Virtual Worlds & Giochi di Ruolo - uno studio filosofico

Come studioso dei giochi, ed in particolare dei cosiddetti giochi di ruolo, credo sia opportuno fare una riflessione a proposito di un fenomeno dilagante: i virtual worlds, di cui Second Life è un celeberrimo esponente. Credo sia anche opportuno metterli in relazione ai GdR, perché c’è uno stretto rapporto fra questi due fenomeni apparentemente molto simili eppure sostanzialmente differenti. Inizierò evidenziando i caratteri comuni a questi due fenomeni per poter poi meglio distinguere ciò in cui essi si differenziano.

Giochi

Come studioso dei giochi, ed in particolare dei cosiddetti giochi di ruolo, credo sia opportuno fare una riflessione a proposito di un fenomeno dilagante: i virtual worlds, di cui Second Life è un celeberrimo esponente. Credo sia anche opportuno metterli in relazione ai GdR, perché c’è uno stretto rapporto fra questi due fenomeni apparentemente molto simili eppure sostanzialmente differenti. Inizierò evidenziando i caratteri comuni a questi due fenomeni per poter poi meglio distinguere ciò in cui essi si differenziano.

I giochi di ruolo (GdR) ed i Virtual Worlds (VW) producono strutture di mondi fittizi in cui possono agire dei “personaggi” non reali. Entrambi permettono ai partecipanti di assumere una identità fittizia (alter ego) e di agire su un mondo non reale per mezzo di questo “personaggio”. Il personaggio altera il mondo fittizio con le sue scelte. Tuttavia, a differenza della vera realtà in cui viviamo e moriamo, qui le azioni non sono sottoposte alla censura della moralità, sono leggere: come non c’è alcuno merito reale nel compiere buone azioni così non c’è alcuna responsabilità né colpa reale nel commettere ogni nefandezza. Si tratta infatti di azioni totalmente fittizie. L’assenza di responsabilità risulta particolarmente rilevante, poiché ciò consente al giocatore di operare ogni scelta con un atteggiamento particolare: l’azzardo. Il giocatore può così sperimentare ogni cosa che non potrebbe sperimentare nella vita reale se non a patto di appesantire oltremodo la sua coscienza.


Questo azzardo, questa possibilità di infrangere i “tabù” è la principale risorsa attrattiva comune ai due fenomeni ed è un procedimento che è ampiamente analizzato dalla psicoanalisi[1]. Senza addentrarsi nel labirinto di giudizi sui singoli tabù per stabilire la positività o la negatività di ciascuno, si comprende facilmente come la civiltà e la cultura sia proprio il frutto di uno stratificarsi di tabù, più o meno condivisibili, ma che in ogni modo frenano gli istinti distruttivi e le spinte antisociali dei membri di un gruppo. Perciò l’infrazione di un tabù nella vita reale è necessariamente legata ad una certa “pena”, in ogni caso almeno soggettiva e psichica (coscienza) ed a volte anche oggettiva (Legge).


Tornando ai due tipi di giochi, l’elemento più importante che li accomuna è proprio l’assenza di peso psicologico nei confronti dei tabù infranti che, non portando alcuna forma di pena reale, possono essere infranti senza alcuna remora. Ci si deve a questo punto porre una domanda: giocare abitualmente a questo tipo di giochi provoca qualche conseguenza importante in questo ambito? Se sì, qual è la conseguenza di tutto ciò? Tuttavia, per comprendere eventuali conseguenze, si deve individuale la differenza fra i GdR e VW, poiché differenti forme provocano differenti conseguenze.


