Se non ti interessa il testo che segue, parto sconclusionato di un pessimo scrittore, salta pure al prossimo testo in grassetto 
Non ero pronto a quel risveglio.
L'accecante bagliore dei raggi solari, il tenero solleticare dei granelli sabbiosi sotto la pianta dei piedi, il profumo bruciante della salsedine nelle narici: ero in spiaggia, una che non avevo idea di dove fosse.
Riuscivo distintamente a scorgere la linea costiera che si snodava a destra della mia posizione, mentre alle mie spalle una fitta foresta spioveva verso il mare, cercando invano di accarezzare le onde spumose che si spegnevano sulla battigia.
Un panorama paradisiaco e incontaminato, violato soltanto dall'enormità di una carcassa: un aereo cargo. Se ne stava lì, a circa trenta metri da me, nel suo colossale immobilismo. Gli mancavano le ali, ma la fusoliera era apparentemente intatta.
Non avevo idea di quando si fosse schiantato, o se a bordo vi fossero passeggeri. Ma era lì, spiaggiato come una balena, attorniato non da creature a caccia di cibo, ma da umani. Superstiti? Ne contavo una decina, tutti attorno al cadavere metallico, intenti, forse, a interrogarsi su cosa ci facessero in quel posto sperduto. Erano vestiti come me: dei semplici civili.
Prima di avvicinarmi, una rapida occhiata al velivolo mi fece notare subito la scritta sulla fiancata: Board Game Airlines. Una compagnia aerea... di giochi da tavolo?
Avvicinandomi, iniziai a scorgere qualcosa che prima era sfuggito al mio sguardo: scatole, di ogni dimensione e colore, sparpagliate attorno al mezzo come piccole costellazioni.
"Che diamine è successo?", domandai alla prima persona a tiro, che si voltò di scatto, come strappata via da un momento di solenne contemplazione.
"Siamo precipitati".
Due semplici parole che bastarono a uccidere ogni mio scampolo di certezza e serenità.
"E... dove?", chiesi con la poca razionalità che ancora abitava il mio corpo.
"Non lo sappiamo. Forse ai tropici", disse voltandosi tutt'intorno, come a intendere che quello fosse l'unico indizio oggettivo che quel posto offrisse.
"Ci siamo risvegliati qui, chi prima e chi dopo", intervenne un ragazzo dalle retrovie. "E nessuno ricorda cosa stesse facendo l'ultima volta che era cosciente".
In effetti, anch'io fatico a ricordare dove fossi, prima di tutto... questo.
"Come ti chiami?", mi chiese il ragazzo.
"Angelo".
"Aspetta. Angelo? Qui c'è un bagaglio extralarge col tuo nome", disse indicando un'enorme valigia lì a pochi metri da lui.
Era aperta, o per meglio dire sventrata, e da essa fuoriuscivano scatole, tali e quali a quelle tutt'intorno all'aereo.
"Oddio, sono i miei giochi da tavolo, ma che cazzo?", dissi avvicinandomi di corsa alle scatole, per poi buttarmi in ginocchio sulla sabbia nel tentativo di radunarle.
Middara, Mage Knight, Apex Theropod, e altre ancora: erano tutte lì, dalla prima all'ultima, la mia intera collezione.
"Ma non ha alcun senso!", dissi sconcertato.
"Beh, che ti aspettavi, viaggiando con la Board Game Airlines?", esclamò una voce maschile, che ricondussi, dopo una rapida scansione dell'ambiente circostante, a un uomo appoggiato all'aereo, con le braccia conserte, vestito degli inconfondibili abiti di un pilota di linea.
"A bordo c'erano tutte le vostre collezioni", disse rivolgendosi ai presenti, avanzando passo dopo passo nel cuore del gruppo, stretto a cerchio attorno a lui.
"Che storia è questa?"/"Chi diavolo siete?"/"Riportateci a casa!"/"La mia copia di HeroQuest è finita in mare, porc!"
