Fenomenologia di Puerto Rico; o forse solo l'ennesima recensione che non dice nulla di nuovo

Signor_Darcy
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Puerto Rico
Voto recensore:
9,0

Recensire Puerto Rico nel 2021 non è un mero esercizio di stile, né l’ostinato proposito di un giovane vecchio dentro che era tutto meglio prima anche se prima era l’altroieri.

Piuttosto, il capolavoro di Andreas Seyfarth è ancora oggi talmente pulito ed essenziale da rischiare di venir ignorato dalle nuove generazioni del gioco da tavolo, quelle che – senza dar loro contro, sia chiaro – trovano più soddisfazione nel bello materiale o nel regolamento corposo, quasi che la lettura e comprensione dello stesso possa costituire una sorta di ingiustificato motivo di vanto.

Pare giusto quindi provare a mettere una toppa a questa potenziale perdita di interesse verso Puerto Rico; e in attesa che uno bravo ci pensi, io scrivo ‘sta roba qua, ché ce l’hanno chiesto i sostenitori su Patreon.

C’è un bastimento carico carico di n-word

Puerto Rico esce nel 2002 nella sua bella livrea Alea e subito si capisce che siamo di fronte a un prima e un dopo: non a caso il titolo scala la classifica di BoardGameGeek fino a scalzare dalla vetta quel Tigri ed Eufrate più ostico, forse più complesso, sicuramente non proponibile a tutti, laddove il gioco della Ravensburger è a prova di neofiti, babbani e genitori sollevati dal divano la domenica pomeriggio.

In testa alla classifica più importante del mondo dei giochi da tavolo – checché se ne dica – Puerto Rico ci rimane sei anni e quattro mesi, subisce un attimo lo sbandamento causato dal furbo Agricola del furbissimo Rosenberg e poi, nel più classico dei ritorni di fiamma, torna in vetta ancora un nove mesi – il tempo che venga partorita la lenta risalita del fenomenale Twilight Struggle.

Più di sette anni di regno, dunque. Meritati fino all’ultimo giorno.

(Sul fatto che nel 2002 lo Spiel des Jahres sia andato a Villa Paletti si può soprassedere, almeno così la recensione non crolla.)

Ristampa più, ristampa meno, sorvolando sui Puerto Ricco di turno, del gioco esistono tre edizioni: la prima, quella più scarna (ma giocabilissima) con le piantagioni galleggianti nel mar dei Caraibi; la ristampa, con le tessere a due lati, le plance più belle da vedere e Gesù Cristo sul lato della scatola (edizione che comprende le due espansioni Nobili e Nuovi edifici, mai mai mai usate, ché, come detto, non servono); infine la recentissima scatola bianca celebrativa della Alea. Edizione quest’ultima che, va detto, non ha avuto vita facilissima, tra errori di stampa e decisioni diciamo politicamente corrette che hanno fatto un po’ storcere il naso: passi (se proprio si vuol fingere di ignorare la storia) che la nave schiavista sia diventata una locanda; ma che gli schiavi neri siano diventati viola lascia un po’ il tempo che trova.

(Nulla di male, sia chiaro: alla fine è pieno il mondo di gestionali con colori a cazzo; ma in questo caso quel minimo di verosimiglianza storica dava al gioco una marcia in più, quantomeno ad ambientazione. Certo capisco le obiezioni; e però un mondo in cui succedono queste cose ha qualche problema. A cominciare da quelli di coscienza. Vabbe’.)
 

Tutto il gioco minuta per minuta

Puerto Rico è ormai nel paniere Istat e dilungarsi troppo sul suo regolamento serve poco e niente. Un po’ come le espansioni del gioco. Ad ogni modo in ogni turno a partire dal primo giocatore si sceglie uno dei personaggi disponibili e tutti ne effettuano l’azione corrispondente, cosa che sostanzialmente azzera i tempi morti, richiedendo continue decisioni ai giocatori (tipo se costruire, se colonizzare un terreno, se imprecare a bassa voce o piuttosto tirar giù tutti i santi dei Caraibi).

Chi sceglie il personaggio ha un piccolo bonus, ma lo sapete benissimo e non sto qua a scassarvi testicoli od ovaie con l'ovvio.

