza passava la quasi totalità degli acquisti.

Oggi i tempi sono cambiati e i negozi in vecchio stile si stanno un po’ perdendo, mentre altri e più moderni stanno conquistando il mercato. I nuovi negozi sono senza dubbio diversi, ma non solo nella locazione che è molto più virtuale. Soprattutto, si basano su modelli di business differenti, intendendo come “modello di business”, l’insieme di processi attraverso i quali un’impresa genera utile (perché un negozio è pur sempre e comunque un’impresa). Per conoscere meglio allora i nostri interlocutori, mi è sembrato utile e interessante parlare anche dei loro modelli di business, cioè di come fanno soldi con i nostri soldi.

Per farlo, ho pensato di sfruttare una rappresentazione grafica molto in voga soprattutto tra gli startuppers. È il cosiddetto “canvas” (in inglese tela), inventato da Alexander Osterwalder nel 2004, che riassume gli aspetti salienti del modello di business di un’impresa in una tabella come questa. In generale l’attenzione ai modelli di business è molto cresciuta negli ultimi decenni, quando progressivamente ci si è resi conto che per generare un guadagno non è importante solo il prodotto che si vende, ma anche come lo si vende. Ad esempio, Flixbus ha innovato il trasporto su gomma non inventando un nuovo prodotto, ma inventando un modello di business basato sull’associazione tra piccole compagnie di trasporto persone per creare una rete capillare ed estremamente economica per il viaggiatore.

Non entro nel dettaglio dei diversi punti del canvas, dato che servirebbe un articolo se non addirittura un libro intero solo per questo, limitandomi a una descrizione sommaria. Nella parte sinistra ci sono tutti gli asset attraverso i quali un’impresa genera valore (partner, attività, risorse) che corrispondono a una serie di costi indicati in basso. La parte destra è quella riservata alla vendita del prodotto, a certi segmenti di consumatori con cui ci si relaziona attraverso canali opportuni con relazioni differenziate. Alla vendita corrispondono dei flussi di entrate.

In questo articolo vorrei sfruttare la rappresentazione del canvas per differenziare quattro diversi tipi di negozio, che ho individuato in negozi fisici, negozi online, crowdfunding e gruppi d’acquisto. Premetto che non ho accesso ai dati economici di questa realtà, quindi posso parlarne solo qualitativamente con il rischio anche di fare qualche errore. Nel caso in cui un qualsiasi negoziante volesse correggere o rettificare quanto da me scritto, è benvenuto. Altra premessa è che il canvas sarebbe adeguato a descrivere una singola impresa, più che una categoria (ad esempio tra i negozi online ci sono moltissime differenze), quindi l’uso che ne faccio è un po’ improprio. Infine, ultima premessa, non ho riempito pedissequamente tutte le caselle dei canvas, ma mi sono limitato agli aspetti più salienti.

NEGOZIO FISICO

Il caro vecchio negozio fisico si distingue da tutti gli altri perché, banalmente, ci puoi entrare con il tuo corpo. Questo è anche il suo più grande limite: per raggiungerlo il cliente deve muoversi, talvolta prendere l’auto, parcheggiare, insomma perdere un sacco di tempo e denaro solo per arrivare a vedere cosa ha in vendita. Soprattutto negli ultimi tempi poi si è assistito a una politica di prezzi molto aggressiva da parte dei negozi online, per cui raramente c’è convenienza economica nel comprare un gioco in un negozio fisico che è notoriamente parco di sconti.

Eppure il negozio fisico continua ad esistere e ci sono una serie di motivi per cui questo avviene. Partendo dalla destra del diagramma, ci sono gli avventori casuali. Persone senza alcuna esperienza di giochi che per fare un regalo, per curiosità verso i giochi, perché hanno visto il negozio passandoci davanti, ci entrano e fanno acquisti. Queste categorie sono accessibili soprattutto se il negozio si trova in una posizione centrale o comunque frequentata, ma non è detto che non si possa sopravvivere anche se si è più defilati. In questo caso però diventa fondamentale assicurarsi il supporto di una comunità, alla quale far svolgere tornei in negozio e che conseguentemente acquistino in loco. Molti negozianti riescono a ricavare una parte importante dei ricavi anche dalla vendita di cibo e bevande ai giocatori. L’acquisto in loco ci fa infine arrivare a una caratteristica importante del negozio fisico rispetto a tutti gli altri: l’acquirente ha il gioco immediatamente in mano, senza rischio di spedizioni perse, danneggiate e non consegnate; infine ha il negoziante a cui far riferimento per parti mancanti e sostituzioni.