Le voci si accavallarono in un fragore incontrollato e indistinguibile, tanto che il pilota indietreggiò di qualche passo, temendo per la sua incolumità.
"Calmatevi, vi prego! Ora vi spiego", disse alzando le mani, per poi fare un bel respiro.
"Il fatto è che... non eravate completamente soddisfatti delle vostre collezioni. O meglio, le amavate, sì, e le rispettavate, oh altroché, ma in qualche modo, sotto sotto, ma nemmeno troppo, le vivevate con un certo timore reverenziale, come se fossero un cimelio preziosissimo, ma anche una condanna da scontare".
"Che intende dire?", chiesi, interdetto.
"Siete giocatori american, no? Per giunta solitari. Avete accatastato decine di giochi dalle scatole assurdamente grandi, su cui poi avete fatto accumulare polvere, stagione dopo stagione. E che mi dite delle settimane di giochi apparecchiati su un tavolo dedicato, spesso mai degnati di uno sguardo, se non quando stuzzicati dal senso di colpa? E a ogni nuovo gioco, un altro regolamento da cento pagine che vi investiva di un malessere insanabile. E vogliamo parlare dei Kallax disseminati in studio, in salotto, nella stanza dei bambini e perfino in bagno? Me lo chiamate vivere sano, questo?"
"Ma io, veramente, mi trovavo benone", disse un uomo sulla cinquantina che probabilmente si era sentito colpito nel vivo.
"Benone? A spendere migliaia di euro per giochi che vedono sì e no il tavolo una volta, se tutti gli astri si allineano? O che restano sigillati e abbandonati nella loro collocazione iniziale come monumenti al consumismo?"
L'uomo si zittì e abbassò lo sguardo. E gli altri lo seguirono, me compreso.
Avevamo investito tanto della nostra vita in quella selezione di carte, cartoni e plastiche, per poi ritrovarci con le orecchie abbassate e la coda tra le gambe, lì, in quel momento senza apparente logica.
Riflettendoci, in effetti, quand'era stata l'ultima volta che avevo intavolato Mage Knight? E cosa ricordavo del suo regolamento? Domande le cui tragiche risposte davano senz'altro credito alle parole del pilota.
Radunata sulla quella spiaggia, c'era un'umanità combattuta, con alcuni esponenti che avevano chiaramente perso la loro battaglia col mal d'esser giocatori. Ne facevo parte anch'io? Forse sì, forse no. Nonostante fossi uno dei pochi che, arrivato allo stremo, rivendeva parecchi giochi per farci un gruzzoletto. Gruzzoletto che veniva naturalmente reinvestito in altri giochi da regalare alla polvere, frattanto che quella campagna da 120 scenari e duecentordici ore di gioco, di cui non ricordo nemmeno più il nome, domina il tavolo e non vuole cederlo agli altri.
"Ha ragione", dissi dopo una riflessione di pochi istanti, ma che mi sembrò un'eternità.
"Ho collezionato tanti giochi, ma ne avrò giocati bene sì e no uno su tre, e ora sono qui, con dei completi estranei e la mia collezione mezza insabbiata, io, amante del solo, a interrogarmi sul mio futuro di giocatore, prima e di uomo poi", dissi con la voce che piano piano perdeva di vigore, tremando per qualche millesimo di secondo sulla sillaba finale.
Dopo un'altra trentina di secondi di silenzio, con tutti a soppesare il proprio calvario emotivo, alzai lo sguardo e proferii forse le parole più ponderate della mia vita.
"Aiutiamoci. Sì, sfruttiamo quest'occasione folle per darci una mano. Come se fossimo, che so, a una riunione di alcolisti anonimi. Come compagni di hobby. E, chissà, magari come amici."
Gli sguardi confusi degli altri mi fecero titubare, ma incalzai ancora.