I giochi di ruolo sono giochi narrativi in cui i giocatori assumono personaggi diversi da se stessi e li interpretano, creando una storia insieme all’arbitro del gioco detto "master" o “ludimagister”. Il gioco nel suo complesso crea una sorta di mondo ipotetico frutto della fantasia. Il mondo esiste fintanto che i giocatori lo immaginano, ed è unicamente frutto dell’energia psichica spesa in questo procedimento: esso non può sussistere se i giocatori si distaccano e smettono di giocare. In tale mondo possono avvenire tutte le cose più normali come quelle più impensabili o impossibili. Questo mondo fantastico non è però totalmente arbitrario: esso è regolato da un codice di norme (regole del gioco). In pratica si può immaginare che un gioco di ruolo nasce non appena un creatore (narratore, l’arbitro) accetta di perdere il suo totale ed arbitrario potere su una storia e decide di sottoporre se stesso e tutti i giocatori ad una legge del gioco, un regolamento. Le regole del gioco condizionano l’andamento della storia narrata. Le scelte o intenzioni dei giocatori si devono confrontare con le regole le quali stabiliscono le probabilità che una certa azione sia effettivamente compiuta oppure risulti solo un tentativo fallito. Quindi si può dire che i GdR sono sistemi di gioco narrativo regolati da un sistema di norme. Tuttavia, se è vero che i GdR sono regolati da un codice di norme, è parimenti vero che essi sono aperti, cioè c'è un arbitro del gioco che presiede alla narrazione. Si definisce chiuso un sistema le cui regole non permettono di compiere scelte che esulano dalle regole stesse. Un esempio di tale sistema è il gioco degli scacchi: si possono fare molte mosse, ma non si può esulare dalle mosse consentite. Pertanto un pedone non potrà mai muovere indietro, fintanto che si accettano le regole internazionali del gioco. Si definisce aperto un sistema che prevede la possibilità di compiere scelte che esulano dal sistema stesso senza che con ciò sia infranto il sistema.


Di questo ultimo tipo sono i GdR poiché sono giochi narrativi e l’immaginazione dei giocatori è illimitata, la fantasia può giungere a ogni tipo di situazione (come nelle favole) sebbene alcune situazioni siano regolate. Quando si incappa proprio in tali situazioni regolate bisogna seguire le prescrizioni imposte dal sistema. Fin tanto che i giocatori agiscono secondo le possibilità offerte dal sistema di regole, essi rimangono all’interno di esso. Quando però inventano soluzioni narrative che esulano dal corpus di regole precostituito, il gioco si accende di un’emozione diversa, l’arbitro è costretto ad inventare e immaginare le conseguenze pur rispettando la coerenza con il tutto. Ciò significa che non sono solo le regole a gestire la narrazione ma che in ultimo appello è sempre un individuo umano che stabilisce ciò che accade poiché ha accettato le regole. In ogni caso i giocatori possono sempre riuscire a creare una storia che va al di là delle regole precostituite e ciò non infrange il sistema. Ciò è possibile solo grazie al fatto che, al di sopra delle regole stesse, vi sia un individuo dotato di intelligenza e immaginazione che, pur rispettando le regole, in mancanza di esse può dare senso e coerenza alla storia. L'arbitro, che presiede il gioco durante una partita di GdR, è un essere umano, un individuo dotato di fantasia e creatività, è infinito.


Pertanto la sostanza di un GdR è che si crea una storia dalle potenzialità illimitate, i giocatori si impegnano anche a creare il proprio mondo se pur sono immersi in un mondo che ha già alcune regole. Ne deriva che, giocando ad un GdR, in parte i giocatori imparano a rispettare delle regole già poste, e tuttavia imparano anche ad affrontare il già dato come qualcosa di modificabile dalla fantasia, qualcosa di non definitivo ma superabile. Se non vi fosse l’arbitro, ossia un individuo reale, le regole sarebbero però insuperabili. Perciò si può comprendere in che modo i GdR stimolino la fantasia: posti di fronte al limite sistematico imposto dal regolamento, essi sono continuamente chiamati, per procedere nella narrazione, a trovare nuove soluzioni che li liberino dalla rete di regole, poiché hanno la consapevolezza che nel momento in cui riescono a superarle, c’è comunque un principio ordinatore della storia (la fantasia dell’arbitro) che garantisca una coerenza. Senza tale principio non vi sarebbe sviluppo della fantasia. La fantasia si sviluppa proprio grazie alla continua interazione fra ciò che è razionalmente dato e precostituito e ciò che invece è accidentale, è immaginato, come ben illustra il grande scrittore J.R.R.Tolkien nel suo saggio Albero e Foglia. [2]


Seguendo questa traccia dello sviluppo della fantasia è interessante citare una ricerca di psicologia intrapresa dai coniugi Singer, che mostra come il gioco di fantasia, in tempi lunghi, produce un marcato sviluppo delle attitudini sociali rinforzando il legame del soggetto con la realtà: infatti si impara a padroneggiare la propria facoltà di uscire dalla realtà per poi dovervi fare ritorno[3]. Il risultato della ricerca dimostra scientificamente che in un soggetto di qualsiasi età la pratica costante del gioco di fantasia si accompagna sempre ad una maggiore stabilità ed equilibrio del carattere, oltre che ad un certa predisposizione psicologica di apertura generale nei confronti del mondo. Pertanto il gioco di fantasia – come pratica personale e sociale – dall’analisi dei dati tratti in diversi  esperimenti scientifici, emerge come un’indispensabile componente per la serenità psichica, ancorché della socialità e della felicità stessa.