Con i vari effetti si possono costruire edifici, coltivare campi, mettere i lavoratori negli uni e negli altri e tante altre belle cose, finalizzate a fare soldi nella prima parte della partita – gli edifici costano in maniera proporzionale al bonus che comportano – e possibilmente punti vittoria nella seconda.

I punti si ottengono in tre modi diversi, due dei quali legati agli edifici: il loro valore da uno a quattro; gli effetti degli edifici più grandi, in aggiunta al loro valore; le spedizioni di merci sfruttando il capitano.

Alla fine vince chi siede alla destra di quello alla prima partita.

Seyfarth maestro

Ci sarebbero tantissime cose da dire su Puerto Rico. Dunque diciamole.

Partiamo dalla meccanica, quel draft di azioni con privilegio che ha fatto scuola (lo si ritrova per esempio nella quarta edizione di Twilight Imperium) e che stupisce ancora oggi per la sua perfezione: la scelta di un certo personaggio può sembrare semplice, ma il fatto che l’azione la svolgono tutti innalza la profondità del gioco a livelli quasi da uscita agli antipodi.

Certo, chi sceglie il ruolo ha un privilegio – un’azione potenziata, uno sconto, una cava per risparmiare in seguito sulle costruzioni –, ma spesso il vantaggio non è così grande da surclassare l’effetto dell’azione sugli avversari.

L’esempio migliore è dato dall’essenziale sovrintendente, colui cioè che permette l’attivazione di campi e stabilimenti produttivi: la sua scelta lascia potenzialmente campo libero a chi segue, che può vendere al mercato o spedire merci col capitano; eppure, banalmente, come i lavori sporchi o portar fuori il cane che deve cagare qualcuno lo deve pur fare; e saper scegliere il momento – navi con merci già assegnate, mercato quasi pieno, riserva di barili ai minimi termini – è pressoché essenziale.

Un discorso analogo, del resto, può essere fatto per quasi tutti i personaggi, eccetto forse l’opportunista cercatore d’oro, che conferisce solo il privilegio a chi lo sceglie mentre gli altri se ne stanno con le mani in mano, come ogni madre cerca di tenere il figlioletto tredicenne. In particolare risulta fondamentale il capitano, soprattutto in virtù del fatto che è l’unico ad avere l’azione obbligatoria: la sua scelta al momento giusto può davvero valere la partita e, del resto, la gestione delle spedizioni è punto cruciale del gioco (a tal proposito rimando a questo bel podcast di Radio Goblin, ché io mi sto dilungando peggio di Grey's Anatomy).

Varianti e altre cose che fingo di comprendere

In breve, altre cose su Puerto Rico. Partendo dai materiali che, quale che sia la versione, sono quelli delle edizioni Alea Ravensburger: diciamo che, errori a parte, fanno il loro. Niente di più, niente di meno.

Meno che discreta l’ergonomia: i pirulini, ora marroni ora viola, si afferrano in qualche modo, ponendosi da qualche parte tra le gocce originali di Barrage e i semi di zucca; le tessere ruolo tempo due partite e hanno più artigliate di un divano in una casa con gatti (io le ho imbustate. Per dire); le monete hanno lo spessore di un’ostia e, tanto per aumentare il divertimento, i pezzi da cinque hanno lo stesso diametro di quelli da uno, costringendo chi vuole costruire a doversi asciugare le mani dal sudore ogni venticinque secondi; i punti vittoria sono dei coriandoli raccolti da una strada appena finita la sfilata di carnevale; per non parlare dell'inserto, che è di quelli con le conchette ricurve dell'Alea che andrebbero bene solo come porta salse durante una grigliata.

Un po’ meglio la scalabilità, anche se siamo non vicinissimi all’ottimo: Puerto Rico è meraviglioso in quattro, molto bello in cinque, più che giocabile in tre. In due bisogna ricorrere ad una variante: la migliore è quella detta di Fernori, che si trova su bgg e, a differenza di quella ufficiale della seconda edizione, impedisce la mortale combinazione sovrintendente-capitano da parte di un giocatore, ché va bene tutto, ma certe bottigliate sullo scroto nemmeno Tafazzi.

