Saranno Goblin: Piratatak e Diamoniak

I giochi hanno un genere?

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La Djeco è una casa editrice francese che, di recente, ha colonizzato supermercati e negozi specializzati con una quantità impressionante di giochi, in gran parte di carte e simili tra loro, di buona fattura produttiva e media qualità nelle meccaniche. Alcuni di essi, come il famoso Piou Piou (Chapeau, 2009) o il più recente Twisty (Boughida, 2018), risultano filler per bambini in grado di introdurre al mondo del gioco da tavolo, sviluppando di tanto in tanto particolari abilità cognitive.

In questo articolo vedremo due giochi che, pur richiamandosi nelle meccaniche e nelle dinamiche, sviluppano estetiche dichiaratamente diverse: Piratatak (Kirszbaum, 2008) e il successivo Diamoniak (Kirszbaum e Sanders, 2009).

Target

Sulla scatola è presente la dicitura 5-99 anni, ma ritengo sia possibile giocarlo, sotto supervisione di un adulto, a partire dai 3 anni. Per giocarci in reale autonomia bisogna invece aspettare l’età scolare: le meccaniche semplici e l’ampio fattore di alea permettono l’interazione tra bambini dotati di significative differenze nelle abilità sociali e cognitive.

Materiali

In generale, i materiali sono di fattura robusta, ma dotati di illustrazioni di scarsa qualità, sebbene efficaci per l’età del target al quale si rivolgono. Il gioco, come molti altri della stessa linea Djeco, si presenta come un mazzo di carte contenute in un’agevole scatola a cassetto, che lo rende trasportabile e comodo da utilizzare.

Regolamento

Il regolamento viene proposto sotto forma di una singola carta da gioco ed è presente in varie lingue. Sebbene le meccaniche siano semplicissime, la lettura del regolamento non risulta del tutto scorrevole e, alcuni aspetti variano di lingua in lingua: orientativamente, data la provenienza della casa editrice, considero quello in francese il regolamento di riferimento.

Meccaniche

Le meccaniche dei due giochi hanno il pregio dell’immediatezza e sono identiche, pertanto basterà esporre quelle di Piratatak. L’obiettivo è costruire la nave del proprio colore, che si compone di 6 parti, ognuna illustrata in una carta diversa. Per riuscirci, il giocatore di turno pesca una carta dal mazzo centrale e la piazza nella propria area di gioco oppure ne risolve l’effetto (figura 3), dopodiché può scegliere se continuare a pescare carte oppure fermarsi e passare. In questo passaggio vi è una minima (davvero minima!) componente tattica legata alla valutazione del rischio di pescare una carta con effetto negativo. Oltre ad avere la fortuna di pescare le carte raffiguranti i pezzi di nave del proprio colore, il giocatore può acquisire i pezzi della propria nave dagli avversari, pagandoli tramite le carte moneta d’oro. Oltre ai pezzi di nave e alle monete d’oro, vi sono anche le carte pirata, che, se pescate, obbligano a scartare 3 carte tra quelle possedute (monete d’oro e/o pezzi di nave), terminando il turno del giocatore. Dai pirati, invece, ci si può difendere scartando la carta cannone (quarto e ultimo tipo di carta presente nel gioco).

Dinamiche

Le dinamiche sono semplici e adatte al target: la partita dura in media 10-15 minuti e richiede uno sforzo cognitivo minimo, producendo ilarità o frustrazione nei giocatori più piccoli. Per prevenire la frustrazione è necessario inserire delle house rules che mitighino ila variabile fortuna oppure, nel caso in cui tra i giocatori vi sia un adulto, è auspicabile che questi adotti strategie più rischiose oppure imbrogli per favorire il bambino. Si tratta delle tipiche soluzioni necessarie a correggere un difetto di design che sovente risulta presente nei giochi per bambini (e del quale ci occuperemo in un futuro articolo), derivante dal cattivo bilanciamento della proporzione tra strategia e fortuna.