Il profilo dei costi di un negozio fisico vede oltre all’acquisto dei prodotti da rivendere anche il personale, l’affitto dello spazio che se in zona centrale può essere costoso, e infine i costi connessi alla gestione del magazzino. Faccio a questo punto notare che il costo del lavoro aumenta rispetto a un negozio online, perché il negoziante deve seguire il cliente in tutto il processo di acquisto, consigliandolo e guidandolo, e questo determina un ammontare di tempo investito per cliente abbastanza elevato.

NEGOZIO ONLINE

I negozi online possono essere molto difformi tra loro, a seconda della dimensione e della eventuale specializzazione. Per loro il rapporto con il cliente è demandato alla piattaforma in rete, che può costituire un investimento importante soprattutto se si vuole avere grafica e funzionalità accattivanti. Ci sono poi i costi di magazzino: un negozio online può essere situato dove si vuole, spesso è in zone industriali, dove gli affitti sono bassi e si può disporre di grandi spazi. Questo permette un assortimento molto maggiore; un negozio online può competere sulla cosiddetta “coda lunga”, cioè i prodotti richiesti in poche unità che però messi insieme riescono a formare una parte significativa delle vendite. Mediamente i costi per gioco venduto sono inferiori rispetto al negozio fisico e soprattutto i volumi di vendita sono più elevati: questo permette di fare un minimo di economia di scala. Oltre ai volumi, alcuni negozianti online fungono sia da venditori al pubblico che da distributori per i negozi fisici: in tal caso la loro convenienza aumenta quando vendono un prodotto che hanno anche in distribuzione, perché incamerano anche la parte di prezzo che sarebbe finita a pagare il trasporto al negozio e il margine per il negoziante fisico. Per tutti questi motivi, il negozio online può permettersi una scontistica molto aggressiva, tanto che ormai tra gli appassionati si sente ormai dire che il prezzo reale di un gioco è quello scontato al 15%, considerata la moltitudine di giornate di saldo.

Anche se dipende dal grado di specializzazione, il negozio online si rivolge principalmente a gamer appassionati, che sanno già più o meno come muoversi e cosa cercare. Alcuni negozianti stanno cercando di superare questo limite con newsletter e pubblicazioni atte a guidare anche l’acquirente meno esperto, ma comunque resta difficile che gli avventori dei negozi fisici finiscano a comprare online (eccetto da uno… quello che vende di tutto dall’abaco alla zuppiera, che però fa un po’ caso a parte). Il vantaggio del negozio online sta soprattutto nel prezzo, questo però porta gli acquirenti a comportamenti molto opportunistici: i gamer saltano di negozio in negozio a seconda della convenienza, un po’ come accade per i supermercati. In effetti, anche la soluzione è molto simile a quella escogitata dai supermercati, che hanno puntato a fidelizzare la clientela e renderla fissa attraverso i programmi fedeltà. Molti dei negozi online più grandi gestiscono un proprio programma premium/fedeltà, che al costo di una piccola tassa fissa garantisce sconti e vantaggi. In tal modo, l’acquirente sarà più portato a comprare sempre dallo stesso negozio, invece che saltare da una parte all’altra, anche se il prezzo alla fine è simile oppure anche leggermente più alto.

CROWDFUNDING (per gli amici "Kickstarter", anche se non è l'unico)

Tratto qui la visione meno incantata e benefattoristica del crowdfunding, cioè quelle campagne gestite non da editori piccoli e autori ambiziosi con poca grana, ma dai colossi del settore che sfruttano questa come modalità per aumentare il profitto.

