Boh, provo a dire in cosa rientra l’etica e la morale nei vari giochi che ho provato.
Partiamo dagli inizi, d&d.
All’inizio il dubbio non veniva proprio posto. C’erano quegli allineamenti, combinazione di bene/male e di legge/caos, che servivano a definire più o meno come interpretare il tuo personaggio e a definire come alcuni incantesimi funzionavano su di lui. Lanciare una Punizione Sacra su un buono, su un malvagio o su un neutrale cambiava non di poco.
Purtroppo quegli incantesimi erano davvero pochi per poter definire questo il fulcro del gioco, davvero troppo pochi per dargli un senso e, anche se nel mio gruppo non è praticamente mai successo, so che in diversi altri gruppi questi allineamenti scatenavano lunghe discussioni sull’interpretazione, sull’intenzionalità di fare del bene, contrapposta al bene per profitto personale.
Per non parlare del Paladino. Quante discussioni sul suo codice di condotta. Io personalmente ho sempre cercato di rompere le balle il meno possibile, perché come classe è fortina, ma fino ad un certo punto (quel codice di condotta poi era fenomenale: “uccidi solo i malvagi” “non usare veleni” “non rubare” “non mentire”…rappresentava secondo me esattamente quello che d&d richiedeva da quel confronto tra bene e male. Una differenza di mezzi, oltre che intenzioni altruistiche invece che egoistiche).
Le prime interpretazione
Eppure ogni tanto domande sul bene e sul male entravano in gioco, anche se raramente. Non ne avevamo bisogno e io stesso mi divertivo a vedere alcune questioni.
Quanto è importante la morte in un mondo in cui sai che quando muori vai in un’altra dimensione che ti rappresenta, continuando a fare per l’eternità quello che facevi in vita? Era molto più grave dirottare un’anima verso una destinazione sbagliata che uccidere qualcuno (ed erano questioni che sfioravano poco la gente comune). Quanto è grave uccidere quando la morte è solo una pausa di 10minuti? Come giudicare creature “malvagie” al di là delle loro possibilità, come alcuni non-morti che al risveglio potevano soltanto essere malvagi. E loro stessi? Potevano venire a patti con le loro nefandezze e cercare di rigare dritti? O quella scritta “Caotico Malvagio” significava assenza di libero arbitrio e dover compiere azioni atroci altrimenti “non stavi interpretando”.
Io, per non saper ne leggere ne scrivere, evitavo proprio di dare PE per interpretazione. Certo di tanto in tanto scoppiavano dei leggeri battibecchi, ma non era per questioni di “interpretazione degli allineamenti”, ma per altre questioni, a volte legate all’interpretazione in genere, a volte per powerplaying ecc ecc.
Oltretutto la domanda “un non-morto che può essere solo Caotico Malvagio può combattere i suoi impulsi?” portò alla risposta “Si, ma resta un Caotico Malvagio”. In gioco quei personaggi avevano libero arbitrio, ma sentivano sempre e costantemente l’impulso di perpetrare il male. E ucciderli non era un peccato per un Paladino, nemmeno se si comportavano da santi. Il bene e il male erano due vere e proprie etichette, che si appiccavano all’anima dei personaggi e che non potevano essere cambiate (se non con mezzi molto potenti, come oggetti appositi o Incantesimi adatti). Era davvero buono un paladino freddo e “crudele” che distruggeva i malvagi, anche se questi stavano riuscendo a controllarsi nonostante la loro indole? La risposta veniva dall’alto (dal master). Ed era “Si”. Non che io pensassi questo davvero, ma era la risposta all’interno di quella ambientazione. Perché in un’ambientazione in cui puoi parlare con gli dei quando ti pare, in cui puoi arrivare in pochi minuti alle sorgenti del multiverso e sapere la verità i dubbi sono altri magari. Non sono su cosa è il bene e su cosa è il male, perché il bene e il male sono due grandi schieramenti in guerra. Non era una metafora del libero arbitrio, erano proprio due eserciti, con tanto di soldati e incantesimi pronti a conquistarsi quell’angolo di universo rimasto prima della fine.
Giochi da Grandi: Vampiri
Con Vampiri (e i giochi Whitewolf in genere) le cose non cambiarono molto. Ciò che era giusto e ciò che era sbagliato era riassunto in quei dieci punti da rispettare se non si voleva diventare un mostro degenerato.
Il Narratore era il custode di questo, era compito suo (mio) verificare quando infrangevano il codice, decidere se c’erano delle eccezioni applicabili e decidere come applicarle. Insomma, come prima, con la differenza che non c’erano un bene e un male in guerra, con la differenza che l’Umanità misurava quanto eri umano, buono, generoso, santo o quanto eri egoista, bestiale, mostruoso ecc ecc.
