È finita la partita? Chi ha vinto?

Un breve saggio per analizzare, secondo il mio umile punto di vista, uno dei modi per approcciarsi al gioco e la definizione di chi sia il vincitore al termine di ogni partita.

Editoriale
Giocatori

Andando ad esaminare la parola “gioco”, il dizionario ci dice che si tratta di un’attività a cui si dedicano grandi e piccini per svago, ricreazione o per tenere in esercizio la mente o il corpo.

Si tratta quindi di un’attività il cui obbiettivo principale è quello di divertirsi e passare il tempo piacevolmente, staccando dalla pesantezza della quotidianità, perdendosi in un mondo più incentrato sulla tranquillità, il relax e l’estasi. Se è quindi questo il vero significato del gioco, allora l’agonismo, la competizione, il tifo e gli allenamenti non hanno niente a che vedere con questa attività che punta a obbiettivi diametralmente opposti. Il gioco non è altro che lo strumento per raggiungere uno stato di divertimento ed euforia, in cui tutto è tranquillo e l’appagamento personale è massimo.

Partendo da questi presupposti, viene quindi da chiedersi perché in tutti i giochi è sempre presente una componente di agonismo che premia un solo vincitore e umilia tutti gli altri partecipanti etichettandoli come perdenti. Si direbbe che lo scopo del gioco non è quindi il divertimento, come detto all’inizio, ma stabilire la propria supremazia sugli altri partecipanti e quindi si giustificherebbe l’aggressività in gioco, gli allenamenti estenuanti, il tifo sfegatato e tutte quelle altre cose che spesso si vedono durante una partita.

È questo un errore comune. Non bisogna perdere di vista il vero obbiettivo del gioco.

L’agonismo, con la vittoria e la sconfitta, non sono assolutamente il motivo per cui una persona dovrebbe giocare, bensì, come detto prima, la ricerca del divertimento e dello svago. La componente agonistica è inserita all’interno dei giochi solo come mezzo o strumento per raggiungere un obbiettivo, il divertimento, e non come obbiettivo stesso.

Recita un abusato detto: l’importante non è vincere, ma partecipare. Qualcuno risponderà che è la classica frase che viene detta per consolare i perdenti che non sono riusciti a raggiungere il traguardo, ma in realtà il significato è un altro. In queste poche parole è racchiuso un concetto profondissimo, di enorme spessore: ci ricorda che se si gioca per vincere si può avere successo oppure no, mentre se si gioca per divertirsi si avrà sempre successo qualunque sia l’esito della partita. Quindi, se affrontata con il giusto spirito, una partita avrà solo dei vincitori e nessun perdente.

Spingendoci un po’ più oltre, possiamo alzare ancora un po’ l’asticella e cercare un modo per aiutare la comunità a raggiungere quell’estasi di divertimento che tutti speriamo di trovare quando affrontiamo un gioco.

Guardando in modo ampio il concetto di gioco, vedremo che si tratta di un’attività mirata allo svago, ma non si fa nessun riferimento all’individualismo o a un obbiettivo egoistico. Non è assolutamente necessario che ognuno cerchi nel gioco il proprio divertimento e la propria pace; ben altri risultati si ottengono - mantenendo comunque fede alla definizione stessa - se ogni giocatore si pone come obbiettivo ultimo quello di far divertire le altre persone con cui sta giocando.

In questa ultima visione, il gioco diventa quindi un’attività il cui scopo è sì quello dello svago, del divertimento e del relax, ma si ribalta il punto di vista consueto, perché diventa un’attività con la quale si dona qualcosa a qualcuno, si dona un’esperienza piacevole sperando, senza averne la certezza, di ricevere altrettanto. Se tutto va come dovrebbe andare, si crea così una catena mutualistica, in cui ogni persona riceverà quindi molto più appagamento che non nella solitaria ricerca del piacere.

Se si raggiunge questo aulico obbiettivo, chi è il vincitore? Il vincitore sono tutti i partecipanti al gioco, oltre al gioco stesso che ha centrato il suo obbiettivo. E chi è il “vincitore secondo le regole”? Non mi interessa, perché è stato solo un mezzo per raggiungere un fine.

