Di che cosa parliamo quando parliamo dei meeple

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meeple like us

Il meeple, le miniature, i cubetti e tutto il contorno.

Editoriale
Giocatori

CONFESSIONES

Invece di iniziare con una captatio benevolentiae, e sì che l’argomento dell’articolo vi si presta facilmente, perché tutti abbiamo pulsioni irrisolte verso gli oggettini che troviamo in queste benedette scatole -ognuno il suo, per carità, non discuto sui gusti-, mi lancio in un paio di confessioni. Le dico da subito, a mo’ di disclaimer, così mi tolgo il pensiero.

Non mi piacciono le miniature. Anzi, se devo dirla tutta credo di avere un problema con le action figure in generale - non mi comunicano niente di quel che un’action figure dovrebbe comunicare, ammesso che debba farlo - e per estensione con la plastica; intendo proprio la plastica quale materiale, i polimeri, il polistirene e quella roba che mi han fatto studiare alle scuole medie sotto il  fumoso nome di educazione tecnica. Mi piacerebbe dire che si tratta di una questione soprattutto ecologica ma no, non è vero, bugia! Per farla breve, la plastica mi fa senso.

Non ho finito. Come i più smaliziati avranno già capito, a fare da contraltare a questa repulsione c’è, invece, una torrida passione per il legno, con una predilezione per gli omini androgini, qualsiasi professione essi pratichino - meeple danzatori del ventre? That’s my cup of tea! Più la forma è complessa, più son sagomati, più il colore evoca il profumo di una staccionata verniciata fresca fresca meglio è. Ci facciamo andar bene anche il legno al naturale: in questo periodo ad esempio son presa parecchio bene con la pedina comune di Patchwork.

Internet è un posto meraviglioso per questo genere di cose.

Ho perso il conto di quanti unboxing di Wendake ho guardato finora senza aver la benché minima intenzione di comprare il gioco, soltanto perché, be', quanta roba c’è dentro quelle bustine? E vengo proprio adesso da un giro sul sito della Mayday, categoria Deluxe Euro Token Expansion.

Chiedo al lettore di fare un salto a questo punto, di spostarsi per un momento -solo un paragrafo, giuro- nell'universo, sì ludico ma virtuale, quello dei videogame. Ed ecco l'ultima confessione: sono una fangirl spudorata della Nintendo. Che posso dire, mi piacciono le cose belle. Cosa c'entra questo coi giochi da tavolo, i meeple, il legno, la cronologia dei nostri portatili? Secondo me qualcosa c’entra.

Per chi non fosse pratico, la Nintendo ha lanciato lo scorso anno una nuova console, Nintendo Switch, e nel mese di Gennaio ha presentato un progetto intitolato Nintendo Labo: si tratta di un’integrazione tra la Switch, alcune applicazioni programmate ad hoc e… dei fogli di cartone.

Fogli di cartone che ripiegati lungo linee guidate diventano pianoforti, canne da pesca, jet-pack da mettere in spalla per diventare robottoni e menar pugni a destra e a manca (per chi volesse spendere tre minuti del suo tempo e uscirne con un sorrisone, ecco qui). Io non ho le competenze per predire se l’idea avrà successo, se venderà, né francamente mi interessa, quello che mi preme sottolineare è che quello della N è un passo in avanti (un balzo, come tutte le sue grandi intuizioni che anticipano i tempi) in una direzione verso la quale, se ci guardiamo attorno, corrono un po’ tutti; scegliendo forse un’altra strada rispetto ai visori delle varie case produttrici, si va avanti - a tentoni, perché siamo solo agli albori - cercando di dare al giocatore qualcosa di più della tv accesa e del joystick dotato di dual shock. Qualcosa per farglielo sentire. Somiglia un po’ a quello che ha portato allo sdoganamento dei giochi da tavolo legacy, che mutuano aspetti proprio da videogiochi, ma anche giochi di ruolo, che a loro volta pescano a piene mani dalla narrativa e dal cinema (arrivando ai cosiddetti videogiochi narrativi, in cui si insiste molto sull’esperienza del giocatore più che sul gameplay o game design). Ognuno prende dal vicino quel che sembra più verde. Poiché in questo caso di videogioco si tratta, quello che può fare è soltanto ingannare i sensi.

SINESTESIA

Due concetti che forse non saranno il punto della questione, ma secondo me ci si avvicinano molto, sono quelli del fare e del toccare. Il gioco da tavolo questo lo sa.