Aspetto estetico

Per quanto riguarda l'aspetto estetico, i due giochi si differenziano in modo netto, per cui Piratatak rimanda a un’ambientazione piratesca, mentre Diamoniak evoca uno scenario fiabesco di castelli e fate. L’aspetto dei materiali lega indissolubilmente i due giochi a un’identità di genere: soprattutto nel caso di Diamoniak, la scelta dei colori (il rosa è dominante) rimanda a un immaginario femminile. Persino nel regolamento si fa riferimento a “giocatrici” anziché a “giocatori”. Al di là della condivisibilità o meno di questa associazione femmine-rosa-fate e maschi-azzurro-pirati, la questione risulta importante e merita una riflessione a parte.

I giochi hanno un genere?

Quando si sceglie un gioco per un bambino o una bambina, ci si ritrova inevitabilmente invischiati in una scelta morale: prendo un gioco che si connoti attraverso il genere sessuale oppure che rimanga, da questo punto di vista, neutrale?

La questione è meno banale di quanto non sembri. I giochi e i giocattoli, infatti, si legano in vari modi all’identità individuale: la finzione ludica viene sviluppata sin dai primi mesi di vita per sfuggire alle frustrazioni imposte dalla relazione con la realtà e per esplorare le possibilità in un ambiente reso sicuro dalle cure parentali. Sia la finzione che l’esplorazione avvengono sia sul piano motorio che su quello sociale, permettendo di costruire la propria identità, ma anche di trasgredirvi: il bambino (ma anche l’adulto) nel gioco di ruolo, sa di non essere un barbaro vichingo e, proprio per questo, finge di esserlo. L’identità fittizia del gioco può rispecchiare desideri e paure, in modo del tutto catartico, ma anche contribuire alla costruzione dell’identità reale del giocatore, operando in modo mimetico.

Avendo questo in mente, come può porsi l’adulto nei confronti della scelta di giochi e giocattoli in relazione all’identità di genere dei bambini?

Di fatto, si hanno varie opzioni: la maggior parte delle persone indirizza il gioco entro i canoni tradizionali dell’identità di genere, invogliando i maschi a fare giochi da maschi e le femmine a fare giochi da femmine. Una minoranza di adulti, a dire il vero sempre più folta, tende a mettere in discussione questo modello, aprendosi ad approcci diversi.

Da una parte, l’adulto può suggerire al bambino giochi neutrali dal punto di vista del genere sessuale, ad esempio titoli che non rappresentano in alcun modo l’identità del giocatore all’interno del gioco, come Il labirinto magico (Ravensburger). Dall’altra, è possibile lasciare al bambino la facoltà di scegliere liberamente i propri giochi, oppure invogliarlo a esplorare identità anche molto diverse dalla propria senza che abbia precedentemente espresso il desiderio autonomo di farlo.

In generale, vorrei tranquillizzare i genitori a cui sorge il timore di instradare eccessivamente il bambino verso una o l’altra identità di genere (che, bisogna specificarlo, è in ogni caso un aspetto ben diverso dall’orientamento sessuale, così come questi non coincide con il sesso biologico di appartenenza): le ricerche più recenti, che conosco in quanto ricercatore di game studies e docente di game design per l’Università di Torino, mostrano che la libera sperimentazione identitaria entro i confini del gioco influenza l’identità reale delle persone in età di sviluppo solo nella misura in cui offre la possibilità di comprendere le dinamiche interne della propria identità reale e soprattutto di quelle altrui. Tradotto: un maschio che gioca con le bambole non per questo si sentirà internamente femmina, ma di certo avrà la possibilità di comprendere meglio l’identità femminile – il che è ovviamente un vantaggio anche nella prospettiva di un’identità maschile tradizionale.