Dunque i GdR stimolano la fantasia. Ciò che è ancor più rilevante è che la fantasia è la chiave per la libertà. Infatti è libero chi, ancor prima di agire, ha diverse scelte e non è costretto ad agire in un binario; ma per avere alternative bisogna saper immaginare diverse alternative per mezzo della fantasia, soprattutto alternative non precostituite. A proposito di questo rapporto fra fantasia e libertà, un famoso filosofo scrisse:


“Tuttavia abbastanza abbiam per asserire col consenso de’ migliori filosofi l’esistenza della fantasia nel capo degli uomini; e per riconoscere che spezialmente in essa consiste il commercio dell’anima col corpo; e che l’influsso della medesima fantasia gran parte ha non solamente nelle meditazioni, ma anche nelle azioni umane, e sopra tutto nelle morali. E se è così, ne vien per conseguenza, doversi tenere per cosa di non lieve importanza lo studiarsi per quanto si può, di scoprire ciò che essa sia, ciò che possa, e ciò che più spesso operi la nostra fantasia in utile o danno non men della repubblica che delle private persone.”[4]


Emerge quanto sia importante la fantasia per la vita di ciascuno di noi: essa ha gran parte nelle azioni morali (principale tipo di azioni in cui si esercita la nostra libertà) poiché è necessaria a formulare molte diverse ipotesi d’azione da vagliare per scegliere quell’unica che diverrà l’azione vera e propria.


Passando ai cosiddetti VW e ai “giochi di ruolo al computer” (che sarebbe meglio definire pseudo-giochi di ruolo) di cui "Second Life" è l’egregio esponente di un nutrito gruppo (di cui fa parte ad esempio anche il famoso World of Warcraft), ebbene si deve subito dire che anche qui ci si cala nei panni di un “personaggio” che vive in un mondo fittizio ma, come si vedrà, essi sono una versione ingannevole dei veri GdR, sono cioè degli involucri da cui è stata eliminata la sostanza. La principale differenza fra i GdR ed i VW è proprio questa: il sistema informatico che presiede allo svolgimento degli eventi nel gioco digitale, per quanto possa essere evoluto e ricco di possibilità, non è umano, non è infinito. Esso è un sistema chiuso, cioè non si possono operare scelte che esulino dal sistema. Il sistema è frutto dell’invenzione di alcuni uomini ma, in quanto macchina, è limitato. Pertanto mai e poi mai un giocatore che si diletti a passare il suo tempo immerso in quel mondo fittizio riuscirà a vincere il sistema di regole ed a sollevarsi al di sopra di esso, ad uscirne. Il giocatore rimarrà sempre chiuso all’interno del pacchetto di opzioni offerte dal sistema. Di questo, tra l’altro, il giocatore è, più o meno, consapevole già dall’inizio e perciò il gioco non esercita su di lui nessuna spinta a sviluppare la fantasia. Non c’è infatti nessuna tensione fra un polo razionale ed uno immaginifico: qui non c’è spazio per la vera immaginazione. Infatti, un sistema informatico è limitato, non è umano, dunque non può offrire possibilità alcuna di sviluppare ed esercitare l’immaginazione produttiva di novità, può solo dare la possibilità di muoversi all'interno di scelte precostituite.