Commenti

Qualche tempo fa uscì un piccolo grafico, che da allora uso come firmo, circa "che giocatore sei".

Non sono particolarmente motivato dalla vittoria, più dall'esperienza.

Ma un gioco senza vittoria, senza condizione di fine partita, é un passatempo oppure perde di coerenza.

Se qualcuno vince ed é necessaria bravura, verrà l'idea di agonismo. Lo scatto nel trasformare il gioco in una bella serata non può venire dal negare quei punti, ma in una buona compagnia e nel giusto atteggiamento.

Per noi la partita finisce al desetup, col commento tecnico (tipo partita di calcetto). É quello il senso, insieme agli OT durante il gioco, mentre si cerca di comprendere e battere il gioco, gli avversari e/o entrambi :)

 

Non sono affatto d'accordo con l'articolo, che non esito a definire una sciocchezza piena di superficialità new age.

Non capisco perché la sconfitta sia "umiliante" o perché la vittoria una specie di crudele selezione naturale. Spiace dirlo, ma questa schifezza all'acqua di rose che vuoi spacciare per "armonia di gioco" è solo un rimedio all'incapacità di elaborare la sconfitta e di imparare dai propri errori. 

"L'importante non è vincere, ma partecipare" è una gran menata che ci raccontiamo per sentirci migliori, ma invece di innalzarci attraverso il confronto (con noi e con l'altro), ci accontentiamo della nostra mediocrità.

mi unisco ai commenti, pure io la penso diversamente dall’articolo.

Il conflitto non va negato (perché è un esperienza basilare della relazione), ma va tollerato (cosa che bisogna imparare da bambini) e sublimato (da adulti).

è il motivo per cui tendenzialmente non amo i cooperativi, per inciso. un amico mi ha detto che sarebbero miei “bisogni testosteronici”, secondo me la virilità e l’aggressività c’entrano solo secondariamente, è proprio sul senso del gioco che mi viene a mancare qualcosa...

Per i cooperativi trovo che il discorso sia diverso e che effettivamente ai giocatori che non riescono a trovare la soddisfazione se non nella sconfitta dei giocatori "fisici", manchi qualcosa. 
Ne avevo parlato qui: https://www.goblins.net/articoli/essenza-dei-giochi-da-tavolo
La vittoria può essere altrettanto soddisfacente in un cooperativo, se si riesce a superare il desiderio di prevaricare per forza un'entità umana: è praticamente lo stesso desiderio che ti impedisce di godere della cooperazione.

Mettiamoila giù semplice, gioco per divertirmi e se vinco, mi diverto di più

Molto probabilmente la parola "gioco", dal latino (d)iòcus) deriva dalla radice indoeuropea "dīv" o "dīu" che vuol dire appunto giocare, divertirsi.

E’ abbastanza figo che tale radice significhi soprattutto “splendere”, “luminoso” il che dà origine a molte parole e concetti per noi interessanti come:

- giorno, dal latino “dies”;

- dio, dal concetto di Luminoso-Celeste, Dyaus Pitr è il Padre Celeste vedico nonché il Juppiter latino (Diespiter).

Quindi, il gioco potrebbe essere un’attività luminosa, splendente, nel senso che la si fa con il cuore abitato dalla luce ovvero in modo spensierato, diremmo noi oggi "per divertimento" (in opposizione con il cuore nero/oscuro del conflitto e della confusione).

Mi verrebbe da dire che il gioco potrebbe essere quella cosa che quello “che è arrivato primo” in un’attività conflittuale/agonistica fa successivamente per riportare il cuore in armonia col creato. Re Artù che dopo aver combattuto sul campo di battaglia si siede a giocare a scacchi con Merlino all'ombra di una quercia.

Il “gioco agonistico”, quello fatto per competere e arrivare primi, mescola - temo - due aspetti della realtà che invece dovrebbero solo convivere, non confondersi.

Ma la confusione è la vera misura del nostro tempo.