"Scegliamo un gruppo ristrettissimo di giochi. Di quelli che non possono mancare nella collezione di un giocatore american solitario. Di quelli che vi portereste all'inferno o in paradiso. O su un'isola sperduta come questa. Giochi che possono, o che l'hanno già fatto, cambiarvi la vita. Scegliamone massimo tre. Sì, dai. I tre che salvereste dalla distruzione del mondo. Poi, una volta tornati a casa, o semmai dovessimo restare qui per sempre, li impareremo a menadito e li giocheremo allo sfinimento, saggiandone ogni percorso, ogni ramo narrativo, ogni singolo personaggio, o carta, o tile, o token. Saranno la nostra trinità. La nostra nuova religione."
ECCOCI QUI
Beh, il consiglio che vi chiedo, che poi può essere tranquillamente un invito alla discussione, è quello esposto dal mio alter ego Angelo durante la parte narrativa: quali 3 giochi american (ma anche ibridi, dai), da giocare in solo, vi portereste nella tomba, ad oggi? Non importa se cooperativi, competitivi o altro. Semplicemente voglio conoscere la vostra trinità, così che magari, un giorno nemmeno poi tanto lontano, possa magari diventare anche la mia. O almeno in parte. Io, per ora, da giocatore dell'ultima ora, credo metterei solo Mage Knight. E voi?
Il mio post nasce sia per pura curiosità e voglia di condividere, sia perché, in un certo senso, sento che l'accatastamento di giochi che ho portato avanti in questi mesi mi si è in qualche modo ritorto contro, finendo per soffocare il mio interesse a giocarli. Ho Oathsworn apparecchiato sul tavolo da almeno 3 settimane e sono riuscito solo a fare la parte narrativa del primo capitolo, devo affrontare ancora il primo boss. Perché non vado avanti? Il lavoro, il figlio di 19 mesi, altri hobby e il fatto che il manuale non riesco ad assimilarlo bene, per qualche ragione che mi sfugge. Pertanto, forse questa è l'occasione per chiudere una porta e aprire un portone, chissà. Potrei scremare o rivendere tutto. Oppure integrare con altri giochi. Non voglio privarmi di nessuna opzione o soluzione
Non ero pronto a quel risveglio.
L'accecante bagliore dei raggi solari, il tenero solleticare dei granelli sabbiosi sotto la pianta dei piedi, il profumo bruciante della salsedine nelle narici: ero in spiaggia, una che non avevo idea di dove fosse.
Riuscivo distintamente a scorgere la linea costiera che si snodava a destra della mia posizione, mentre alle mie spalle una fitta foresta spioveva verso il mare, cercando invano di accarezzare le onde spumose che si spegnevano sulla battigia.
Un panorama paradisiaco e incontaminato, violato soltanto dall'enormità di una carcassa: un aereo cargo. Se ne stava lì, a circa trenta metri da me, nel suo colossale immobilismo. Gli mancavano le ali, ma la fusoliera era apparentemente intatta.
Non avevo idea di quando si fosse schiantato, o se a bordo vi fossero passeggeri. Ma era lì, spiaggiato come una balena, attorniato non da creature a caccia di cibo, ma da umani. Superstiti? Ne contavo una decina, tutti attorno al cadavere metallico, intenti, forse, a interrogarsi su cosa ci facessero in quel posto sperduto. Erano vestiti come me: dei semplici civili.
Prima di avvicinarmi, una rapida occhiata al velivolo mi fece notare subito la scritta sulla fiancata: Board Game Airlines. Una compagnia aerea... di giochi da tavolo?
Avvicinandomi, iniziai a scorgere qualcosa che prima era sfuggito al mio sguardo: scatole, di ogni dimensione e colore, sparpagliate attorno al mezzo come piccole costellazioni.
"Che diamine è successo?", domandai alla prima persona a tiro, che si voltò di scatto, come strappata via da un momento di solenne contemplazione.
"Siamo precipitati".
Due semplici parole che bastarono a uccidere ogni mio scampolo di certezza e serenità.
"E... dove?", chiesi con la poca razionalità che ancora abitava il mio corpo.