Eccellente, invece, l’interazione: la scelta di quali merci produrre da parte di un giocatore influenza molto gli avversari, per esempio se quello prima di te comincia a produrre caffè e tu devi abbandonare i sogni di gloria da venditore Nespresso sacramentando come un barista a cui chiedono un espresso ristretto in tazza grande macchiato freddo doppio; il gioco delle navi fa più danni di quello del trono; soprattutto la scelta dei personaggi avversari che, nel momento sbagliato, può tagliare le gambe come una corsa tardo-pomeridiana a trenta gradi all’ombra di un frigorifero. O un'alzata dal divano senza dire "op-là".

Non mi prenderete mais

Come detto, l’obiettivo di Puerto Rico in genere è fare soldi prima e punti poi, a differenza di un bravo tennista; ovviamente sono possibili numerose strategie, che bene o male ai due estremi vedono la produzione estesa di mais e il continuo ricorso al capitano (possibilmente associato ad un molo personale per evitare ostruzionismi vari con le navi) e, dall’altro lato, la produzione differenziata di tre o più colture, ulteriormente premiata in denaro dalla manifattura – sì, val la pena costruirla, stolti – e che consente bene o male di infilare barili a ogni turno di spedizioni: in questo caso viene più utile il porto che, non a caso, dopo il citato molo, è tra gli edifici più costosi. Servono più soldi nel secondo caso, ovviamente; ma avere tante merci agevola la vita anche all’emporio, ché qualcosa da vendere si trova sempre, un po’ come Zhang con l’Inter. Altro edificio utilissimo in questo senso è ovviamente l'ufficio commerciale, che consente di vendere una merce già presente all'emporio avendo solo l'accortezza di disegnarci una mela morsicata sopra.

Nel mezzo c’è il mare, nemmeno a dirlo: Puerto Rico è un gioco di una profondità clamorosa, a cui non da ultima contribuisce la possibilità di imprimere la durata del gioco in funzione della strategia intrapresa: concludendo il round si finisce infatti all’esaurimento della riserva dei coloni; oppure al termine dei punti vittoria disponibili; oppure ancora quando uno dei giocatori esaurisce lo spazio dedicato agli edifici sulla propria plancia. A seconda della strategia scelta, insomma, può essere opportuno spingere più o meno sull'acceleratore, soprattutto se gli avversari sono ancora indietro o hanno il ministro degli esteri che cazzeggia in spiaggia.

Cava ti amo

Insomma ancora oggi un capolavoro, senza bisogno di soffermarsi sulle numerose altre caratteristiche, piccole e grandi, che lo caratterizzano, dalla meccanica del doppio lavoratore necessario per guadagnare una merce che non sia il mais (uno nei campi e uno nello stabilimento, come gli schiavi mudokon), alla necessità a fine partita di dover utilizzare il sindaco se non lo fa nessun altro per poter ottenere i punti degli edifici grandi e non dover costringere vostra nonna a doversi tappare le orecchie; senza dimenticare le grandi scelte a cui il gioco costringe continuamente fin dai primi turni, quando scegliere tra una cava o una piantagione di caffè è decisione più sofferta di quella del corso di laurea dopo il liceo (ma meno di quella che dovete prendere quando il cameriere vi guarda ché mancate solo voi a ordinare).

Ha senso, insomma, non solo consigliare Puerto Rico ancora oggi; ma perfino continuare a citarlo, a costo di sembrare dei vecchi brontoloni, ché del resto non è certo colpa mia se i giochi di una volta erano più belli.

Per Puerto Rico, insomma, gli anni sembrano non passare mai. Il che spiegherebbe anche Ricky Martin.

 

Post scriptum

Ah già, la cosa del posto a cui accennavo prima. Seriamente: per quale stracazzo di motivo se vince chi sa giocare meglio dovrebbe essere un difetto del gioco?

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Commenti

Ah, il leggendario uomo-pannocchia... che palle 'sti materiali Ravensburger, uno il 10 vorrebbe proprio calarglielo ma non c'è verso. 

Grandissimo Puerto Rico. E grandissimo Darcy

Bella copertina da product placement e ottima recensione , ce ne vorrebbe una l'anno per Puerto Rico ( e El Grande, Caylus, Brass, Nell'anno del Dragone, etc)

Bella recensione e ottimo gioco.

Al punto

"mentre gli altri se ne stanno con le mani in mano, come ogni madre cerca di tenere il figlioletto tredicenne"

ho avuto un attacco di ridarella tipo tempi del liceo :D

Al costo di sembrare un vecchio brontolone ripeterò sempre che a me Puerto Rico NON piace e, se non piace neanche a voi, non abbiate paura di dirlo anche se è considerato da molti un capolavoro. 