Oltretutto avevano tolto il buono/malvagio per sostituirli con Natura e Carattere. Con “come sono dentro di me” e con “cosa faccio vedere agli altri”. Quelli mi piacevano molto. Figo.
Figo? Fino ad un certo punto. A me, narratore, spettava il dovere costante di giudicare quanto i miei amici stessero interpretando bene o male Natura, Carattere e Umanità e di dargli una quantificazione in punti esperienza a fine giocata. Mentre in d&d potevo dare un giudizio, ma lì finiva, ora, in vampiri quel giudizio pesava sull’efficacia del personaggio. “Tu hai interpretato bene un sadico, 2 PE. Tu invece non sei stato un buon tentatore, 1 PE. Tu potevi salvare l’arcivescovo per avere più informazioni ma non lo hai fatto, 1 PE” “ehi, ma io sono un pazzo, se avessi salvato l’arcivescovo mi sarei comportato da sano di mente” …
insomma i giocatori avevano spesso da ridire e la cosa era frustrante.
Perché erano bastardi? No. Perché non capivano un beneamato cazzo? No. Era frustrante perché io dovevo dare giudizi, perché io dovevo prendere decisioni arbitrarie che andavano ad influire sulla capacità dei loro personaggi di essere rilevanti. Sembra stupido, per un misero PE, ma un PE oggi, un PE domani a ritrovarsi più scarso degli altri entro poche sessioni si fa presto…
e il tutto perché il tuo amico narratore giudica di bassa qualità i tuoi giudizi sul tuo personaggio.
Fu per questo che applicai una delle nostre homerule per l’epoca. Di mia spontanea iniziativa. E tutti furono d’accordo. Tutti prendono gli stessi PE. A fine giocata vedevo un attimo come erano andate le cose, vedevo un po’ il quadro generale e davo i PE a tutti, motivando le mie decisioni. A volte c’erano lamentele, a volte no, a volte la gente era dichiaratamente d’accordo. Ma almeno non c’erano invidie tra giocatori, non c’erano litigi su “chi ha fatto meglio e chi ha fatto peggio”.
Sembra una cavolata, ma quante volte ho letto di narratori che si vantano di educare i loro giocatori, di fargli capire “come si interpreta”. Cosa significa “interpretare”? Significa tanto il recitare un parte, quanto sostenere un pezzo musicale, ma anche dare una propria spiegazione. All’epoca me lo chiesi e mi piaceva quel “dare una propria spiegazione”. I giocatori stavano dando una propria spiegazione, una propria interpretazione della moralità, delle nature, dei caratteri….mio era il compito di valutarle, di cassarle o di approvarle.
Entro breve ne ebbi la nausea. E insieme a questa mia nausea lentamente i giochi si spostarono verso altre questioni whitewolf. Cosa strana la moralità era sempre più un dettaglio meno importante. SI, si facevano ancora i tiri, ma non era più al centro dei discorsi o dei problemi.
Caduta l’attenzione del giudice (perché non è un semplice arbitro, è un giudice) improvvisamente le cose erano meno rilevanti.
Cani nella Vigna e la Morale dei Giocatori
All’epoca pensavo di essere esperto. Ero praticamente il master migliore della zona e avevo giocato a molti gdr rilevanti.
Eppure un mio amico portò Cani nella Vigna.
Non ci colpì molto, ma ci furono delle interessanti discussioni sulla morale del giocatore e la morale del personaggio.
Il personaggio non esiste, la morale è tua e bla bla bla. Stronzate, pensavo. Il personaggio non esiste, è vero, ma quando prendo delle decisioni tengo conto di chi è il personaggio, e faccio cose che in realtà non farei.
Divergenze di opinioni. Il gioco non attaccò, ma di tanto in tanto ci giocavo con thomas (il drzero di gentechegioca, che non è il drzero della tana del goblin, almeno credo) e altri amici perché era comunque un gioco carino.
Poi ho letto un paio di articoli del mio signore e padrone Moreno (baciamo i dadi a vossia)…e non so perché ma ho visto qualcosa di diverso.
Il capitolo della creazione delle città mi illuminò. Ingiustizia…è qualcosa che ti fa rivoltare lo stomaco dallo sdegno. A chi? A te master! Se non hai il coraggio di mettere le tue idee, come puoi pensare che i giocatori mettano le loro? E se l’ingiustizia ti fa rivoltare dallo sdegno tu sarai pronto a tutto pur di prendere le difese di quelli che tu percepisci come oppressi.
Iniziai a fare da master. Entro breve (tre/quattro città circa) imparai a fare delle città che mi coinvolgessero. E più le facevo più capivo quel “la morale è del giocatore”. Io master non avevo possibilità di interferire su quello che i giocatori pensavano dei loro personaggi.