Il vantaggio più importante di un crowdfunding è ricevere i pagamenti prima ancora che il gioco sia prodotto. Questo per le aziende è un guadagno enorme, molto più di quello che la maggior parte degli acquirenti pensano. Parlerò ora in termini molto beceri, ma è per far capire il concetto. Un comune cittadino che non sia in condizioni di povertà in genere ha un po’ di riserve economiche tali per cui fa poca differenza pagare il pledge adesso o tra un anno quando arriverà il gioco fisico, tanto comunque avrà risorse a sufficienza per far fronte alle sue spese. Per un’azienda questo non è vero, o perlomeno non nella stessa misura; ecco allora che la ricchezza si calcola non sulle riserve, ma sui flussi di cassa (che poi vanno a comporre il celebre fatturato). Ecco allora che ricevere un blocco di pagamenti con un anno di anticipo, vuol dire essere più ricchi di quella quantità ricevuta, perché sposta in alto il livello da cui si calcoleranno entrate e uscite. Vero che poi i giochi andranno effettivamente consegnati, ma a quel momento sarà possibile fare altre vendite per cui il livello tornerà più o meno alla pari. In un certo senso, il crowdfunding è come un finanziamento dalla banca a condizioni agevolatissime.

Tanto grasso che cola però non arriva gratis, e infatti non tutte le campagne raggiungono dimensioni tali da innescare questi meccanismi. Il meccanismo principale attraverso le quali l’acquirente viene convinto a sborsare i soldi con un anno o più di anticipo è, oltre a un modesto sconto, l’esperienza che sta dietro a una campagna: non viene venduto solo il gioco, ma la possibilità di plasmare il prodotto con i propri consigli, l’engagement quando vengono raggiunti gli stretch goal, la passione che viene stimolata nei sostenitori che vedono crescere la dimensione del loro futuro regalo a se stessi sotto i loro occhi. Oltretutto, le campagne di crowdfunding hanno un andamento a climax che si presta bene a far vivere un’esperienza passionale ai backer: molti concludono il pledge solo negli ultimi giorni, dando vita allo scoppio finale del progetto proprio nei momenti immediaamente precedenti alla chiusura. Non dimentichiamo poi l’importanza della formazione di una comunità di affezionati che diventano la chiave per il successo dei progetti futuri.

La struttura dei costi è leggermente diversa rispetto agli altri soggetti: bisogna lasciare l’obolo a Kickstarter o Gamefound o altra piattaforma, e ci si deve relazionare con la logistica perché in questo caso il produttore è anche rivenditore.

I GRUPPI DI ACQUISTO

Voglio trattare infine un caso che secondo me rappresenta un esempio pregevole di come è possibile far evolvere un’idea tutto sommato datata in un modello di business fresco e innovativo. I gruppi di acquisto solidali non sono certo una novità: un gruppo di appassionati si organizza acquistando direttamente dal fornitore e ottenendo così un prezzo agevolato. Questi gruppi però hanno dimostrato di possedere molte criticità: erano invisi ad alcuni produttori e la gestione amatoriale determinava un certo scontento degli acquirenti. È emersa quindi la possibilità di creare un ibrido: un po’ gruppo di acquisto, ma gestito in modo professionale quindi a scopo di profitto.

La necessità di creare profitto erode parte del risparmio sul prezzo di listino, ma serve anche per la gestione di un servizio di qualità adeguata. La proposta di valore include quindi sì un blando sconto, ma soprattutto pone rimedio all’annoso problema della già citata coda lunga. Per un negozio, gestire la coda lunga richiede risorse, perché bisogna stoccare moltissimi prodotti che per la maggior parte resteranno fermi per mesi. Invece, se si hanno le prenotazioni degli acquisti prima dell’ordine, il problema viene risolto alla radice: si può gestire la coda lunga ordinando solo le copie richieste e facendo a meno delle spese di magazzino. Il rapporto con produttori e fornitori è quindi molto importante, perché questi devono essere disponibili a vendere a condizioni particolari a questa realtà che esula leggermente dai canoni ordinari.

La grande innovazione di questo modello è stata il rendere semplice l’acquisto di giochi di assoluta nicchia senza che l’acquirente debba rincorrere le poche copie disponibili in chissà quale negozio di chissà quale città europea. Dato che il negozio con modello gruppo di acquisto fa l’ordine solo dopo aver ricevuto la prenotazione, è poi molto importante disporre di una comunità attiva che continui a proporre giochi e a preordinarli, e questo viene raggiunto attraverso una presenza massiccia sui social network. Altro pregio di questo modello è la drastica riduzione del rischio di invenduto: anche se l’ho impropriamente segnato tra i flussi di entrata, ciò vuole sottolineare che rispetto ad altri negozi non avere invenduto (che rappresenta capitale accantonato e non fruibile) costituisce effettivamente un punto di vantaggio.