Dam94 scrive:

Al costo di sembrare un vecchio brontolone ripeterò sempre che a me Puerto Rico NON piace e, se non piace neanche a voi, non abbiate paura di dirlo anche se è considerato da molti un capolavoro. 

Ci sta. Il fatto è che Puerto Rico è un capolavoro anche se non piace a qualcuno. 

Capolavoro vero e da sempre nella mia top 3. Varrebbe la pena menzionare, tra le varianti, la versione "balanced", implementata tra l'altro su BGA. Due le modifiche, molto importanti:

1) I giocatori che iniziano col mais partono con 1 doblone in meno.

2) Prezzo di Università (8) e Manifattura (7) invertiti (in un'invervista riportata su bgg si dice sia stata proposta da Seyfarth stesso). 

Dopo aver giocato assiduamente, mi sento di dire che con questa variante il gioco migliori ulteriormente, rendendo più difficile al terzo e quarto giocatore accedere a colture pregevoli come il caffè oppure mettere in piedi una manifattura con almeno tre colture.

Grazie al Signor Darcy per il suo punto di vista mai banale. Applausi anche per il rimando nel titolo alla "Fenomenologia di Mike Bongiorno" di Eco. Chapeau!

 

Al costo di sembrare un vecchio brontolone ripeterò sempre che a me Puerto Rico NON piace e, se non piace neanche a voi, non abbiate paura di dirlo anche se è considerato da molti un capolavoro. 

 

È chiaro che i gusti son gusti e non si discutono. Però cos'è che non ti piace in Puerto Rico? Onestamente faccio fatica a comprenderlo anche più di altri capolavori (per esempio Caylus è anche lui praticamente "perfetto" però è oggettivamente freddo e soprattutto a fine partita ti fuma il cervello e capisco a qualcuno possa non piacere)

Premetto che parlo con un paio di partite all'attivo ma anche Puerto Rico mi sembra freddo e l'impressione che ho è che l'esperienza sia troppo premiante. Inoltre il tipo d'interazione che per molti versi è geniale per altri rischia di non piacere a molti.

Agzaroth scrive:

 

Dam94 scrive:

 

Al costo di sembrare un vecchio brontolone ripeterò sempre che a me Puerto Rico NON piace e, se non piace neanche a voi, non abbiate paura di dirlo anche se è considerato da molti un capolavoro. 

 

 

Ci sta. Il fatto è che Puerto Rico è un capolavoro anche se non piace a qualcuno. 

Eheheheh. Ora ti dimostro che puerto rico è un capolavoro "secondo te" e anche "secondo molti giocatori", ma che non è un dato oggettivo bensì soggettivo. Dimostrazione: per me non è un capolavoro. Giocato, noiosissimo. E siccome per me non lo è, ecco che anche se lo fosse per il 99% degli altri, rimane soggettivo. un "secondo me" va sempre bene prima delle frasi. Umiltà. Anche io penso che solo uno molto nerd possa apprezzare il freddissimo puerto rico, e che per me è un giocaccio, e lo penso sinceramente, e a volte  i viene da pensare che sia "oggettivamente" brutto, e che la maggioranza si sbagli. Cosa molto probabile, infatti, solitamente, nella storia, la maggioranza si sbaglia. Appoggia i regimi totalitari, si innamora di musicaccia commerciale, compra i filler, non riconosce grandiosi artisti che infatti trovano solo riconoscimento postumo, ascolta Giovanotti, ecc.... Quindi il fatto che Puerto Rico risulti ai piú un capolavoro, rafforza l'ipotesi che non lo sia. Nonostante ciò, mi riservo di considerarla una mia opinione, senza ammantarla di oggettività. E per quanto un recensore possa sognare di dire verità scolpite nella pietra, sempre restano, disgraziatamente, opinioni.

No. Picasso è un grande artista anche se uno dei suoi quadri in sala mi farebbe ribrezzo. Mio nipote che scarabocchia no,anche se mi piaccioni i suoi scarabocchi. Verità oggettive quanto quella di Puerto Rico. E l'apprezzamento della massa non c'entra nulla.

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