Argomento complesso, più volte affrontato in articoli e forum.

Qui, se si usano espressioni tipo "Umilia gli altri partecipanti etichettandoli come perdenti"

Si capisce che si parte con il piede sbagliato....

Argomento complesso, più volte affrontato in articoli e forum.

Qui, se si usano espressioni tipo "Umilia gli altri partecipanti etichettandoli come perdenti"

Si capisce che si parte con il piede sbagliato....

Concordo, l'ho pensato subito anch'io. "Saggio" non propriamente illuminante, mi spiace. Tante banalità buttate là.

Agz per riciclare un esempio che ogni tanto scrivi, allora uno potrebbe controbattere che ai giocatori che non riescono a trarre soddisfazione nel gioco della “carta più alta” manchi qualcosa. Perché, boh, non riescono ad accettare in-game la regola della precarietà dell’esistenza umana.

ok, l’esempio è un po’ forzato, però credo davvero il conflitto sia un momento irrinunciabile, sempre e dovunque.

Anche etologicamente, i comportamenti altruistici sono molto più rari di quelli territoriali. quindi 1 coop ogni 20 competitivi ci può stare, dai, ma davvero non capisco come ci si possa divertire solo con coop...

per inciso, mai mi è capitato di svalutare un esperienza di gioco per una mia sconfitta al di fuori della prima infanzia (appunto...); anzi mi capita di godere di una bella giocata ai miei danni, ammirando l’altrui ingegno. mi è capitato invece quando non mi sentito realmente protagonista, anonimo elemento di un gruppo di gioco (magari pure con un alfa ingombrante, ma anche senza) placidamente teso a sfidare il bot di turno.

Io sono invece d'accordo con l'articolo, non escludo il gusto della competizione e la ricerca della vittoria e nemmeno la soddisfazione che ne deriva, semplicemente ritengo che allenarsi duramente e competere non ha nessun senso se l'attività in questione non mi diverte. 

Io sono invece d'accordo con l'articolo, non escludo il gusto della competizione e la ricerca della vittoria e nemmeno la soddisfazione che ne deriva, semplicemente ritengo che allenarsi duramente e competere non ha nessun senso se l'attività in questione non mi diverte. 

Scusa Emilianoprandelli, fammi capire se è un caso di omonimia.

Se ti dico “Colpo dell’annientamento di Hokuto” , che mi rispondi?....

mah.. io gioco a caylus per vincere, e sinceramente pretendo che anche chi si siede con me lo faccia. Altrimenti che divertimento c'è? Nel senso, prendere cubi blu per fare un edificio giallo non è divertente in sé, lo diventa se lo scopo è vincere avendo giocato meglio degli altri.

Altra cosa è invece l'atteggiamento connesso al perseguire la vittoria: se uno si rende antipatico, scontroso, fa il furbo.. allora no.

Ma una sana voglia di vincere [sotto il cielo di un'estate italianaaaaa] per me è imprescindibile.

 

Agz per riciclare un esempio che ogni tanto scrivi, allora uno potrebbe controbattere che ai giocatori che non riescono a trarre soddisfazione nel gioco della “carta più alta” manchi qualcosa. Perché, boh, non riescono ad accettare in-game la regola della precarietà dell’esistenza umana.

ok, l’esempio è un po’ forzato, però credo davvero il conflitto sia un momento irrinunciabile, sempre e dovunque.

Anche etologicamente, i comportamenti altruistici sono molto più rari di quelli territoriali. quindi 1 coop ogni 20 competitivi ci può stare, dai, ma davvero non capisco come ci si possa divertire solo con coop...

per inciso, mai mi è capitato di svalutare un esperienza di gioco per una mia sconfitta al di fuori della prima infanzia (appunto...); anzi mi capita di godere di una bella giocata ai miei danni, ammirando l’altrui ingegno. mi è capitato invece quando non mi sentito realmente protagonista, anonimo elemento di un gruppo di gioco (magari pure con un alfa ingombrante, ma anche senza) placidamente teso a sfidare il bot di turno.

ma infatti non ci si deverte solo ai coop. non l'ho mai detto.  Contesto che non ci si diverta anche ai coop. E la competizione è sempre ben presente anche nei coop, solo che ha un altro bersaglio, è di tipo diverso e in più c'è anche l'elemento di collaborazione da saper gestire (quindi qualcosa in più, non in meno). Il limite è per me non riuscire a coglierla: chi riesce a cogliere il bello dei coop e anche dei competitivi ha qualcosa in più rispetto a chi coglie il bello solo dei competitivi.