Quando leggiamo un regolamento o guardiamo un video tutorial una delle prime sezioni che incontriamo è quella del setup, della preparazione, in cui il gioco ci dice cosa prendere, quanto prenderne e dove metterlo. È la parte in cui iniziamo a prendere un po’ di confidenza, a familiarizzare con tessere colorate dal significato ignoto ed è uno dei modi più efficaci per incuriosire un babbano ludico: fargli toccare il gioco.

Agricola è un gioco molto stretto e ansiogeno, ma quando alla fine dell'ultimo raccolto guardo la mia plancia per contare tutte le centomila cose che non sono riuscita a fare in quattordici turni quello che vedo non è soltanto una fattoria più o meno complessa: è il frutto del mio pensiero e la sua conseguenza; non lo percepisco consciamente, ma nel recinto con le cinque pecorelle e la stalla sono contenute tutte le autostrade neuronali che ho creato scegliendo di giocare quella carta, spostare il contadino lì, raccogliere il legno, costruire questo e quest’altro. Scusate se è poco.

Non farcisco il discorso con tecnicismi, ma su quelle autostrade si viaggia parecchio veloce perché sono create a partire da più stimoli contemporanei: il vedere, il toccare, il fare. Si chiama meccanismo di reward ed è quella stessa cosa che ci spinge dritti dritti nel tunnel dell’acquisto reiterato dei pacchetti di carte di un qualsiasi TCG. Una mano che po esse fero o po esse piuma: oggi è stata na piuma.

Anche il videogioco lo sa o forse se n’è accorto, perché quello che sta cercando di fare in modo talvolta maldestro (motion sickness anyone?) è riprodurre in maniera fittizia queste sensazioni.

Quando il colorificio che ho costruito pagando dobloni e sistemando lavoratori a Puerto Rico mi dà il mio primo barile di indaco, e quando prendo quel barile e finalmente lo carico sulla nave da sei spazi, non è soltanto lo spostamento di un pezzo di legno da una plancia di cartone ad un cartone formato barchetta. Facciamoci caso.

Il caro amico Astolfo mi scrive qualche tempo fa, tutto eccitato, dicendo di aver comprato in edicola un paio di mazzi Yu-gi-oh, dopo essersi rimesso in pari con lo stato dell’arte del metagame. Si giustifica dicendo “li ho presi così, per averli”. Per averli. Non si sbilancia più di tanto. Come ti capisco, amico mio...

MATERIALI E METODI

Siamo riuniti per una nuova serata sotto il segno di due o tre bottiglie di vino e delle patatine formato maxi che hanno incoraggiato Orlando e Mademoiselle, più stanchi e affamati che desiderosi di battagliare a Concept; io, che sono a dieta e non usufruirò del bonus serotonina del cibo, mi son portata sottobraccio un gioco che non ho ancora avuto modo di intavolare in via ufficiale, salvo qualche round di prova con Mademoiselle, per cui stasera farà la sua prova su strada.

Si tratta di un gioco che desideravo davvero da tanto tempo e del quale, dalla prima volta che l’ho visto in video, mi sono subito innamorata: il gioco che ho scelto è La Boca.

Mi piace tutto di questo gioco: mi piace l’ispirazione - all’inizio mi prendo sempre quel minuto per mostrare le foto del quartiere di Buenos Aires e ricordare ai calciofili del Boca Juniors - mi piace che l’abbia ideato una coppia, mi piace come hanno pensato la scatola, mi piace quel timer che lascerò inutilizzato, mi piacciono le carte, mi piace l’idea, mi piace il colore della scatola… e poi sì, d’accordo, mi piacciono i blocconi in legno colorato in una misura in cui temo di varcare il confine della parafilia.

Siamo a casa di Morgana e Alcina e la guest star della serata è Marfisa, dall’attitudine sì compagnona, ma chi lo sa, chi lo sa se giocare può piacerle quanto il Baileys bevuto in bicchierini di cioccolato. Non mi aspetto che s’iscrivano alla ludoteca più vicina domani mattina, però voglio mettere su un gioco che riesca a farli divertire, che faccia venir voglia di un’altra partita. Mademoiselle è scettica, ma io de La Boca mi fido.

Vado verso la busta e prendo la scatola. In quel mezzo secondo prima di andare in scena ci scambiamo uno sguardo che vale più di mille parole: avrei potuto preferire qualcosa di già rodato con cui andare a colpo sicuro e invece ho creduto in te, un po’ come la mia professoressa fece con me al liceo. Fagli vedere cosa sai fare.