Non davo PE. Potevo dare dei giudizi, ma questi non erano rilevanti sull’efficacia del personaggio. Potevo fare rilanci pesanti, non parabili, ma era il giocatore che decideva se rischiare e cosa questo significava per il proprio personaggio, per la sua coscienza. Era il giocatore a decidere quali tratti dare al proprio personaggio come risultato dei fallout.
Rimasi folgorato.
Era come d&d. Non davo più giudizi sul loro comportamento…eppure c’era qualcosa di diverso. Cosa? L’ambientazione. Era così vicina alla vita di tutti i giorni che tirava fuori qualcosa di diverso.
Vicina? Puah, ma a che CnV ai giocato?
Vicina. Son tutti buoni ad essere eroi quando in gioco c’è il destino del multiverso, o quando il villaggio di pecorai è attaccato dagli orchi malefici. Si, anche se quegli orchi sono stati istigati dal malvagio capo villaggio.
Ma quando ti trovi di fronte ad un padre che ruba per sfamare il figlio? Sei disposto a lottare per i suoi diritti? Anche se ha rubato? Anche se ai tuoi parenti? Sei disposto a farti sparare per il diritto di una ragazza a baciare il ragazzo che vuole? Dov’è il limite tra legge e giustizia? Tra vendetta e onore? Nel personaggio. Ed è il giocatore che lo stabilisce sul suo personaggio! Come? Facendogli compiere azioni in gioco, dando giudizi su quelle azioni con i tratti o semplicemente con le parole “Cristo, che bastardo che è il mio personaggio” “bastardo? Ma se grazie a lui ora Fratello Adam ha un lavoro…” “Si, ma per darglielo non si è neanche curato di aver rovinato la vita al sovrintendente. In fondo anche lui ha fatto il suo lavoro” “eh già, son scelte…” “sai che ti dico? Che secondo me ora lui è più duro. Come tratto di fine città metto “Sguardo duro e severo”.
Perché dico vicina? Perché quelli sono domande alle quali è interessante dare una risposta. Sono davvero dubbi sulla moralità del personaggio, sono giudizi
Da quel momento iniziai anche io a fare personaggi con l’intento di esplorarli. E la qualità delle giocate decollò, salendo di diverse spanne, e tutt’ora non ha raggiunto un limite.
Solar System – I PE e le Chiavi
Quando iniziai a dare un’occhiata al Solar System ci fu una meccanica che mi balzò immediatamente agli occhi. Le chiavi.
Ogni chiave è composta da un serie di punti tematicamente correlati che danno punti esperienza. Ed è il giocatore il custode della loro coerenza. Insomma…i giocatori si danno i PE. È una specie di misto tra l’umanità di vampiri e il sistema che usava per dare PE, la differenza è che è estremamente più elastico, più dinamico e versatile…e non genera problemi di giudizio.
I personaggi del Solar System sono dinamici, corrono verso il cambiamento (basti pensare che il massimo di PE che puoi ottenere da una chiave è quando rinunci ad essa). Mentre in CnV quel cambiamento è annunciato più o meno gradualmente dal cambiamento dei tratti, mentre in Vampiri quel cambiamento va cautamente concordato (altrimenti sembra che non stai interpretando e ti becchi meno PE…..come successe a me) in Solar System è rapido e incentivato.
Le decisioni del personaggio (e del giocatore) sono direttamente al centro dell’attenzione, vengono adeguatamente rappresentate in gioco con l’acquisizione di PE (che il giocatore da al suo personaggio) e vengono poi spesi per rappresentare i cambiamenti opportuni.
Un interessante variazione dal tradizionale. Quando l’ho letto mi son chiesto come ho fatto a non pensarci.
La Morale in La Mia Vita col Padrone
Uno dei giochi secondo me più strani da questo punto di vista è LMVcP. I personaggi sono dei mostri al servizio di un mostro ben più temibile di loro, che ha bisogno degli stessi per compiere le orribili nefandezze che servono a soddisfare le sue esigenze. La letteratura horror ottocentesca è una fonte d’ispirazione, ma a me personalmente non ha mai ispirato dubbi morali.
I valori di Disgusto di Sé e Stanchezz dei servitori misurano quanto il servitore si sente un mostro e quanto è stanco e spossato (quanto gli pesa esserlo). Mentre l’Amore quantifica fondamentalmente i motivi che ha per ribellarsi al giogo del padrone, del quale è volontariamente schiavo.