Per venire all’effetto del gioco su un giocatore abituale, è chiaro che esso dipenderà in larga parte da questa caratteristica di chiusura. Pian piano, il giocatore abituale si adatta all’idea di poter agire solo all’interno di una rete di possibilità limitate e soprattutto si abitua lentamente a pensare che solo così può essere, che questa è la condizione normale dell’essere umano. Sistematicamente mortificato, emerge sempre meno, a livello di coscienza, il suo istinto creativo che lo dovrebbe spingere ad agire non solo all’interno delle regole ma anche sopra di esse, come individuo veramente libero, attivo e non solo passivo. L’idea di poter modificare le strutture pian piano avvizzisce e rimane solo l’idea di poter usufruire di strutture create da altri. Ciò, lentamente, viene trasposto anche sul piano della vita reale. Così infine ci si abitua a non essere liberi di creare il proprio mondo individuale o le proprie istituzioni (mondo collettivo). In pratica, la differenza fondamentale fra GdR e VW è che i primi spingono a sviluppare la fantasia mentre i secondi la addormentano, la inaridiscono, infine la spengono. Quanto a questo, i GdR e VW, sebbene apparentemente simili, sono in realtà nettamente contrapposti. Chi gioca abitudinariamente ai VW non solo, come è ovvio, perde il suo tempo e si aliena dal mondo reale, ma soprattutto offre sul piatto d’argento la cosa più preziosa che ha: la fantasia. Essa langue lentamente ed avvizzisce, poiché essa, come ogni facoltà umana deve essere esercitata e stimolata.


Dunque: cui prodest Second Life? A chi giova? Se agendo in un ambiente virtuale di questo genere ci si abitua ad essere incanalati in sistemi precostituiti che non possono essere alterati ma solo usati, essi sicuramente giovano molto a chi vuole dominare il genere umano e non vuole fastidiosi interventi da parte di esseri dotati di capacità creativa e di capacità di alterare le strutture. Tale gioco in pratica è funzionale, utilissimo, a chi crea le strutture e non vuole che altri osino voler creare strutture diverse. Quindi, Second Life (et similia) non è solo un fenomeno strano o che semplicemente indica un degrado della civiltà che si aliena, ma è soprattutto un valido strumento per il controllo delle masse, un’ottima arma per devastare il nemico delle dittature: la fantasia, presupposto della libertà.


Infine, per concludere, adesso si può anche rispondere alla domanda posta all’inizio: giocare abitualmente a questo tipo di giochi provoca qualche conseguenza importante nell’ambito del problema dell’infrazione dei tabù? Se sì, qual è la conseguenza di tutto ciò?


I GdR, se da un lato permettono l’infrazione leggera dei tabù, offrono dall’altro lato una spinta per lo sviluppo della fantasia che compensa largamente il rischio, offrendo un vantaggio notevole e di grande importanza poiché, s’è detto, la fantasia sviluppata garantisce maggiore stabilità ed equilibrio del carattere. Inoltre l’infrazione dei tabù che avviene in un GdR non è duratura: infatti, come s’era detto, i GdR creano mondi fittizi che sussistono grazie all’energia psichica dei giocatori e che scompaiono quando i giocatori smettono di immaginare e giocare.


I VW invece, se da un lato permettono un’infrazione dei tabù, dall’altro non offrono alcun sviluppo della fantasia anzi, come s’è detto, la annientano lentamente. Inoltre, rispetto ai GdR, permettono un’infrazione molto più verosimile. Un VW sussiste grazie all’energia elettrica ed ai chip dei computer: ciò garantisce che ciascuna scelta operata da un alter ego abbia conseguenze durature che si conservano e si propagano all’interno del sistema. In pratica ogni infrazione del tabù crea un effetto nel sistema che viene conservato (anche se i giocatori non sono collegati) dando un effetto apparentemente “oggettivo”, molto più realistico. Nei VW l’infrazione permane nella memoria del sistema e il desiderio trova un aggancio con una notevole consistenza poiché altri giocatori sconteranno o si incontreranno con gli effetti della scelta: anche nella vita reale infrangere un tabù significa effettuare una scelta che si propaga nello spazio e nel tempo e rimane come una traccia indelebile nella storia. Proprio questo è ciò che conferisce all’infrazione il suo fascino. Ecco che, a proposito di VW, emerge una differenza fondamentale con i GdR ed inoltre una similitudine pericolosa con la vita reale. Nel GdR ogni infrazione viene a scomparire non appena il gioco termina e quindi anche il desiderio distruttivo trova qui poca soddisfazione e non diventa mai una dinamica fondamentale del gioco, tranne in alcuni gruppi di giocatori deviati, che rappresentano un eccezione rispetto alla norma. Invece tutti i VW consentono un’apparente oggettività dell’infrazione (che quindi conserva un forte fascino) che permane e così diventa una dinamica fondamentale del gioco. Solo che nella vita reale ogni infrazione è legata ad una pena, mentre ad un giocatore di un VW ciò non avviene.