"Non lo sappiamo. Forse ai tropici", disse voltandosi tutt'intorno, come a intendere che quello fosse l'unico indizio oggettivo che quel posto offrisse.
"Ci siamo risvegliati qui, chi prima e chi dopo", intervenne un ragazzo dalle retrovie. "E nessuno ricorda cosa stesse facendo l'ultima volta che era cosciente".
In effetti, anch'io fatico a ricordare dove fossi, prima di tutto... questo.
"Come ti chiami?", mi chiese il ragazzo.
"Angelo".
"Aspetta. Angelo? Qui c'è un bagaglio extralarge col tuo nome", disse indicando un'enorme valigia lì a pochi metri da lui.
Era aperta, o per meglio dire sventrata, e da essa fuoriuscivano scatole, tali e quali a quelle tutt'intorno all'aereo.
"Oddio, sono i miei giochi da tavolo, ma che cazzo?", dissi avvicinandomi di corsa alle scatole, per poi buttarmi in ginocchio sulla sabbia nel tentativo di radunarle.
Middara, Mage Knight, Apex Theropod, e altre ancora: erano tutte lì, dalla prima all'ultima, la mia intera collezione.
"Ma non ha alcun senso!", dissi sconcertato.
"Beh, che ti aspettavi, viaggiando con la Board Game Airlines?", esclamò una voce maschile, che ricondussi, dopo una rapida scansione dell'ambiente circostante, a un uomo appoggiato all'aereo, con le braccia conserte, vestito degli inconfondibili abiti di un pilota di linea.
"A bordo c'erano tutte le vostre collezioni", disse rivolgendosi ai presenti, avanzando passo dopo passo nel cuore del gruppo, stretto a cerchio attorno a lui.
"Che storia è questa?"/"Chi diavolo siete?"/"Riportateci a casa!"/"La mia copia di HeroQuest è finita in mare, porc!"
Le voci si accavallarono in un fragore incontrollato e indistinguibile, tanto che il pilota indietreggiò di qualche passo, temendo per la sua incolumità.
"Calmatevi, vi prego! Ora vi spiego", disse alzando le mani, per poi fare un bel respiro.
"Il fatto è che... non eravate completamente soddisfatti delle vostre collezioni. O meglio, le amavate, sì, e le rispettavate, oh altroché, ma in qualche modo, sotto sotto, ma nemmeno troppo, le vivevate con un certo timore reverenziale, come se fossero un cimelio preziosissimo, ma anche una condanna da scontare".
"Che intende dire?", chiesi, interdetto.
"Siete giocatori american, no? Per giunta solitari. Avete accatastato decine di giochi dalle scatole assurdamente grandi, su cui poi avete fatto accumulare polvere, stagione dopo stagione. E che mi dite delle settimane di giochi apparecchiati su un tavolo dedicato, spesso mai degnati di uno sguardo, se non quando stuzzicati dal senso di colpa? E a ogni nuovo gioco, un altro regolamento da cento pagine che vi investiva di un malessere insanabile. E vogliamo parlare dei Kallax disseminati in studio, in salotto, nella stanza dei bambini e perfino in bagno? Me lo chiamate vivere sano, questo?"
"Ma io, veramente, mi trovavo benone", disse un uomo sulla cinquantina che probabilmente si era sentito colpito nel vivo.
"Benone? A spendere migliaia di euro per giochi che vedono sì e no il tavolo una volta, se tutti gli astri si allineano? O che restano sigillati e abbandonati nella loro collocazione iniziale come monumenti al consumismo?"
L'uomo si zittì e abbassò lo sguardo. E gli altri lo seguirono, me compreso.
Avevamo investito tanto della nostra vita in quella selezione di carte, cartoni e plastiche, per poi ritrovarci con le orecchie abbassate e la coda tra le gambe, lì, in quel momento senza apparente logica.
