La matrioska, o i gruppi di gioco

matrioske russia
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Gruppi di gioco: entità diverse ed eterogenee con differenti personalità all'interno. Come le matrioske.

Editoriale
Giocatori

Un hobby è per sua natura elitario. Un cerchio che si stringe più spesso di quanto si allarga, una catena di insiemi e sottoinsiemi: gruppi di persone al cui interno si generano dei sottogruppi ulteriori e all’interno di questi altre categorie, altri recinti, altre specificazioni e così all’infinito.

Quando si ha una qualsiasi passione che ci fa impiegare il nostro tempo in modi più stimolanti dello zapping serale alla tv o dell'aggiornare la home dei social, si porta al collo un medaglione dalla doppia faccia: su di una c’è il timore del dileggio, l’istinto di nascondere il monile sotto la t-shirt, sull’altra quello di ostentarlo fieramente e incidervi sopra acronimi e inglesismi comprensibili soltanto agli altri, a quelli come noi; la presunzione di sentirsi speciali. Ci si lamenta di non esser capiti, ma a volte non esser capiti ci piace da morire.

La verità è che adoriamo fabbricare queste cassette in cui sistemarci, matrioske su matrioske in cui rinchiuderci per poter infine dire: “Io abito in questo posto che è fatto così e cosà, e tu no”. Al ragazzo appena conosciuto che ci ha detto “Giochi da tavolo? Ah, adoro Risiko!” diciamo con sufficienza: “Ah, ma quello è un brutto gioco”; sottinteso: ma che sai tu, cosa mai ne vuoi capire. Niente, non ce la si fa, è più forte di noi.

Da fervente slavofila mica potevo farmi mancare le mie matrioske personali, io che tengo un cosacchino sulla lampada della scrivania; tuttavia, accorgermi di aver messo tutti quanti nella pancia delle bambole russe non è stato così immediato. Le ho intagliate senza farci caso, come un artigiano che non abbia fatto altro per tutta la vita. Illuminante a tal proposito la conversazione con un amico.

“Non ho nessuno con cui giocare… è difficile trovare altre persone. Tu sei così fortunata!” e io sorrido, perché è vero.

Ognuno ha il proprio gruppo di gioco e io, per il gusto di strafare, ne possiedo ben tre. Gli amici Orlando, Astolfo e compagnia bella, mio fratello e mia sorella, la mia fidanzata, che ho tirato dentro facendo leva sulla sua innata voglia di vincere (e pure mia madre, insospettabile e inaspettata, su cui però spenderò due parole solo più avanti). Partendo da questo pensiero e seguendone il filo nel mio palazzo mentale, però, mi sono domandata: perché non parlo di un solo gruppo, ma di tre? Perché nella mia mente queste persone non si amalgamano? Se fossimo in una sala da ballo, si mescolerebbero o resterebbero indipendenti? E io ballerei con tutti nello stesso modo?

Spesso Mademoiselle partecipa alle serate con i ragazzi, allora perché non la metto nella stessa cassetta con Logistilla e Doralice, ma in una più piccola e nascosta? Una domanda forse banale, retorica, ma che ne ha generate altre a cascata. Per capirci qualcosa di più, dunque, mi son messa a smontare le bambole una ad una.

AGLAJA

La prima matrioska, la più capiente, contiene il mio gruppo di amici: sei poveri cristiani di età compresa tra i ventisei e i ventitré anni, a cui, sporadicamente, si aggiungono altre persone in modo randomico come Marfisa, Isabella, Atlante, Ruggero; con loro si gioca prevalentemente alle scatole che riportano la dicitura 2-7 giocatori - e per forza di cose. Quando si ordina la pala di pizza a domicilio più si è e meglio si distribuisce il costo. Giochiamo alle escape room dividendoci in squadre e facendo a gara a chi la termina per prima, giochiamo ai giochi narrativi, giochiamo ai giochi di bluff a cui sono scarsissima ma che con loro mi divertono da morire; ci limitiamo a questi giochi perché restiamo dell’idea che se si fa qualcosa, la si deve fare tutti insieme.

Quando gioco con loro non sono proprio una giocatrice nel senso stretto del termine: lì con loro giocare non è vincere, entrare in partita, raccogliere risorse e fare i punti - per quanto mi riguarda, in queste occasioni i punti non esistono mai, ma manco per sbaglio; lì con loro, giocare diventa godersi il gioco al di là delle pedine, vedere che si divertono, ridere con loro. Stare al tavolo sì, ma soprattutto al bordo.

