Oggi parliamo di uno dei migliori giochi cooperativi in circolazione attualmente, nonché vincitore dello Scelto dai Goblin di quest'anno. Spirit Island, di Eric Reuss, pubblicato nel 2017 da Greater Than Games, localizzato in italiano da Ghenos Games.
Ho letto con attenzione le note dell'autore, il quale, racconta di come l'idea gli sia venuta riflettendo sui classici eurogame, che, come ambientazione, ruotano attorno all'epoca coloniale, considerata sempre dal punto di vista dei coloni. Reuss è riuscito nell'intento di realizzare un ottimo gioco cooperativo (dice di essersi ispirato ad Arkham Horror, aggiungendo profondità di gameplay), dove i protagonisti sono gli spiriti ancestrali della natura, che si oppongono coi propri mezzi agli invasori.
Si tratta di un titolo dal
flusso di gioco semplice e lineare, ma molto difficile da battere. I coloni arrivano dalla costa o dagli insediamenti già presenti all'inizio del gioco, e da lì si rafforzano di turno in turno e di fase in fase: dove prima esplorano, poi costruiscono e infine devastano, lasciando cumuli di sporcizia a inquinare la primitiva bellezza dell'isola. Noi
siamo gli spiriti protettori della natura, siamo ruscelli d'acqua impetuosi, siamo tsunami che si abbattono sulla costa e siamo paurosi fulmini e fiamme, o verde infestante che si propaga velocemente: abbiamo a disposizione il nostro set iniziale di carte potere, che arricchiremo man mano. Nella nostra missione di far scappare gli invasori siamo
aiutati anche dalla popolazione indigena, i Dahan, rappresentati da simpatici funghetti di legno.
Se non bastasse la difficoltà del gioco "liscio", già nel base è presente la possibilità di alzare il livello con gli scenari degli invasori inglesi, prussiani o svedesi.
Esempio principe di cooperativo che blocca il quarterbacking, vale a dire il giocatore più esperto che impone agli altri la propria opinione sul da farsi: avere sempre presente quali carte hanno in mano i compagni di gioco, adattate ai poteri speciali degli spiriti che danno un'impostazione comunque diversa per ognuno, è praticamente impossibile.
Aggiungo che anche il solitario è fatto benissimo, è molto sfidante e restituisce in pieno le sensazioni del gioco cooperativo, anche perché, con qualche partita alle spalle e conoscendo meglio le carte, è possibile gestire in solo anche due spiriti.
Abbinare un film a questo gioco è stata una bella sfida, mi è venuto in soccorso il Maestro dell'anime, colui che vanta più tentativi d'imitazione della
Settimana Enigmistica: Hayao Miyazaki.
In particolare, La città incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi/Spirited Away, 2001) e La principessa Mononoke (Mononoke-hime/Princess Mononoke, 1997) sono fondamentali per capire la poetica del regista, basata sui criteri della religione shintoista; vedremo come siano perfettamente compatibili con le tematiche sollevate da Spirit Island.
Si tratta di film dalla trama piuttosto complessa, occorre essere a conoscenza della cultura sottesa per apprezzarli appieno. Entrambi sono ovviamente stati prodotti dal leggendario Studio Ghibli (di cui ho avuto la fortuna di visitare il museo a Mitaka: varrebbe da solo il viaggio in Giappone).