Riflettendoci, in effetti, quand'era stata l'ultima volta che avevo intavolato Mage Knight? E cosa ricordavo del suo regolamento? Domande le cui tragiche risposte davano senz'altro credito alle parole del pilota.
Radunata sulla quella spiaggia, c'era un'umanità combattuta, con alcuni esponenti che avevano chiaramente perso la loro battaglia col mal d'esser giocatori. Ne facevo parte anch'io? Forse sì, forse no. Nonostante fossi uno dei pochi che, arrivato allo stremo, rivendeva parecchi giochi per farci un gruzzoletto. Gruzzoletto che veniva naturalmente reinvestito in altri giochi da regalare alla polvere, frattanto che quella campagna da 120 scenari e duecentordici ore di gioco, di cui non ricordo nemmeno più il nome, domina il tavolo e non vuole cederlo agli altri.
"Ha ragione", dissi dopo una riflessione di pochi istanti, ma che mi sembrò un'eternità.
"Ho collezionato tanti giochi, ma ne avrò giocati bene sì e no uno su tre, e ora sono qui, con dei completi estranei e la mia collezione mezza insabbiata, io, amante del solo, a interrogarmi sul mio futuro di giocatore, prima e di uomo poi", dissi con la voce che piano piano perdeva di vigore, tremando per qualche millesimo di secondo sulla sillaba finale.
Dopo un'altra trentina di secondi di silenzio, con tutti a soppesare il proprio calvario emotivo, alzai lo sguardo e proferii forse le parole più ponderate della mia vita.
"Aiutiamoci. Sì, sfruttiamo quest'occasione folle per darci una mano. Come se fossimo, che so, a una riunione di alcolisti anonimi. Come compagni di hobby. E, chissà, magari come amici."
Gli sguardi confusi degli altri mi fecero titubare, ma incalzai ancora.
"Scegliamo un gruppo ristrettissimo di giochi. Di quelli che non possono mancare nella collezione di un giocatore american solitario. Di quelli che vi portereste all'inferno o in paradiso. O su un'isola sperduta come questa. Giochi che possono, o che l'hanno già fatto, cambiarvi la vita. Scegliamone massimo tre. Sì, dai. I tre che salvereste dalla distruzione del mondo. Poi, una volta tornati a casa, o semmai dovessimo restare qui per sempre, li impareremo a menadito e li giocheremo allo sfinimento, saggiandone ogni percorso, ogni ramo narrativo, ogni singolo personaggio, o carta, o tile, o token. Saranno la nostra trinità. La nostra nuova religione."
ECCOCI QUI
Beh, il consiglio che vi chiedo, che poi può essere tranquillamente un invito alla discussione, è quello esposto dal mio alter ego Angelo durante la parte narrativa: quali 3 giochi american (ma anche ibridi, dai), da giocare in solo, vi portereste nella tomba, ad oggi? Non importa se cooperativi, competitivi o altro. Semplicemente voglio conoscere la vostra trinità, così che magari, un giorno nemmeno poi tanto lontano, possa magari diventare anche la mia. O almeno in parte. Io, per ora, da giocatore dell'ultima ora, credo metterei solo Mage Knight. E voi?
Il mio post nasce sia per pura curiosità e voglia di condividere, sia perché, in un certo senso, sento che l'accatastamento di giochi che ho portato avanti in questi mesi mi si è in qualche modo ritorto contro, finendo per soffocare il mio interesse a giocarli. Ho Oathsworn apparecchiato sul tavolo da almeno 3 settimane e sono riuscito solo a fare la parte narrativa del primo capitolo, devo affrontare ancora il primo boss. Perché non vado avanti? Il lavoro, il figlio di 19 mesi, altri hobby e il fatto che il manuale non riesco ad assimilarlo bene, per qualche ragione che mi sfugge. Pertanto, forse questa è l'occasione per chiudere una porta e aprire un portone, chissà. Potrei scremare o rivendere tutto. Oppure integrare con altri giochi. Non voglio privarmi di nessuna opzione o soluzione
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