Pertanto si può dire che l’effetto prolungato di giocare a tali VW è che si perde l’abitudine ad aspettarsi delle conseguenze (psichiche o oggettive) dell’infrazione di un tabù, cioè si acquisisce l’idea deformata di una realtà in cui non esiste il prezzo dell’errore, in cui l’immoralità non si paga, in sostanza si diventa insensibili alle sofferenze dovute all’infrazione dei tabù. L’effetto prolungato di tale giochi è, in sintesi, il distacco della coscienza dalle conseguenze dell’azione, cioè la tendenza ad infrangere tutti i tabù senza prima porsi il problema della conseguenza e del dolore, in altre parole ancora l’incapacità di discernere il bene dal male. Infatti è la pena che rende il male, male. Ed è la consapevolezza della possibile pena che ci trattiene, prima, dal compiere il male.


Anche questo sembra - casualmente? - un elemento di grande valore per chi desidera individui facilmente manipolabili e incapaci di discernere fra azioni buone e cattive, fra il bene ed il male. Anche questo sembra funzionale a chi desidera comandare le masse senza problemi e resistenze dovute a strani e fastidiosi sensi di colpa nei confronti di comandi immorali o leggi inique. Ecco che l’elite dominante, con i VW, ha messo a segno un colpo da maestro, due piccioni con una fava: avvizzire la fantasia presupposto della libertà e rendere insensibili ai tabù. 


Dunque? Uccidere è un tabù. Rubare è un tabù. Vendere bambini è un tabù. Ammazzare il proprio padre e congiungersi con la propria madre è il tabù dei tabù. Non dovrebbe meravigliarci se le prossime generazioni, nutritesi alla luce degli schermi digitali di Second Life (et similia), faranno tutte queste cose con allegra spensieratezza. Tra parentesi: non siamo noi i padri delle prossime generazioni?  

(Articolo già pubblicato dall'autore su "Tangram" - rivista di culutra ludica)


[1] Ad esempio Freud definisce il tabù come: “Comportamento ambivalente dell’individuo verso un certo oggetto, anzi verso una certa azione che lo riguarda.” L’ambivalenza è data dall’antitesi tra il desiderio irrefrenabile di eseguire l’azione e al tempo stesso dal senso di orrore verso l’azione stessa. Il risultato del tabù è il blocco dell’azione – desiderio.

[2] “Una cosa (o aspetto) è la capacità mentale di plasmare immagini, che dovrebbe essere appropriatamente chiamata immaginazione. La percezione dell’immagine, la comprensione delle sue implicazioni e il controllo che sono necessari ai fini di una valida espressione, possono variare per pregnanza e forza; ma è una semplice differenza di grado dell’Immaginazione, non una differenza di specie. L’attuazione dell’espressione che conferisce e sembra conferire “l’intima consistenza della realtà”, è infatti una cosa o un aspetto diverso, che merita un altro nome: Arte, cioè il legame operativo tra Immaginazione e risultato finale, vale a dire la Subcreazione. Per gli scopi che qui mi riprometto, ho bisogno di una parola capace di designare sia l’arte subcreativa in sé, sia una caratteristica di stranezza e meraviglia dell’Espressione, derivata dall’Immagine: una qualità essenziale della fiaba. Mi propongo pertanto di arrogarmi i poteri di Hupty-Dumpy, e di servirmi a tale scopo della Fantasia: per l’esattezza, in un’accezione tale da combinare il suo antico e superiore impiego come un equivalente dell’Immaginazione come le nozioni secondarie di “irrealtà” (vale a dire estraniazione dal Mondo Primario), di libertà dal dominio del “fatto” osservato, insomma con il fantastico. [..]La Fantasia è una naturale attività umana, la quale certamente non distrugge e neppure reca offesa alla Ragione; né smussa l’appetito per la verità scientifica, di cui non ottunde la percezione. Al contrario: più acuta e chiara è la ragione, migliori fantasie produrrà.” Da: J.R.R.Tolkien, Albero e Foglia, 4.

[3] Cfr. D.G. Singer e J.L. Singer, Nel regno del possibile, Firenze, Giunti, 1995.

[4] L.A.Muratori, Della forza della fantasia umana,  Giunti, Firenze, 1995, p. 34.