Dopo il tabellone bianco e minimale di Concept piazzo sul tavolo la coloratissima scatola, e direi che l’effetto sorpresa me lo son portata a casa. Sposto il coperchio, alzo la plancia di gioco e tiro fuori i pezzi in legno distribuendoli come ad un’ultima cena. Marfisa si fa sfuggire un “ohhh” di sorpresa, è l’ultima briciola di incoraggiamento di cui avevo bisogno per scacciare il continuo dubbio “se non piacesse? E se si annoiassero? Se fossi solo una fanatica e a nessuno interessasse il mio stupido hobby?”. Prendo una carta, la inserisco nella fessura, chiamo Orlando a giocare con me - bisogna essere sempre più premurosi con quelli che rischiano di perdersi per strada - e ci passiamo i pezzi sistemandoli uno accanto all’altro, ruotandoli, facendoli cadere e riprendendoli, beandoci del suono prodotto dall’impatto contro il tavolo e da quello di un blocco contro l’altro. Clonk, clonk. Tutti gli altri attorno a guardare. È fatta.

Nemmeno il tempo di godermela mentre li guardo giocare e provare, chi più chi meno, a entrare nel meccanismo e acquisire la visione dello spazio, il colpo d’occhio, che conquista la seconda medaglia della serata, forse anche più preziosa della prima. Morgana è una delle ragazze più competitive del gruppo, di qualsiasi gioco si tratti lei deve giocarlo per bene e metterci tutta se stessa; stavolta però, quando raccolgo le monete per consegnarle alla coppia che ha appena risolto la carta, mi ferma e dice “vabbè giochiamo senza punti, tanto a che serve?”. Se non mi sono commossa, è solo perché nello stesso momento mi rendo conto di un particolare che non avevo considerato: le patatine. Hanno tutti le mani unte di patatine.

PROMEMORIA, PROMEMORIA PER ME

Fino a qualche mese fa ero convinta che l’empietà che mi fa gridare allo scandalo fossero i cubetti in plastica colorata trasparente - ci resto proprio male, ancora non mi riprendo da quando ho aiutato Logistilla a scartare Concept - ma mi sbagliavo. Sotto Natale ho beccato un codice promo di IBS che mi dava diritto a venticinque euro da spendere sul loro sito e siccome la quota libri era già stata ampiamente raggiunta mi son detta “vediamo il catalogo giochi da tavolo”. Giochi di società, pardon.

Mi cade l'occhio su I coloni di Catan, di cui ho la stessa opinione che ho de Il giovane Holden, né più né meno: un rito di passaggio, una tappa obbligata - per gli altri, forse: io il giovane Holden non l'ho letto al tempo e mai lo leggerò, ma sentite come finisce questa storia.

Al prezzo di un kebab arriva a casa la scatolona ruggine e con lei la funesta sorpresa. Ancora oggi, quando m’infilo nel letto e per dormire conto gli animeeples, non c’è via di scampo: penso a quelle strade e quelle città di plastica (giuro che le bianche mi scatenano il riflesso vasovagale), oh sì, e le penso stampate sul foglio illustrativo di una collezione di sorprese dell’ovetto Kinder, chiuse lì, dentro il cilindro giallo, circondate da disgustoso, dolciastro cioccolato al latte.

Commenti

Legno uber alles. Coloni ha importanza storica ma effettivamente come gioco potevi risparmiartelo. La Boca invece top, anche se con 20 euro in più si compra l'amore. Quando a un party game si lasciano i punti nella scatola significa che è fatto veramente bene.

Il Giovane Holden invece leggilo, dai.

....niente, semplicemente è diventata la mia editorialista preferita.

Hai mai provato quadropolis? Secondo me potresti fare pace con la plastica.

La Boca invece top, anche se con 20 euro in più si compra l'amore.

Che intendi Agz?

Spezzo invece una lancia a favore de I coloni di Catan - e dei pezzi in plastica. Lo gioco poco perché ai tempi ne ho abusato; ma si lascia sempre giocare.

Che certi lavori, per quanto antichi, esisteranno sempre.

Quando a un party game si lasciano i punti nella scatola significa che è fatto veramente bene.

Sacrosanto.

Purtroppo con la plastica ho proprio difficoltà e no, non conosco Quadropolis, mi informerò. Al momento sono innamoratissima delle tessere di Hive pocket che 'sto mese ho giocato tantissimo e dappertutto, ma ho dubbi sul materiale: il negoziante m'ha detto bachelite, però non so (è comunque di una piacevolezza unica).

Confermo che Hive è in bachelite ...anche se le versioni veramente vecchie erano in legno!

Cmq come sempre ottimo articolo, brava. Contesto il "disgustoso, dolciastro cioccolato al latte" però :)

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