In linea di principio sono più d'accordo con Agzaroth, comunque comprendo le considerazioni presenti nell'articolo (sebbene siano concetti un po' estremizzati).

Il mio divertimento passa anche attraverso la soddisfazione della vittoria, ma se fosse limitato a questo probabilmente non avrei una collezione di giochi, perché per me la passione nei GdT è prima di tutto scoperta e condivisione.

Nel mio gruppo di gioco mi è capitato di percepire una competizione poco sana, quando, inserendo le partite su Rankade, si è creata un'ulteriore sfida per la classifica generale... ho risolto passando a BG Stats.

 

Mi scoccia fare il relativista, ma penso che molto dipenda dalle motivazioni personali per cui uno gioca, che di traverso si riflettono sul tipo di giochi che uno preferisce.

Quello espresso nell'articolo mi sembra un punto di vista molto "german", che però non tutti possono condividere. Anche perché le motivazioni sono molto diverse, e vanno aldilà del mero gioco da tavolo. C'è chi gioca per appagare la propria competitività, chi per il piacere dell'esercizio intellettuale di applicarsi per risolvere i problemi, chi perché ama la socialità, chi per l'adrenalina del pericolo dietro al culo, chi per immergersi in un mondo diverso. Molto spesso è più una combinazione di motivazioni che una sola, e quindi non c'è niente di male a dire che anche vincere può essere importante. Piuttosto, più che rifugiarmi nel ritrito "l'importante è partecipare", direi che bisogna saper trarre piacere anche dalla sconfitta, pur sapendo che è ben diversa dalla vittoria. 

 

spunti, come sempre, interessanti.

da qualche parte leggevo questa citazione di Alex Randholph: "bisogna saper perdere...per esempio se si perda a scacchi, non bisogna mai dire di aver giocato male, perchè si diminuisce il piacere dell'altro".

il piacere del gioco, per me ma anche per il mio gruppo, viene dalla sfida a cui si è sottoposti. non è più importante vincere contro gli altri, ma contro se stessi. e se la sfida è rappresentata dal gioco o dagli altri giocatori, poco importa. il più grande affronto che si può fare al momento del gioco, è quello di non impegnarsi a pieno. lì sì che va via tutto il divertimento, almeno nella mia esperienza.

giocare, giocare ancora, perdere, perdere meglio.

 

Mi fa piacere che siano scaturiti così tanti commenti, sia a favore che contrari.

In linea di massima la maggioranza, anche chi afferma di non essere d'accordo con la mia interpretazione, non si discosta molto da come la penso io. Condivido l'idea che al tavolo bisogna dare il massimo per "vincere", proprio perché non bisogna rovinare l'esperienza di gioco agli altri altrimenti non si divertono, ma quando mi siedo al tavolo cerco di avvicinarmi con uno spirito diverso da quello di "vincere, vincere, e solo vincere". Ritengo più costruttivo sedermi, cercando di dare il mio meglio in modo anche da misurarmi con me stesso, ma soprattutto far sì che al tavolo si generi un'esperienza ludica godibile per tutti. Assolutamente non sopporto coloro che giocano perché si sentono costretti o non sono in vena quella sera, limitandosi a prendere cubetti e spostare segnalini, perché in questo modo io non riesco a far loro vivere un esperienza piacevole e neanche io ricevo niente dalla giocata, anche se alla fine ho fatto più punti.