DAŠA

Secondo strato: una sera restiamo in cinque a casa dei ragazzi e io ho con me una piccola scatolina che ho incautamente lasciato sul tavolo. Ognuno si sta lamentando degli impegni della prossima settimana, perché mal comune mezzo gaudio, e prevedo che tempo mezz’ora e saremo tutti per strada, lasciando ai padroni di casa la libertà di andare a dormire - o passare la nottata sul divano a guardare Real Time, se li conosco bene. E invece no: a un tratto Astolfo nota la piccola scatola di Ta-Pum!.

Ho comprato questo gioco immaginando già quali sarebbero state le persone con cui avrei giocato - o a cui avrei permesso di giocare. L’ho comprato per me, i miei fratelli e Mademoiselle, ovverosia per una cerchia specifica e ristretta, ben delimitata. Mai m’era passato di mente di farlo comparire su ‘sto tavolo, perché del resto la scatola recita 2-5 (e in due col morto non funziona per niente bene, no) ed è per quello, per il numero di giocatori che non lo propongo, vero?

Astolfo è curioso, chiede spiegazioni, vuol sapere cos’è, allora snocciolo un paio di regole, tiro fuori gli aneddoti su Tignous, sui francesi che non si lavano, e lui senza pensarci due volte vuol subito metterlo in tavola. Niente canale 31 stasera mi sa.

Ormai tocca ballare. Mi siedo demoralizzata, pronta a veder le bocche sbadigliare e gli occhi vagare dappertutto meno che sulla mano di carte, perché - mi dico - il gioco è troppo complicato, troppo pieno di regole, troppo difficile e poi è già tardi, sono tutti stanchi. Mi siedo sconfitta, perché saranno le illustrazioni, sarà la guerra non-guerra, ma a questo giochino mi ci sono affezionata parecchio e non voglio che sia bistrattato o peggio, snobbato. In poche parole sono gelosa di Ta-Pum come della mia copia di Vuoi star zitta, per favore?.

“Allora… siamo dei soldati francesi in trincea durante la prima guerra mondiale. In qualche modo dobbiamo uscirne fuori vivi, calando ‘ste carte trauma e ‘ste carte minaccia…”

I ragazzi mi smentiscono in quattro e quattr’otto. Il gioco piace e anche parecchio - devo ancora trovare in effetti qualcuno a cui non piaccia stare insieme in trincea e smezzarci caffè torbido tra un proiettile e una pioggia di troppo. Non sono mai stati così partecipi come in quella trincea, mai così accorti nell’allungare il caffè al giusto destinatario. Perdiamo come dei maledetti, ma il gioco fa il botto. Guardo il soldatino disegnato sul coperchio della scatola, legge la lettera della sua amata con fare malinconico. La gelosia è una brutta cosa.

LIZA

Comincio ad avere il sospetto che queste divisioni mentali non siano legate soltanto al numero di persone al tavolo, ma che c’entri qualcosa anche il tipo di gioco e il tipo di giocatori.

Quando sono con i miei fratelli posso giocare veramente a qualsiasi cosa, anche a quei giochi cui altrimenti non darei uno straccio di chance: a Perudo, ad asso-piglia-tutto, a Vudù, a Munchkin, al nostro caro e vecchio gioco dell’oca dai meravigliosi disegni e le ottime pedine in legno; abbiamo persino una scacchiera da tre giocatori (eresia? Forse, ma è davvero stupenda). Abbiamo sempre fatto tutto quanto insieme nonostante la differenza di età e, ognuno con le sue preferenze, gravitiamo attorno a interessi che sono comuni per macroarea. Mia sorella ama i gdr, mio fratello è campione di rts online, io non chiedo di meglio che un puzzle-game o un punta-e-clicca con una trama solida, ma alla fin fine è una minestra rimestata, stiam sempre parlando di videogiochi.

Che giocatrice sono quando sono con loro? In pace con me stessa. Non ho la minima ansia da prestazione, la minima scintilla di competitività, nessuna noia, niente di niente. Quando gioco con loro gioco a tutto quanto: perfino Pandemic Contagio, l’unico competitivo della fortunata serie di collaborativi (chissà come mai), diventa un gioco piacevole.

