Sono le cinque e mezza di sabato pomeriggio; è il 6 aprile, il secondo giorno di Play.
Al Prestito giochi si mettono in coda due ragazzi in cerca di un’esperienza. Vogliono provare Mombasa. Il gioco è disponibile, viene scelto, inserito a sistema, consegnato. Non resta che trovare uno spiegatore. Io lo conosco, sono lì, pronto a donare le mie conoscenze; mi offro... e loro: “L’anno scorso ci hai spiegato Marco Polo così bene che vogliamo solo te!”
L’anno scorso in realtà era due anni fa, perché lo scorso anno è successo che un editore ha avuto il coraggio e la spregiudicatezza di pubblicare un mio gioco. L’anno scorso tutto è cambiato: la mia Play è gravitata intorno al mio pargolo, la mia creatura, il frutto del mio “lavoro, ma i due giorni che ho trascorso a Modena sono stati comunque colmi di soddisfazioni indescrivibili, per il riscontro dei fan, l’idea di firmare qualcosa che non fosse una multa o una cambiale, la consapevolezza di aver creato qualcosa che ha regalato emozioni a qualcuno; ma anche lo sguardo fiero e felice di mia moglie e dei miei amici.
Sono
cose che ti restano dentro, che contribuiscono in maniera sostanziale a quella ineffabile sensazione che dicono chiamarsi felicità. Quella dello scorso anno è stata una grande
Play, per me: non c’è niente da dire.
Se non fosse...
Se non fosse? Se non fosse cosa? Cosa può mancare quando succedono cose così? Eri lì con tua moglie, con il tuo gioco, con le tue soddisfazioni: cosa puoi chiedere di più dalla vita? Cosa ti serve di più? Cosa ti potrà mai essere mancato?
Mancava un colore. Mancava il verde. C’erano tanto bianco, tanto nero e tanto blu; ma non c’era abbastanza verde.
Quest’anno, mi sono detto, voglio più verde. Sia ben chiaro: il bianco, il blu e il nero sono ancora importanti; ma il verde... il verde è il colore della mia famiglia. Così quest’anno ho deciso di dividere il mio tempo fra sporadiche presenze allo stand del mio editore e la marea verde del prestito giochi - e così ho fatto. Probabilmente a discapito del mio editore e delle vendite del mio pargolo, che non ha potuto ricevere l’attenzione che avrebbe meritato.
Quest’anno, però, avevo bisogno di ricaricarmi; avevo bisogno di uscire dalla mia vita quotidiana, fatta di problemi e patemi e immergermi nel caldo abbraccio, figurato e fisico,
della mia marea verde; avevo necessità di chiudere fuori tutto tranne
l’amore e la passione che provo per quello che faccio e per quelli con cui lo condivido; e forse io e il mio gioco avevamo bisogno di una piccola pausa l’uno dall’altro per non finire a non volerci più bene a vicenda: il nostro rapporto ne uscirà più forte, ne sono sicuro.
E così mi sono immerso nella Play con lo stesso spirito dei primi anni: ho comprato pochissimo, giocato pochissimo, girato pochissimo. Ma ho spiegato, spiegato e ancora spiegato. Tantissimo. E ogni spiegazione, ogni annuimento di comprensione, ogni sorriso, ogni battuta, ogni saluto e ogni abbraccio, ogni lacrima hanno riacceso il sole che io sono. Play 2019, per quanto mi riguarda, rasenta la perfezione.
Qualche anno fa pubblicai un post su Facebok in cui cercavo di “spiegare perché spiego”; perché mi diverte di più trascorrere una Play a render felici gli altri, piuttosto che a provare questo e quel gioco o far la coda per questo o quel negozietto; perché l’unica coda che mi piace è quella dei giocatori al Prestito. La conclusione a cui sono giunto è la seguente: essere il frutto di un momento o di un fine settimana di spensieratezza nel delirio della vita di tutti i giorni è grandioso, perché ti fa sentire una stella, un piccolo sole che illumina, scalda e fa fiorire.
La Tana dei Goblin altro non è che una galassia fatta di tanti, piccoli soli verdi, il cui unico scopo è illuminare, anche solo per un po’, la vita di quelli che incontriamo.