In particolare ho molto apprezzato il commento di Danebed, che pone l'accento relativistico, ma devo confessare che mentre scrivevo questo saggio, il mio riferimento non erano solo i giochi german, piuttosto una visione molto ampia di Gioco, in particolare la mia mente spaziava da Agricola, a X-Wing, a Battlestar Galactica, al gioco del calcio (che non sopporto), alla tombola; quindi ricomprendendo un po' tutti  i generi siano essi euro, american, wargame, cooperativi, sport, o non giochi. In ciascun genere è presente la componente agonistica, ma per me rimane sempre solo un mezzo per raggiungere uno scopo, che va assecondato altrimenti siamo lì a perdere tempo senza concludere niente, ma assolutamente non è l'obbiettivo che mi pongo. Cercherò sempre di creare una bella esperienza per gli altri compagni intorno a me.

Infine detesto profondamente quelli che mi chiedono di giocare a qualcosa perchè devono "allenarsi" per un evento o una partita particolare che dovranno fare in un prossimo futuro. Questa situazione mi indispone particolarmente in primis perché sarò "usato" per un fine altrui, e poi perché da questa giocata non ne ricaverò niente se non un'accusa di non essermi impegnato abbastanza se vince l'altro, oppure un fiume di bestemmie se ho vinto io.

Il calcio è un gioco bellissimo in mano a gente pessima XD

Se impari a guardare una partita come flusso di gioco, ti assicuro che ti ricredereai.

Nei giochi competitivi, gioco per vincere, e anche gli altri partecipanti, altrimenti il gioco non ha senso. Se non vinco, non mi sento affatto umiliato o etichettato come perdente.

Nei giochi collaborativi in cui si gioca contro il gioco, gioco per vincere, e anche gli altri partecipanti, altrimenti il gioco non ha senso. Se non vinco, non mi sento affatto umiliato: anzi sono contento che il gioco sia una buona sfida.

Nei giochi collaborativi in cui l'obiettivo non è sconfiggere il gioco ma, per esempio, costruire una storia insieme, gioco per costruire una storia insieme. Se qualcun altro è più bravo di me nel farlo non mi sento umiliato, sono contento perché la storia costruita insieme riuscirà migliore.

Non capisco assolutamente il senso di quest'articolo. Ogni gioco ha un obiettivo per i giocatori. Si trae piacere da un gioco se è divertente giocarlo cercando di raggiungere quell'obiettivo.

Se qualcuno si sente umiliato perché perde a un gioco, il problema non è il gioco ma il suo modo di relazionarsi agli altri, e il problema non riguarda questo forum.

@thegoodson....Rispondo con un low kick micidiale stile S.D.M.

Per me è un condensato di banalità che non sono proprio abituato a leggere su questo sito. Inizia male con l'umiliazione del perdente e finisce peggio con l'aulico obiettivo e il non mi interessa chi vince secondo le regole. Senza offesa ma ho trovato l'articolo davvero scarso.

Io non l'ho trovato banale e invito anzi chi l'ha magari liquidato con superficialità a rileggerlo. L'ho appena segnalato a una persona molto competente, che insegna teoria dei giochi e che spero ci lascerà un suo commento.

Il mio nick esprime il mio pensiero.

Lo sfidante più tosto è mia moglie a cui non frega nulla dei giochi ma che puntualmente alla prima partita mi batte (non giochiamo mai ai cooperativi).

Le partite mi lasciano un gusto dolce, per aver giocato, e nello stesso tempo amaro, per la sconfitta.

Questo fa si che cerco subito la rivincita come un tossico in crisi di astinenza! 

Riletto un paio di volte e trovo proprio che l'impostazione dell'articolo sia molto superficiale e anche parecchio discutibile. Sostenere che vittoria, sconfitta e agonismo non siano l'obbiettivo per cui si debba giocare è proprio una cosa sciocca. Diceva Alex Randolph che "una delle cose importanti nel gioco è che uno vince e uno perde, si gioca per vincere, ma giocando per vincere si impara a perdere, e questa è la cosa più importante, perchè se si è imparato a perdere si è imparato a vivere", e questo secondo me è il punto su cui si dovrebbe discutere.

