Sherlock Q System: il giallo classico in un mazzo di carte

Come un gioco di carte basato sulla deduzione secondo i canoni del giallo alla Conan Doyle è capace di farci sentire i nipotini del famoso inquilino del 221B di Baker Street

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Avvertenza: l’articolo contiene degli spoiler relativi ai casi Duello all’alba e 13 ostaggi della serie Sherlock Q System edita da MS Edizioni.

Le regole del giallo classico

Il giallo classico è il giallo classico. Gli anglofoni – che non hanno avuto, per ovvi motivi, le edizioni storiche del Giallo Mondadori – lo chiamano in modo diverso: crime fiction, detective story, whodunit. Ma il sugo è sempre lo stesso: un crimine, una soluzione. Non solo: una soluzione logicamente inferibile a partire dagli elementi dati. Lo stesso termine inglese whodunit è un who done it? [chi lo ha commesso?] contratto. Dal civico della Rue Morgue di Poe passando per le anguste stanze chiuse dall’interno di Van Dine si è delineato un genere caro ai lettori, con stilemi e prassi da rispettare rigorosamente. Queste regole e regolucce scorrevano nel vademecum collettivo celato dietro le penne degli Agatha Christie e degli Arthur Conan Doyle, per poi arrivare a dei distillati teorici e dei veri e propri decaloghi. Da Simenon a Sciascia, da Van Dine a Knox, un’univoca e compatta linea gotica salmodiava: non devono esserci interventi soprannaturali, il colpevole deve comparire nella storia, l’investigatore non può essere il colpevole, il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero (questa la prima, famosissima, regola di Van Dine), il colpevole deve essere scoperto attraverso logiche deduzioni, et cetera et cetera et cetera... Ma una regola comune, talmente trita e scontata da non dover neanche essere esplicitata, è: il narratore non deve mentire.

Ora, esistono grossomodo due tipi di narratori: infradiegetico ed extradiegetico. Quello infradiegetico è quello interno alla narrazione, ne fa parte, è un personaggio. Nel giallo classico è l’investigatore, l’ispettore o Miss Marple. Deve riportare fedelmente tutto e non deve bluffare, poiché deve essere a conoscenza degli stessi fatti del lettore – in un patto di mutua trasparenza – e, prima regola, non deve essere lui il colpevole (dimenticatevi gli Spacey-Kaiser Söze del caso). Quello extradiegetico, invece, è esterno all’azione, è totalmente altro dai fatti ed è, detto misticamente: divino. È il narratore onnisciente: conosce tutto, riporta i fatti come li riporterebbe un chimico da laboratorio e, ovviamente, non bluffa neanche lui. In questo caso, se bluffasse e presentasse delle incongruenze, a farne i conti sarebbe addirittura la realtà stessa poiché lui, acriticamente, è la realtà che trascrive.

Sia chiaro, un giallo deduttivo classico – qualunque forma abbia (sceneggiato televisivo, romanzo, gioco da tavolo) non è un fascicoletto di parole crociate facilitate, un “unisci i puntini”, un gioco a difficoltà zero e senza intoppi. Ogni giallo che si rispetti è colmo di depistaggi e inganni – volutamente piazzati dall’Autore – per incrementare il brivido della sfida. Dall’aringa rossa (un finto indizio machiavellicamente presentato come rivelatore) al MacGuffin (l’enigmatico perno dell’azione, tanto essenziale quanto ininfluente), gli indizi fuorvianti che non portano da nessuna parte sono il sale e il pepe della investigazione; sia per il caro investigatore, sia per il caro Lettore. Sarebbe ridicolo, insensato e noioso un giallo “già apparecchiato”, risolvibile senza sforzi, come in quella famosa pièce teatrale di Achille Campanile dove l’investigatore chiede a gran voce “Mi scusi assassino, una informazione...” e uno dei presenti risponde “Sì? Mi dica pure” e i poliziotti lo trascinano via in commissariato.

Proprio per questa sua natura di percorso ad ostacoli, il giallo classico sfida le nostre convenzioni, le nostre convinzioni e i nostri bias. Con il termine bias si intende un pregiudizio in cui cadiamo quasi involontariamente e naturalmente, perché evitiamo di pensare in una certa maniera, evitiamo di considerare una certa pista che riteniamo – sbagliando – illogica e falsa o, perlomeno, poco probabile. In un classico esempio di studio – chiamato “il problema di Linda” – ci vengono presentate le biografie di determinati soggetti. Dopodiché, ci vengono poste delle domande a cui dobbiamo rispondere. Se ci viene detto che una Tizio è un attivista sociale, non pensiamo che lavori in banca; se ci viene detto che Caio è un ritardatario cronico, non pensiamo ad un ingegnere, e via così. Per nostri pregiudizi riteniamo veritiere solo certe piste, mentre ne escludiamo altre – altrettanto probabili – in base ad un presunto ragionamento razionale, che razionale non è.