La sensazione che ho è che siamo tutti e tre sulla stessa lunghezza d’onda: non è che giochiamo per vincere, per partecipare alla tavolata, per la compagnia, per fare casino, no -cioè sì, anche per queste cose- a noi piace giocare per il gusto di giocare. Sarà che tre è il numero perfetto.

NASTAS’JA

C’è un’ultima matrioska da sviscerare. Giocare con Mademoiselle ha un sapore tutto diverso, è altro rispetto a quando gioco assieme a lei con gli altri e da quando gioco assieme a lei con i miei fratelli.

Che cosa gioco quando sono con lei? Giochiamo gestionali pesi, giochiamo asimmetrici infiniti per durata e setup, giochiamo gli astratti, giochiamo i giochi-per-due, giochiamo con gusto Stratego e giochiamo pure il Machiavelli con le carte francesi, che le piace tanto e che dopo qualche iniziale pregiudizio è piaciuto anche a me.

Come gioco quando sono con lei? Sono ancora diversa da come lo ero nelle bambole precedenti e qui di colpo mi si apre un bivio, due strade esclusive: è il gioco a due giocatori che intrinsecamente possiede e richiede la competitività per reggere - perché il gioco di uno dei due, per quanto brillante, non può esistere se l’altro molla il colpo e non si impegna - oppure sono io che, per carattere o meccanismi di difesa, riesco a mettermi in gioco sul serio solo in un rapporto 1:1, con una persona che mi ha vista la mattina presto, prima di colazione, con la bava attorno alla bocca e i capelli a nido d’uccello?

Ho già parlato in precedenza in questo articolo di quello che il gioco a due mi ha insegnato, per cui aggiungo solo una postilla. Se l’agon, come descritto da gente che ne sapeva una fracca più di me, è una delle categorie fondamentali del gioco e la mia partecipazione, il mio massimo coinvolgimento, lo raggiungo con consapevolezza soltanto nel gioco a due, posso dire che sto giocando davvero, che esisto come giocatrice nella mia massima espressione soltanto in un testa a testa? Che ne so. Di sicuro c’entra qualcosa il nostro leitmotiv serale “chi perde lava i piatti”.

Da amante dei giochi gestionali credo di aver introiettato, purtroppo, la tendenza a pensare di sapere che cosa è meglio fare, perché e quando; la presunzione di sapere che a Tizio non piaceranno i giochi di carte perché si annoia a leggerle, che a Caio gli astratti non vadano nemmeno fatti annusare perché sono troppo difficili, che Sempronio alle serate filler non ce lo porto perché sarebbe capace di cadere in paralisi d’analisi pure a Sushi Go! per guadagnare quei due punti in più. A volte la prima impressione è corretta, per carità, o se non altro le caselle in cui sistemo le persone si rivelano essere nel novanta percento dei casi la loro abitazione preferita. Altre volte, però, manco pe' niente.

C’è un piacere sottile, trasgressivo, nel portare il purista strategico incallito al tavolo di Concept, fargli scegliere la carta di Dixit e scoprire che sa mettere da parte i calcoli e le anticipazioni per immaginare qualcosa di favoloso che vada oltre la conta dei punti; il piacere d’infrangere l’ordine delle cose, come buttar giù un castello di carte, nel vedere la scintilla accendersi in un novizio che scopre di sapersela cavare con un regolamento un pelo più complesso, eccitato per quel nuovo modo di giocare, stimolato. L’entusiasmo del mandare all’aria la matrioska e provare a vedere che effetto fa la più piccina nel ventre più grande.

matrioska

PROMEMORIA, PROMEMORIA PER ME

Siamo d’accordo sul fatto che mischiare le carte e i giocatori sia divertente, perché al di là del gioco è stare con gli altri e condividere il nostro tempo che ci fa stare bene, però questi altri bisogna anche saperli capire, saperli osservare. Non funzioniamo con codici di programmazione del tipo if x then writeln y else writeln z. Non possiamo smontare il case del nostro amico per capire che gli dice il cervello quando storce il naso davanti al piazzamento lavoratori che adoriamo alla follia. Non è detto che un bel gioco piaccia a tutti quanti e a tutti quanti nello stesso modo solo perché è un bel gioco.

