Io Fort Sumter lo conoscevo B-)
Però così a naso mi attira di più 13 Days, proprio a livello di meccanica.
Fort Sumter è l'episodio bellico che segna l'inizio della Guerra di Secessione americana. Qui viene condensato in un wargame di 20-40 minuti da uno degli autori più estrosi e capaci del genere: Mark Herman
Il nome di Mark Herman, ai wargamer, è noto da tempo immemore, eppure ai giocatori da tavolo spesso non dice nulla. Forse a questi ultimi non dicono nulla neanche Washington War’s e For the People, perché rientrano nella sfera dei primi. Eppure è a lui che si deve l’invenzione dei giochi card driven: per dirne uno, Twilight Struggle ha preso ispirazione da questa meccanica per entrare di prepotenza nel gotha dei giochi da tavolo.
Il buon Herman, però, non si è fermato e ha cercato di perfezionare il suo sistema regalandoci, tre anni fa, una piccola perla come Churchill. Qualcun altro, a questo punto, si sarebbe fermato, pago delle sue creazioni. Invece no, lui è andato avanti, dando alla luce quest’anno Fort Sumter.
Fort Sumter è nato come base per progetti futuri: l’idea è quella di condensare una “crisi politica”, fatta di flebili equilibri, in soli 20-40 minuti di gioco, in un titolo per due giocatori, utilizzando il sistema card driven e un regolamento semplice e condensato.
Ma perché il nome di questo forte a noi estraneo? Sappiamo bene come ai nostri cari giocatori d'oltreoceano la guerra di secessione americana stia tanto a cuore (un po’ come a noi i Romani); Fort Sumter è una struttura creata durante il progetto Third system (iniziato dal 1816 quando, in seguito alla guerra del 1812, il congresso stanziò più di ottocentomila dollari per migliorare il sistema difensivo delle coste americane). Essa è situata a Charleston, nella Carolina del Sud; prima che la guerra iniziasse, il forte era presieduto da truppe unioniste (ossia i nordisti), in un territorio notoriamente amico ai confederati (i sudisti). Si trattava insomma di un punto strategico degli Stati del sud, spina nel fianco dei confederati stessi: dopo un bombardamento massiccio, gli unionisti, pur non avendo subito grosse perdite (due soli uomini dei cinquanta che presidiavano il forte), si arresero. Fu la prima battaglia della guerra di secessione.
Bene, introdotto con la nota storica, andiamo ad analizzare il gioco in questione, sviscerando punto per punto i suoi pregi e i suoi difetti.
La scatola si presenta molto robusta e sovradimensionata rispetto al contenuto: al suo interno troviamo una mappa montata di ottima fattura; una cinquantina di carte (dodici di obiettivo e quaranta strategia) spesse e leggibili anche nei simboli; una cinquantina di cubetti divisi per fazione (grigio per i confederati, blu per gli unionisti - come da tradizione); due cilindri segnapunti e un pulzillo - sì, un pulzillo in un gioco GMT: capirete meglio più avanti -; infine, un regolamento e un playbook.
L’unico difetto nei materiali è forse nei colori scelti della mappa, in cui gli spazi politica si confondono un po’ con quelli opinione pubblica; ma sono dettagli.
Otto pagine di regolamento per un gioco GMT è una manna dal cielo. Già questo dovrebbe farvi sorgere il dubbio che non siamo di fronte ad un wargame, ma abbiamo un primo punto che lo avvicina più verso i giochi euro. Certo, è scritto come da tradizione GMT, cioè a nido; ma, essendo di mole inferiore a ciò a cui ci ha abituato la casa di Hanford, scorre bene e senza intoppi.
La meccanica che fa da padrona è quella delle maggioranze, amalgamata a quella card driven. Il gioco si svolge su solo quattro turni; nell’ultimo, denominato crisi finale, le carte sono giocate in modo diverso rispetto ai primi tre.
Inizia sempre il nordista, che peraltro vince tutti i pareggi, eventualmente anche a fine partita; alternandosi, i giocatori giocano tre delle quattro carte strategia pescate, tenendo l’ultima carta per l’ultimo turno. Le carte, come da tradizione card driven, presentano in alto a sinistra un numero all’interno di un colore, che in questo caso è grigio o blu. Se chi la gioca è della fazione associata alla carta, può utilizzare sia l’evento connesso alla carta, sia il valore numerico (che consente di spostare da uno a tre cubetti dalla griglia in mappa o dalla propria riserva). Se invece la carta è associata all'altra fazione, si ha la possibilità di piazzare da uno a tre cubetti (a seconda del numero stampato) sulla mappa, cercando di accaparrarsi la maggioranza di un settore; l’evento spesso ha delle situazioni più favorevoli, in quanto permette anche di spostare quattro cubi in mappa.