Nel meraviglioso film del 2001, grazie al quale Miyazaki ha ottenuto l'
Oscar come miglior film d'animazione nel 2003 e l'Orso d'Oro a Berlino, la piccola Chihiro è in viaggio con i genitori, lamentandosi perché stanno traslocando. A un certo punto, prendono la deviazione sbagliata, e si ritrovano in un posto incantato. I genitori (che simboleggiano il giapponese moderno, che si è allontanato dalla tradizione), non comprendono di essere in un luogo sacro,
non colgono i segnali, pensando di essere semplicemente capitati in un parco dei divertimenti in disuso, di conseguenza vengono puniti. La ragazzina si imbatte invece in un luogo tipicamente nipponico: l'onsen. Questo particolare albergo-onsen, governato dalla malvagia strega Yubaba,
è frequentato dagli spiriti (secondo lo shintoismo ogni elemento naturale ha il proprio spirito, dalla rana alla roccia e al ravanello), che vi entrano corrotti dall'inquinamento e ne escono purificati. Qui Chihiro incontra un ragazzo che le consiglia di lavorare in questo posto fin quando troverà un modo per salvare i genitori. Emblematica la scena in cui arriva lo spirito della puzza: la coraggiosa Chihiro lo pulisce, scoprendo che si tratta dello spirito del fiume, lordato dall'immondizia. Anche Chihiro all'inizio viene vista in malo modo dagli avventori dell'onsen perché emana un cattivo odore:
gli spiriti percepiscono la corruzione dell'essere umano.
Ancor più calzante è l'associazione di
Spirit Island con
Princess Mononoke.
Ecco in breve la prima parte della trama del film: il giovane principe Ashitaka uccide uno spirito-cinghiale gigantesco che ha attaccato un villaggio, ma viene infettato dal rancore della bestia. Sapendo che questo lo porterà lentamente alla morte, si incammina verso la foresta, in cerca di una cura. Incontra vari personaggi durante il suo peregrinare: il monaco Jiko; i kodama, gli spiriti degli alberi; San (la Mononoke del titolo), un'orfana cresciuta dallo spirito-lupo, la quale detesta gli umani; Lady Eboshi, la padrona della Città del Ferro, che fa estrarre il metallo dalla montagna nella foresta. Da qui, un turbinio di eventi che espongono le ragioni dell'una (gli spiriti) e dell'altra parte (gli umani).
Ispirato da una delle più antiche foreste giapponesi, il Burrone di Shiratani Unsuikyo, Miyazaki ci presenta un Giappone fantasy-medievale, in cui la natura era misteriosa e fantastica, un luogo sacro abitato dagli dèi, rifacendosi alla tradizione shinto del Kami no Yo, l'Età degli dèi, quando gli uomini erano puri e gli dèi abitavano gli alberi e le colline. Purtroppo, l'avidità e la brama di potere hanno corrotto gli esseri umani: emblematica è la figura del monaco, che vuole decapitare il chimerico cervo sacro, lo spirito della foresta, per avere in cambio dall'imperatore una montagna di soldi.
Interessante anche la concezione shintoista della purezza: tutto ciò che è impuro ci allontana dal divino. In Princess Mononoke, l'impuro, il peccato, è rappresentato dall'inquinamento. La scena iniziale mostra infatti il cinghiale gigante che attacca un villaggio, cinghiale che è stato "corrotto" da un proiettile di metallo, proveniente dalla Città del Ferro. La divinità buona, che stava semplicemente proteggendo la foresta, mediante la ferita si è trasformata in una creatura di puro odio. L'odio è conseguenza dell'impurità e viceversa. Miyazaki visualizza e spiega uno dei concetti della propria religione, mostrandoci il circolo vizioso della violenza.
Ma, come già evidenziato all'inizio,
non siamo di fronte a un film semplice da decifrare: quella che pare essere il
villain, Lady Eboshi, proprietaria della fabbrica, è un personaggio caritatevole verso le persone, non è un personaggio del tutto negativo.
Se ne rende conto il principe Ashitaka, personaggio fondamentale del film, e chiaramente punto di vista dell'autore.
Il giovane principe si innamora di Mononoke e cerca di convincerla ad abbandonare il suo odio feroce per Lady Eboshi. La violenza porterebbe solo a maggiore violenza e a maggiore odio. Ashitaka comprende che il progresso è necessario, ma deve avvenire in modo responsabile e nella cura dell'ambiente.
Perché? Per salvare la natura? Certo che no, la natura continuerebbe tranquillamente senza di noi - vedi anche
Nausicaä della valle del vento (
Kaze no tani no Naushika/Nausicaä of the Valley of the Wind, 1984) -. Miyazaki ci vuol far capire che
dobbiamo curarci del NOSTRO pianeta per garantire la NOSTRA sopravvivenza.