Siamo nella cucina di Morgana e Alcina, inondate da un meraviglioso sole primaverile, ad accompagnare una partita a Puerto Rico in quattro giocatori con un paio di gelati Magnum, cookies a volontà e una spartana tisana alla curcuma e al tarassaco. Alcina ci sta tagliando le gambe (commercialmente parlando) con le sue piantagioni di caffè, Morgana produce e spedisce, produce e costruisce, produce e fa i big money come se calasse cicchetti di rum e pera. Io le osservo con quella punta d’ansia che ancora non so controllare, quel “ma si stanno divertendo?” intrusivo e sotto sotto molto egocentrico e Mademoiselle... be’, Mademoiselle mi mette i bastoni tra le ruote, al solito. Morgana ci straccia e ci lancia nel bidone della carta, e siccome s’è fatta na certa raccogliamo il gioco e salutiamo; sulla strada di ritorno chiedo alla mia fidanzata che cosa gliene è parso.

Mademoiselle, molto più acuta di me nelle osservazioni (e difatti meno miope), dice “secondo me non è scattata la scintilla. A Morgana è piaciuto di più Ta-Pum”.

Ci penso un po’, perché non mi capacito delle reazioni tutto sommato tiepide. Sono io il problema o sei tu, scatola tintinnante di barili colorati? Ripenso alla prima volta che ho fatto provare loro il collaborativo sulla Grande Guerra. Penso a Marfisa che dice, subito dopo la partita di prova: “questo lo dobbiamo giocare di nuovo, con più calma!”

“Hai ragione”, dico a Mademoiselle.

Ma cos’è che hanno preferito rispetto alla prospettiva di sviluppare una colonia sudamericana schiavizzando lavoratori in piantagioni assolate?

La sensazione di essere davvero nella merda fino al collo, allo stremo delle forze, che ci sia bisogno dell'aiuto e della concentrazione di tutti altrimenti le chiappe a casa non le porteremo mai… Un brivido sinistro. Trasalisco. Potremmo aver trovato le prime filoamerican del gruppo.

Commenti

Una riflessione interessante... per quanto mi riguarda questa separazione dei miei gruppi di gioco è detttata dalla paura, la paura di intavolare giochi "non adatti" alle persone che sono al mio tavolo (molto spesso basata su analisi delle partite precedenti a giochi diversi) è direttamente proporzionale alla mia delusione nel vederli non apprezzati da loro (ciò fa sì che molti del mio gruppo non abbiano, per mia mancanza, nemmeno la possibilità di avvicinarsi a i tiotli che ritengo più stimolanti per me) e rischiare di allontanarli da questa mia passione. Anche io ho il gruppo con cui mi diverto e basta, quello con cui competo etc... Ma mi chiedo... non è che sono io con analisi sbagliate ad aver indirizzato le tipologie dei gruppi e le risposte delle persone al tavolo?

Interessante punto d'osservazione.

Interessante anche che tu stia all'interno di ogni matrioska! ;-)

Sempre interessante Idina!

Contesto il fatto che in 7 si possa giocare solo a bluffing-narrativi o ci si debba dividere a squadre (non lo dici esplicitamente ma lo suggerisci)... non è banale la scelta, ma qualcosa di ottimizzato proprio per sette, e ragionevolmente "serio", si trova. Ad esempio 7 Wonders e Between 2 Cities!

7 wonders OK

Between two cities meee

In stte ci sarebbe anche il fantastico Not Alone. Ma son certo che lo conosci già ;-)

In stte ci sarebbe anche il fantastico Not Alone. Ma son certo che lo conosci già ;-)

E' vero (beh, sarebbe un po' di bluffing anche quello)... io l'ho provato due anni fa a Play in sette però e l'ho trovato alquanto lento (e confuso). Boh

7 wonders OK

Between two cities meee

Beh siamo d'accordo, 7 wonders altro livello, ma between è divertente e velocissimo; per la durata, è ragionevolmente serio. Poi sinceramente l'idea di dover cooperare con due persone in quel modo l'ho sempre trovata geniale (non so se fosse mai stata usata prima).

...ah mi è venuto in mente un altro caposaldo, anzi direi IL caposaldo dei giochi da sette... DIPLOMACY... ma fa categoria a sè

...ho aspettato fino alla fine che parlassi anche di tua mamma... lei in che matrioska sta?

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