Perché non mi ha mai colpito moralmente? Perché il servitore è costretto ad eseguire gli ordini del suo padrone. Sono i valori che mi dicono quando riuscirò a ribellarmi e per cosa lo farò, non direttamente la mai decisione. Eppure un paio di domande me le fece fare…perché non è così irrealistico. Rappresenta in modo abbastanza drammatico lo scontro di volontà all’interno di qualcuno. Il suo bisogno di sentirsi amato, il suo cercare questo amore in qualcuno che ha bisogno di lui, anche se per fini nefandi, la sua ricerca di accettazione e di affetto disinteressato.
La Mia Morale e i Jeepform
Un paio di esperienze recenti particolarmente toccanti mi hanno dato risposte su di me.
Non so quanto voi parliate da soli. Non so quanto vi facciate domande su voi stessi. Sono della ferma convinzione che ognuno parli con se stesso esattamente quanto ne ha bisogno. Me stesso non è una compagnia sgradita ne gradita, non ci parlo perché mi ci trovo costretto. Ci parlo proprio quando ho qualcosa da dirmi o da farmi dire.
Perché fare questa premessa? Perché nei jeepform la distanza tra le azioni (e la morale) del personaggio e quella del giocatore è quasi inesistente.
Mentre in CnV posso tenere il personaggio lontano da me (e poi magari giudicarlo) in un Jeepform spesso e volentieri quel personaggio sono io, o un aspetto di me (se sei preparato all’evento e vuoi sfidare il gioco puoi anche non giocarlo così….ma il divertimento è dieci volte minore. Come giocare a tennis per dimostrare che il tennis è brutto).
Quando provai Dubbio per la prima volta ebbi una strana sensazione.
Non so se conoscete Dubbio. È una specie di Live che si gioca in 5, di cui due necessariamente donne e due necessariamente uomini.
Parla della storia d’amore di una coppia, Tom e Julia. Non sappiamo nulla di questa storia. Si deciderà in gioco. Sappiamo che sono sposati, forse fidanzati.
Sappiamo anche che lavorano e che fanno gli attori. E stanno portando in teatro un dramma di una coppia che si lascia. L’altra coppia di giocatori interpretano Tom e Julia che interpretano le loro parti.
E così, in un susseguirsi di scene che si rimandano tra loro riesci pian piano ad intravedere che quello che sta facendo Tom in realtà è esattamente quello che potresti fare tu.
Non c’è distanza, non c’è differenza. La morale di Tom è la tua. Coincidono perfettamente. E quando ti trovi a provarci con la stagista ti rendi conto a breve che quello che ci sta provando sei tu. È solo una specie di recita teatrale, eppure quando la volta dopo vai ad attaccare bottone con una donna te ne rendi conto…quello è Tom che ci prova con la stagista.
Ed ecco che i giudizi che hai dato su Tom, su Julia, sulla vostra storia improvvisamente sono giudizi su di te e su come ti sei comportato con la tua ex.
Quando togli tabelle, draghi e newyork quello che resta sei tu. E quello che hai fatto in gioco è stato fatto da te in una determinata situazione.
e se Dubbio è stato interessante A Flower For Mara è stato illuminante
A Flower for Mara fu un’esperienza allucinante.
Parla del lutto, della perdita di una persona cara, e di come una famiglia la affronta. Non mi dilungo sul gioco. Dico che se con Dubbio mi sono reso conto di come vivo una relazione (e da quando ci gioco affronto le relazioni in modo molto migliore) con AFFM mi sono reso conto di come affronto la vita, e vedo con maggior chiarezza alcune parti di questa, alcune decisioni che ho preso e alcune decisioni che ha preso chi mi sta vicino.
epilogo
La morale del personaggio, l’esplorazione della stessa, delle sue idee e delle sue motivazioni è stato un mero pretesto per esplorare la mie e quelle di chi mi stava intorno (che le ha condivise con me in gioco).
E tanto più il mondo è lontano da me, tanti più orchi squarto e tanti più dei interpello per sapere come funziona il multiverso più il personaggio è una cosa reale, separata e lontana da me. E della sua morale, di quello che passa per la sua testa, se non in rare occasioni, mi frega assai poco.
Quando invece si toglie newyork e i draghi il confine tra il giocatore e il personaggio si va ad assottigliare e cominciano ad emergere domande. Alcune esperienze con alcuni giochi sono interessanti, altre profonde e illuminanti, altre passatempi. Postmetto che per me hanno tutte il medesimo valore.
scuse
Boh, ho scritto un poema. Il tema era talmente generico che mi son dovuto trattenere per non dire una valanga di cose. Spero di non essere andato OT (anche perché per problemi di connessione posso soltanto connettermi un attimo, dare una letta, scrivermi una risposta in word e incollarla ore dopo…quindi mi scuso, ma questa è stata scritta subito dopo il mio primo messaggio in questo topic).