la clasica domanda da un milione di dollari: "dove posso trovare il regolamento in italiano? "
Per la serie Pipponi Non Richiesti, seguono le mie personali impressioni su Pax Renaissance, fillerino senza pretese di Phil Eklund, autore noto soprattutto per la sua innata capacità di trasformare i regolamenti dei suoi giochi in esseri senzienti, dotati di vita propria, che crescono, evolvono, litigano, fanno casino.
Quello di Eklund è un mondo a parte nella sfera dei giochi da tavolo moderni: entrarci significa accettare una sfida di non poco conto, non foss’altro per il tempo che si impiega per assimilare le regole, costruite come un tomo di diritto privato per l’Università, con capitoli, sotto capitoli, sotto sotto capitoli, eccezioni, eccezioni alle eccezioni, rimandi oscuri e formule magiche.
Che si fa in Pax Renaissance?
Avere la supremazia rispetto a una data condizione di vittoria significa di fatto avere la maggioranza nel possesso di determinate carte e specifici simboli sulle stesse.
Con una semplificazione estrema potremmo affermare che si tratta di…beh, di una collezione set (per dire).
Il problema qui non è tanto il cosa, ma il come – ciò che Eklund, malandrino senza vergogna, si guarda bene dallo spiegarti. O meglio, ci prova anche a darti una guida strategica con esempi di turni, ma è oscura pure quella.
E’ tutto oscuro, fumoso, navighi a vista e ti muovi con le mani in avanti come faresti nell’oscurità del tunnel degli orrori al luna park. Immergi continuamente il naso nell'aiuto giocatore (meglio due, ce n’è uno decente, graficamente incasinato ma utile che si trova su BGG), studiando i requisiti necessari a fare un’azione e barcamenandoti nell’individuare i pezzi che puoi o non puoi usare.
Collezionando errori su errori, scopri però pian piano i misteri del gioco. Scopri per esempio perché i colori dei pezzi in molti casi non contano e in pochi altri sì, scopri come interpretare le forme dei pezzi, che ruolo hanno, cosa puoi fare per ottenere ciò che ti serve (cioè, semplificando di nuovo, conquistare regni, trasformarli in repubbliche, instaurare teocrazie e convocare vescovi, in modo da direzionare una vaga strategia ed essere pronti a reclamare la vittoria al momento propizio).
Pian piano appare chiaro come l’ambientazione, secondo me splendidamente integrata nelle meccaniche, aiuti molto ad interpretare le regole e certe scelte di design che, pur peccando in eleganza e donando al gioco un corredo di eccezioni degne del peggior azzeccagarbugli, sembrano acquistare finalmente un senso dopo ore di studio e di partite.
In Pax Renaissance ci si mena di continuo. In effetti parlare di strategia è pressoché inutile: è quasi tutta tattica, adattamento, azione, reazione e contro-reazione. Devi essere pronto a repentini capovolgimenti di fronte, a scelte subottimali, difensive o disperatamente aggressive per evitare di soccombere. Ostacolare l’altro è vitale quanto cercare la propria strada per la vittoria, come si confà a un gioco di scontri e, sostanzialmente, di guerra (qui declinata in più aspetti: civile, militare, religiosa, politica).
L’unico modo per imparare Pax Renaissance è giocarci, giocarci, giocarci. Fino alla noia.
Che non arriva mai.
Un titolo che per me merita il tanto abusato termine di "capolavoro".
Ho scoperto con inaspettato piacere anche la bellezza del solitario, giocato non contro l’intelligenza artificiale (rappresentata da un paio di fastidiosi diagrammi di scelte) ma contro un altro me stesso. Solitamente non amo giocare in questo modo, ma in questo caso è diventato non solo un modo per familiarizzare con le regole, ma anche un’esperienza insospettabilmente divertente, resa possibile da un gioco ad informazione completa e che in due presenta una delle configurazioni ideali.
Giusto ieri sera ho goduto di un paio di momenti “wow” in cui mi sarei menato da solo e congratulato con me stesso allo stesso tempo. Quale altro gioco lo fa?
Per la cronaca, ieri il buon De Medici ha avuto la meglio su Fugger, che aveva sfiorato la vittoria religiosa solo un paio di turni prima.