In conclusione

Piratatak e Diamoniak sono due semplici e brevi giochi di carte per bambini dai 4 agli 8 anni, con alta fruibilità e con meccaniche rodate. Non stimolano particolari facoltà cognitive o competenze sociali, ma funzionano efficacemente come gateway introduttivi al mondo del gioco da tavolo. Risultano, inoltre, facilmente reperibili e conoscerne il funzionamento rende accessibile la partecipazione a un gioco probabilmente circolante nelle case di bambini in quella fascia d’età. Ho tuttavia scelto di recensire questi due giochi principalmente per un altro aspetto, ossia per il fatto che condividano sì meccaniche identiche, ma si rivolgano esplicitamente a target diversi, basati sul genere di appartenenza. Nel corso della seconda parte dell’articolo ho quindi sviluppato una riflessione, sperando di stimolare una discussione sul tema.

Commenti

Grazie per gli spunti di riflessione che offre questo articolo perchè credo ce ne sia davvero bisogno.

La domanda che evidenzi in grassetto, "prendo un gioco che si connoti attraverso il genere sessuale oppure che rimanga, da questo punto di vista, neutrale?, e che un adulto, si pone prima di scegliere un gioco è, a mio avviso, assolutamente inutile. La domanda dovrebbe essere: conoscendo il bambino/a a cui devo fare il regalo, cosa penso che potrebbe piacergli? Cosa è affine ai suoi interessi? Con cosa gioca quotidianamente con piacere? (Se non lo conosco direttamente posso sempre chiedere ai genitori!)

Il gioco non ha genere. I bambini non hanno preconcetti, gli adulti sì...e sbagliano forte!

Per anni chiesi nelle letterine di Babbo Natale le micromaschines, le mini figures del wrestling, robottoni...beh..non mi arrivarono mai perchè erano "cose da maschi". Oltretutto, confermo che la mia passione per giochi che nell'immaginario collettivo, appartengono solo al mondo maschile, non ha davvero nessun legame con la sessualità. Anche questo secondo me è frutto di preconcetti culturali sbagliati. 

Sarebbe bene abbattere queste barriere lasciando scegliere ai bambini, in modo del tutto spontaneo, cosa vogliono e con cosa vogliono giocare. Perchè assicuro che il rischio è quello di avere bambini insoddisfatti che si trovano a giocare con giochi che non vogliono (nel mio caso le barbie..che incubo) ma che si sentono costretti a farlo perchè "se ti vedono giocare con.." (nel mio caso le macchinine) "la gente cosa pensa", "verrai preso in giro" (frasi tristissime, che diventano pugnalate silenziose).

Spero che questa testimonianza sia utile per capire che, ignorare totalmente gli interessi di un bambino/a, non regalandogli quello che vorrebbe solo perchè non è ritenuto opportuno per il suo genere, è per quel bambino molto più frustrante! Un bambino non pensa mai a cosa pensano di lui sinché un adulto non glielo fa notare o non viene preso in giro da altri bambini che, evidentemente, sono stati educati a queste distinzioni forzate (un bambino non s'inventa da solo questi concetti, li sente in casa e li apprende!).

Bisognerebbe insegnare ai nostri figli a saper azzittire con eleganza chi si permette di giudicarli (magari spiegando loro dove sbagliano!) e di fare sempre a testa altissima tutto quello che a loro piace e li fa stare bene!

Mi permetto un'ultima osservazione: il gioco, secondo me, è sempre inclusivo,  non c'è bisogno di renderlo tale. Per essere aperti mentalmente non è necessario giocare ad un gioco dove ci sono per forza personaggi maschili e femminili, ruoli scritti al maschile e al femminile, perchè chi non ha preconcetti gioca con un elfo, con una detective, con un cane, con un goblin, con una principessa...etc...senza per questo sentirsi violato nella sua identità o offeso perchè in quel gioco non ci sono personaggi del suo genere. 

Mi è capitato di giocare e sentirmi dire "quel personaggio è una femmina, quindi prendilo tu" e io invece volevo il chierico! Perciò, non è detto che ingabbiando in un gioco personaggi che includono generi diversi si abbia per forza l'effetto desiderato di inclusione! Quello dobbiamo averlo dentro!