Ora, se è vero che in queste trappole mentali ci cadiamo noi, figuriamoci l’investigatore/personaggio della storia. Hanno fatto storia e letteratura i celebri errori di celebri detective, basti solo pensare ad una autentica summa del genere, e cioè Il mastino dei Baskerville di Arthur Conan Doyle. Qui, tra finte barbe nere e pittoreschi cani fluorescenti, notiamo tutte le trappole piazzate dall’autore e dagli attori della scena narrativa, per rendere la quadruplice sfida Sherlock Holmes vs Mistero vs Autore vs Lettore sempre più interessante e stimolante.

Se una persona si appassiona alla risoluzione dei gialli deduttivi, sino a diventarne un quasi-esperto, ecco che l’appassionato affronta due fasi ben distinte: nella prima, una fase pressoché ingenua e adolescenziale della investigazione, trasporta l’intreccio misterioso nella realtà, lo cala nella storia, e vi ragiona come se congetturasse a proposito di un evento di cronaca non solo verosimile, ma anche vero. Siamo ad un livello zero di riflessione. Sospetta del più sospettoso, percorre la pista più verosimile, non sfida il probabile, ma lo afferma con forza e decisione. In una seconda fase, invece, si ha una dinamica di meta-indagine. L’oramai-appassionato tenta di sciogliere l’intreccio non più ragionandoci sopra come se fosse successo nella realtà, ma mettendosi dal punto di vista dell’Autore del giallo – l’Autore che riempie il tessuto narrativo di inghippi e false piste – dubitando del probabile, mettendo sotto scacco il certo ed il sicuro. Incomincia a ragionare non dal punto di vista della mondanità della realtà, con i suoi accadimenti stereotipati e ovvi, ma chiedendosi invece come ragiona uno scrittore nell’atto stesso in cui crea e scrive, e non più come se si trovasse davanti ad un caso letto nelle cronache locali. Cercando – prassi tipica degli avvezzi e dei solutori più che abili– di scartare la “soluzione più probabile”, poiché “no, non può essere così perché è troppo ovvio”. Se in un film uno dei personaggi uscisse trafelato dal luogo del delitto tutto sporco di sangue, l’affermato solutore tende ad escludere immediatamente il personaggio dalla rosa degli indagati. Mentre nella realtà, se si verificasse una simile scena, beh... In questo scientifico programma di progressiva esclusione del Tizio che avrebbe sicuramente intascato l’eredità, del socio in affari licenziato e vendicativo, del personaggio con l’alibi più ferreo ecc..., ecco che il nostro è pronto a trovare il vero colpevole, nonostante tutti i depistaggi, per far trionfare la Verità e – soprattutto – le sue sublimi capacità deduttive.

La declinazione delle regole nel gioco

Duello all'Alba
Se questo è sufficientemente chiaro, veniamo ora a Sherlock Q System. Che cos’è? Per gli aficionados ed i gamers: è un Sherlock Holmes Consulting Detective liofilizzato, un librogame a carte, un deduttivo con communication limit cooperativo. Bene. Per gli altri: hai un mazzo di carte, le giochi o le scarti, ti confronti con i tuoi compagni di gioco e, una volta che hai esaurito il mazzo, ti ritrovi il tavolo pieno di carte con testi e immagini che ti raccontano una storia e un mistero che tu, in base ai dati che hai, devi risolvere. Tutto qui.

Il narratore è onnisciente, anche se a farla da padrone solo le testimonianze dirette e i documenti dei personaggi (che, se ufficiali – come in casi di verbali della polizia o evidenze della scientifica – assurgono alla funzione di narratore onnisciente e incontestabile).

Due esempi

ATTENZIONE: nei prossimi paragrafi si farà riferimento a due casi specifici, con annesso rischio spoiler

Tiriamo le somme

Concluderei questa analisi con la dovuta tracotanza che mi contraddistingue, e cioè mi piacerebbe aggiungere una nuova legge ai decaloghi citati sopra, una legge tutta nuova, pensata appositamente per i creatori di giochi da tavolo deduttivi con testi e immagini. Dice così: è perfettamente legittimo depistare il solutore, poiché il divertimento sta tutto lì, ma fate sempre attenzione a come conducete il depistaggio, perché per colpa di un vostro errore c’è anche chi potrebbe sbagliare clamorosamente, per poi fare una brutta figura con i propri amici ed essere costretto a scrivere un articolo su La tana dei Goblin per dimostrare di aver sbagliato in buona fede.

Commenti

Complimenti per l'articolo, me lo sono letto con molto piacere ?

Grazie mille! E grazie alla Tana per l'ospitalità!

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