Quando alcune carte specificano la rimozione di alcuni cubetti, questi invece vanno riposti in una riserva davanti al giocatore, assieme ai cubetti bonus sbloccati. Il giocatore, se vuole piazzare cubi, deve prenderli prima da questa riserva e poi dalla griglia. Questo twist permette di simulare l’escalation della situazione: più cubetti vengono messi in gioco dalla griglia, più ci si avvicina a una crisi imminente. Il primo giocatore che pesca i suoi cubetti dalla griglia nella zona Tensione attiva il Commissario pacificatore, ovverosia il pulzillo bianco di cui parlavo all’inizio. Chi lo piazza decide in quale spazio non si possono più posizionare cubetti, fino a che un evento di qualche carta non permetta di spostarlo.
Dopo aver giocato rispettivamente tre carte, la quarta viene conservata sempre coperta: infatti un altro elemento presente sulla carta, sul fondo, è uno dei quattro colori, che appunto viene utile nell'ultimo turno di gioco. Ogni volta che termina uno dei primi tre turni si controlla chi detiene la maggioranza dei cubetti negli spazi pivot: a questo punto, a partire dal primo giocatore, chi ne detiene la maggioranza riassegna due cubetti come meglio credo all’interno di quel colore, o spostando i suoi o togliendoli all’avversario. Se, al termine di questo spostamento, un giocatore detiene la maggioranza in tutti e tre gli spazi dello stesso colore, ottiene un punto vittoria. Successivamente si controlla la carta obbiettivo messa da parte ad inizio partita: se il giocatore controlla lo spazio descritto sulla carta, prende un punto ed esegue l’evento scritto sulla carta stessa, che spesso prevede di rimuovere cubi, o di riassegnarli.
A questo punto si determinano gli ultimi punti vittoria: un punto per ogni colore controllato, un punto per chi controlla Fort Sumter (che è uno spazio del colore rosso), un punto per ogni tre cubetti presenti nella propria riserva.
Partiamo col dire che Fort Sumter, come già detto, non è un vero e proprio wargame, ma può entrare nella schiera degli eurogame, cosa che a quanto pare GMT sta spingendo (qualcuno ha detto Time of Crisis?).
Fort Sumter riesce nel suo intento: condensa in mezz'oretta di partita tutta la bellezza di un gioco card driven; è un continuo cambiamento di equilibri e le poche carte si imparano in fretta: dopo un paio di partite appare abbastanza evidente sapere che magari l’avversario può avere in mano ciò che io non ho, oppure conoscere che obbiettivo segreto rivelerà. Nessun timore per il bilanciamento: se per il confederato la sconfitta è data da due risultati su tre, è anche vero che le carte con cui attivare un evento sono in buona maggioranza sue.
Herman ha realizzato anche questa volta una perla: qualcuno diceva che, quando un autore reinventa un suo progetto, si può annoverare nell’Olimpo dei giochi, a tutti gli effetti. Vero, le due meccaniche non portano nulla di nuovo, ma il come sono state utilizzate fa gridare quasi al miracolo.
Dall’altro canto, chi si aspetta un nuovo eurowargame, resterà deluso: l’ambientazione si sente poco, anche se il sistema si presta a diversi scenari (già un paio sono in fase di lavorazione). Qualcuno poterebbe associare Fort Sumter a 13 Giorni, ma qui il tutto è un po’ più “pulito” e lineare e i materiali sono davvero un altro pianeta.
Il pregio maggiore è che davvero una partita tira l’altra: il gioco si presta per certi versi ad una impostazione tattica, ma la conservazione della quarta carta introduce un fattore strategico non di poco conto.
Possiamo annoverare tra i difetti forse la difficoltà con cui gli stati del sud possono portare a casa la vittoria e, forse, il piccolo twist dei punti vittoria finali, che, a chi non piace l’incertezza e la possibilità di ribaltare le partite anche nella sola fase finale, può far storcere il naso - Churchill docet.
Insomma, se vi piacciono i giochi veloci, apprezzate le maggioranze e non vi spaventa il capire, alla fine, come si arriva alla vittoria, Fort Sumter fa per voi.
Se invece cercate un wargame ambientato nella guerra di secessione, beh, avete sbagliato gioco: compratevi For the People.
partite veloci, regolamento semplice, nuova base per nuovi scenari
poco ambientato, twist finale dei punti vittoria un po’ celebrale
Io Fort Sumter lo conoscevo B-)
Però così a naso mi attira di più 13 Days, proprio a livello di meccanica.
A me, onestamente, nessuno dei due: mi sembrano - a leggere - davvero aridi. Beninteso, l'astrattezza non è un difetto, però non l'apprezzo molto in giochi che vorrebbero essere ambientati.
Se invece cercate un wargame ambientato nella guerra di secessione, beh, avete sbagliato gioco: compratevi For the People.
E visto che ci siete compratevi pure un bel pò di tempo libero per giocarlo :asd:
Cmq bravo Rage, bella recensione
Davvero una bella recensione, complimenti!
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