Giocare per vincere è essenza del giocare, allo stesso modo in cui saper giocare bene significa saper perdere.  La stupidaggine secondo cui l'importante è partecipare non la pensano neppure i bambini, che sono i primi a voler vincere a qualunque gioco, ma a cui bisogna insegnare loro a saper giocare spiegando come questo passi dal sapere perdere e magari rigiocare di nuovo per provare a vincere.

Mi associo a quanto detto negli altri commenti, per quanto le cose dette possano non essere del tutto sbagliate ritengo che il divertimento sia nel mettersi alla prova, nel decision making e anche nella compagnia. Ma per me la parte più bella è quello che a rugby si chiama terzo tempo, cioè quando, a fine partita ci si confronta, si parla, "io ho vinto perchè ho fatto questo", "se avessi fatto così avresti vinto", "non ti conveniva fare così perchè eri in questa determinata situazione", sono tutte cose che non fanno che migliorare il gameplay, sia quello finito, sia il prossimo, che sarà più intrigante grazie alle nuove conoscenze. Inoltre io sono dell'idea che un po' di sano agonismo non guasti mai purchè non si esageri.

"Le opinioni sono come le palle, ognuno ha le sue" diceva Clint Eastwood.

Detto ciò io gioco per vincere e per il piacere della presa per il culo post partita, che è un'altra componente fondamentale e aggregante. Mi piace giocare anche pèer il piacere in se, ma non ha senso se non mi impegmo per trovare soluzioni, scoprire strade, cercare di fare meglio (anche del gioco stesso).

 

Il resto è roba per fuffaroli che giustamente giocheranno ai cooperativi (che di solito odio a meno che non abbiano componenti psicologiche). La vita ti mette di fronte a sfide continue e noi senza nemmeno accoorgercene le risolviamo continuamente (non c'è il latte a casa sono le 21 e tuo figlio domani dovrà fare colazione... per dire).

Grazie, Agzaroth, per avermi evocata. Le riflessioni su cosa ci motiva a giocare e sulla natura dell'esperienza ludica sono sempre molto interessanti.
Fatico a rispondere in forma breve a questo testo, perché vi ci trovo un uso poco informato di tanti termini. Parlare di gioco e di divertimento facendo riferimento solo al dizionario invece che alle opere di studiosi come Suits, Salen, Zimmerman, Koster e De Koven - che secondo me sono da considerarsi la base - diventa superficiale, soggettivo e rimane un atto fine a se stesso che manca del prendere in considerazione le tante sfumature di significato che in questo caso sono rimaste inespresse.
Mi limito quindi a suggerire a tutte e tutti la lettura di "The well played game - a player's philosophy" di De Koven (che è stato tradotto molto recentemente in italiano e potete trovare sotto il titolo di "Buon gioco") e di "A theory of fun for game design" di Koster.
Ma soprattutto, quali che siano i giochi che amate: buon gioco! :)

@ardesia

Ciao, io non ti conosco e non so che lavoro fai, però mi pare di aver capito che sei una persona che si occupa in maniera professionale di gioco.

Capisco che tu possa far fatica a riassumere quel che pensi, ma tu capisci che tanti di noi che per lavoro fanno altro e che tra mille robe da fare non riescono a leggersi 6/7 tomi in tema. Che ne pensi di scrivere un articolo in proposito, magari riallacciandoti a questo che si va commentando? Io non faccio parte della Redazione in alcun modo, per cui giustamente questi magari ora stanno pensando "ma questo che cacchio vuole", però, almeno personalmente, lo leggerei volentieri.

Un po' di divulgazione non credo faccia male. Se invece ho capito male e non ti occupi di giochi prendi questo mio commento come un "ciao bella lì, w il gioco da tavolo (e le birrette chiare alla spina)"

saluti!

+1 e sì, io adoro questo tipo di analisi. Sarebbe bello anche come podcast.

Mi spaventa solo il gatto con il terzo occhio: se aggiungi una ghiandola pineale ad un gatto....non c'è partita XD

@ardesia Grazie per il suggerimento di lettura sul libro di De Koven. L'ho iniziato e mi sembra una bomba.

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