Da un certo punto di vista è errato anche dire che siccome la scatola e le carte sono rosa allora il target è femminile e viceversa🙂. A mia figlia credo di aver fatto provare ogni tipo di gioco, ma alla fine preferisce giochi canonicamente considerati femminili a quelli "maschili" (mi vengono in mente le macchinine), insomma non bisogna neanche forzare nella direzione opposta chiaramente.

Detto questo le fu regalato anni fa Diamoniak ed è un giochino terribile, tra l'altro ha un regolamento italiano scritto davvero male😅

Articolo interessante e considerazioni validissime.

Lidda scrive:

Grazie per gli spunti di riflessione che offre questo articolo perchè credo ce ne sia davvero bisogno.

[CUT]

Condivido appieno.

Concordo con quanto sopra osservato nei commenti: la cosa migliore per i bambini è che siano loro stessi a scegliere i loro giochi in base a ciò che li appassiona di più.

Aggiungo anche che ogni costrizione oltre che dannosa per loro, è anche inutile. Lo dico perché alcuni genitori/adulti sono convinti di poter influenzare l’identità (personale, di genere, di orientamento sessuale, ecc.) dei propri figli/nipoti/altro essendo ciò di fatto impossibile; se io sono una madre che è stata campionessa olimpica e mia figlia è più incline a passare il tempo sui libri e i giochi da tavolo che ad allenarsi, è inutile che io le imponga di praticare cinquanta sport alla settimana, tanto lei farà tutto malvolentieri continuando a pensare ai suoi amati libri. Così come se sono un padre e mio figlio mi chiede per Natale Barbie sirenetta, è inutile che io gli riempia la camera di macchinine e robot e lo porti allo stadio tutte le domeniche, tanto lui conterà i secondi che lo separano dalla fine della partita a quando sarà di nuovo a casa dove potrà riempirsi gli occhi della collezione di bambole di sua sorella.

In sintesi forse dovremmo chiederci che cosa è più giusto per i bambini, che questi siano conformi alla volontà dei genitori e ai canoni sociali, oppure che siano persone (ora ed in futuro da adulte) serene e felici?

Da padre di una bimba di 3 anni e un bimbo di 7 mesi mi sono spesso posto qualche domanda sulla distinzione di genere nei giochi. In particolare sfogliando i cataloghi natalizi di giochi si nota l'impostazione "sessita" (passatemi il termine): pagine rosa per le bimbe, azzurre o blu per i maschi.
Attualmente mia figlia gioca un po' con tutto, quando riposa dai cugini usa un peluches di un mostro, le piace leggere, "scrivere", colorare, saltare, distruggere, allattare i peluches, fare la maestra con i "suoi bimbi", pulire la casa e cucinare. A seconda dei momenti.

Ricordo però una volta all'asilo nido una maestra chiedere:
"Chi vuole venire in cucinetta a giocare? Amelia, Emma, Beatrice..." Per poi sentirsi dire da Mattia "Cucino io!". Ho apprezzato Mattia ma dentro di me ho criticato la maestra. Perché chiedere prima a tutte le bimbe se volevano cucinare? Non potrebbe farlo un bimbo?

Non apprezzo per nulla questa distinzione rosa-azzurro, cerco di tenere i bambini liberi di giocare come vogliono. Ma questo lo si trasmette non solo con il gioco, che è la loro palestra di vita, ma con la quotidianità. Oggi cucina il papà, domani la mamma, senza compiti necessariamente legati al genere.

Eppure a volte ti scappa una frase tipo "non sono cose da bimba!" e subito ti maledici. Però siamo cresciuti in un mondo rosa-azzurro e un po' questa cosa ce l'abbiamo dentro anche se non lo vogliamo. Sta a noi cercare di limitarla e a riguardo ci tengo a quotare questa parte di commento secondo me fondamentale:

Lidda scrive:

Bisognerebbe insegnare ai nostri figli a saper azzittire con eleganza chi si permette di giudicarli (magari spiegando loro dove sbagliano!) e di fare sempre a testa altissima tutto quello che a loro piace e li fa stare bene!

PS: Comunque Amelia per Natale vuole un drago!

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