Commenti

Interessante.  Per questione di tempo, il negozio online è il modello.che sfrutto maggiormente.  Poi anche il Kickstarter 

Complimenti per l'articolo e la sua chiarezza.
Sarebbe stato interessante mostrare il rapporto utente/store/crowdfunding con una Customer Journey :)

Nella mia esperienza, il ricorso a store on line è pressoché obbligato: vivendo in un paesino di provincia non ho negozi fisici vicini. Non so quanto il mio caso pesi nella statistica generale, forse solo qualche %, però è una coda sulla quale i negozi fisici nulla possono.

Una curiosità (se ne parlò in un podcast, se non erro): alcuni negozi fisici hanno anche store on line: quale è la percentuale relativa di vendite/fatturato?

Per una miglior leggibilità, sarebbe importante poter ingrandire le immagini (magari al click del mouse).

E di nuovo complimenti!

Articolo molto interessante, mancava una disamina in questo senso. 

Aggiungo che ho notato che alcuni grandi store online si appoggiano anche a "quello che vende dall'abaco alla zuppiera", immagino per farsi conoscere dai neofiti ed eventualmente fidelizzarli.

siras scrive:

Complimenti per l'articolo e la sua chiarezza.

Sarebbe stato interessante mostrare il rapporto utente/store/crowdfunding con una Customer Journey :)

Nella mia esperienza, il ricorso a store on line è pressoché obbligato: vivendo in un paesino di provincia non ho negozi fisici vicini. Non so quanto il mio caso pesi nella statistica generale, forse solo qualche %, però è una coda sulla quale i negozi fisici nulla possono.

Una curiosità (se ne parlò in un podcast, se non erro): alcuni negozi fisici hanno anche store on line: quale è la percentuale relativa di vendite/fatturato?

Per una miglior leggibilità, sarebbe importante poter ingrandire le immagini (magari al click del mouse).

E di nuovo complimenti!

Purtroppo sulle % di vendite/fatturato non posso dire nulla. Mi sono basato sulle informazioni pubbliche per ricostruire il modello di business, ma quelli sono dati economici che solo uno del settore può, se vuole, rivelare. Grazie per i complimenti!

Infinitejest scrive:

Articolo molto interessante, mancava una disamina in questo senso. 

Aggiungo che ho notato che alcuni grandi store online si appoggiano anche a "quello che vende dall'abaco alla zuppiera", immagino per farsi conoscere dai neofiti ed eventualmente fidelizzarli.

Sanno bene che l'utente meno esperto cerca anche su amazon. Ci sta, ma raramente è conveniente acquistare da lì piuttosto che dal sito del venditore. Su Amazon Marketplace c'è un 15% circa in più di commissione che si prende Amazon, infatti i prezzi sono sensibilmente più alti e spesso non competitivi con lo stesso provotto venduto e spedito da Amazon. Sarei curioso di sapere per i siti che lo fanno quanta percentuale di vendite partono da Amazon.

Mi sembra invece difficile che l'utente passi da Amazon al sito del venditore stesso, perché i link non sono ammessi e quindi uno dovrebbe cercare il nome del venditore su Google, cosa che ben pochi di noi fanno.

Splendido articolo molto molto chiaro.

Aggiungo un altro caso particolare: vivo in provincia il che mi ha non solo portato a comprare online ma mi ha spinto nelle braccia di kickstarter, che già avevo conosciuto per interludi videoludici.

Molto interessante, grazie mille

Aggiungo una "variant" che ultimamente mi capita di utilizzare e quindi apprezzare.

L'acquisto mediante latepledge: non si spende centoni con anni di anticipo; si hanno dati un po' più solidi (ovvero commenti di chi ha già provato il gioco sul fatto che non ci siano bug o anomalie rilevanti del prodotto) per decidere l'acquisto; si può comperare anche un gioco RAROH con componenti ESOSIH.

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