Grazie per questa disamina decisamente interessante ed approfondita. Mi ha fatto realizzare perché, se mi fermo all'ambientazione, quasi nessuna delle nuove uscite degli ultimi anni mi ha particolarmente portato a voler provare il gioco.
Questa è la libera traduzione dell'articolo originale scritto dal designer Bruno Faidutti su proprio sito.
Venti anni fa, le ambientazioni più popolari per i giochi da tavolo, per la maggior parte degli autori, me incluso, e delle case editrici, erano prese dalla letteratura e dalla storia. Dalla prima, usavamo il fantasy medievale, la fantascienza e il giallo, dalla seconda le guerre, lo sviluppo economico e la colonizzazione. Queste ambientazioni oggi non sono scomparse ma, sulle scatole dei giochi più recenti in Europa e Stati Uniti, sono sempre più spesso rimpiazzate da temi ispirati non all’uomo ma alla natura - fiori, alberi, animali e simili. Questa tendenza ha almeno dieci anni, ma ultimamente è cresciuta di molto, forse a causa della fine della crisi causata dal Covid. Non ho nulla contro queste nuove ambientazioni ma, sfortunatamente, sono un po’ contro la mia… natura.
Fiori, alberi, uccelli

Wingspan può ancora essere considerato un peso medio, ma Woodcraft, di Ross Arnold e Vladimir Suchy, è un gioco estremamente complesso, indirizzato a giocatori assidui, gli stessi che giocano a gestionali o a giochi di conquiste.
Ci sono stati pochi precursori, come Agricola, di Uwe Rosenberg, pubblicato nel 2007, ma erano delle eccezioni. Quando se ne sentì parlare per la prima volta, alcuni giocatori pensarono addirittura che dovesse essere un gioco di guerra sulle conquiste romane in Gran Bretagna. Uwe Rosenberg continuò a creare giochi sull’agricoltura, ma fu quasi l’unico per diverso tempo, prima che diventasse di moda.
Mi ricordo di aver sentito negli anni ottanta che le copertine 'green' non vendevano, ma oggi sono dappertutto. Ho passato in rassegna il web francese e inglese per cercare un’analisi di questa tendenza naturalistica nei giochi da tavolo, e sono rimasto stupito nel trovare davvero poco, come se la cosa fosse poco interessante od ovvia.

Più che la ricerca di consenso, questa ritirata dei giochi in un mondo naturale più o meno fantastico è probabilmente dovuta al desiderio di cercare rassicurazioni in un mondo moderno sempre peggiore. Tra la pandemia, il ritorno della guerra di trincea in Europa, l’irrazionalità delle politiche statunitensi e il riscaldamento globale sempre più difficile da ignorare, la gente ha diverse ragioni per essere preoccupata. Il mercato dei giochi da tavolo sicuramente non è l’unico a esserne affetto. In letteratura, musica e giochi, i grandi classici, che ci illudono che il mondo non possa cambiare, continuano a vendere, mentre la maggior parte delle novità non riesce a emergere. I miei Citadels e Incan Gold continuano a vendere, mentre i miei giochi più recenti passano inosservati. La natura, l'ambientazione più rassicurante, universale e senza tempo che ci sia, o per lo meno si spera, è un altro modo di cercare un po' di rassicurazione. I giocatori ne sentono il bisogno, gli editori seguono questa richiesta, e per gli autori c'è un po' dell'uno e un po' dell'altra.

Dieci anni fa, su quello che tutt’oggi è il mio post più visitato, 'Postcolonial Catan', prendevo in giro l’immaginario coloniale alla base di Settlers of Catan e altri giochi di sviluppo. Giochi in cui i giocatori raccolgono e accumulano risorse per costruire strutture, che produrranno altre risorse per costruire ulteriori strutture, e così via, sono ancora presenti ma ora hanno un sentore più green, e più volontaristico. Non è più il costruire chiese o colonizzare un nuovo continente, è il coltivare il proprio giardino, anche se questo giardino può risultare alquanto esotico, come potete vedere da giochi come Tang Garden, Ishtar, Llama Land, Kohaku.
Ciò si traduce in qualcosa di più ambizioso, o più pretenzioso, quando i giocatori si cimentano nel piantumare e riparare un pianeta devastato. Ho appena letto il regolamento di Tribes of the Wind, di Joachim Thome, e sono piuttosto certo che il prototipo originale avesse un’ambientazione differente. Probabilmente era qualcosa riguardo nani o villaggi elfici, o forse castelli medievali, prima che la casa editrice cambiasse l’azione in un mondo post-apocalittico dove i giocatori si trovano a costruire strani insediamenti green.
Spiriti della foresta

Storia e natura

Lo stesso vale, anche se in misura minore, per molti giochi di scoperta o esplorazione. Gli esploratori indossano ancora il loro elmetto coloniale, ma sempre meno si trovano ad affrontare selvaggi armati di cerbottane e sempre di più animali selvatici armati di zanne e artigli, quando non spiriti e la loro magia. Se si vive in un mondo in cui la natura sembra una cosa del passato, può risultare paradossalmente rassicurante giocare a un gioco in cui sembra che possa ancora sopraffarci.
Lo zoo di Noè

L’ Arca di Noè è l’unico e solo episodio biblico a essere utilizzato frequentemente come ambientazione per giochi da tavolo. In parte ciò è dovuto al suo essere diventato più una storia per bambini che un dogma religioso, in parte perché creare coppie di animali già suona come un gioco di carte e incastrarli dentro uno spazio limitato già suona già come un gioco da tavolo. Non tutti questi giochi sono indirizzati a bambini. Meccanicamente, raccogliere animali per uno zoo non è molto diverso, e i giochi a tema zoo sono popolari già da certo tempo. Zooloretto, di Micheal Schacht, ha meritato il suo Spiel des Jahres.
Ovviamente c’è una differenza. Chiudere animali nelle gabbie è cattivo, salvarli da una inondazione è buono. Questo è il motivo per cui un gestionale pesante sugli zoo, chiaramente progettato per adulti, è stato chiamato Ark Nova e mascherato molto superficialmente come gioco a tema Arca di Noè, probabilmente dopo un intenso brainstorming alla casa editrice. Il nome suggerisce qualcosa come salvare gli animali dal riscaldamento climatico e dall’aumento del livello del mare, quando in realtà si tratta solo di gestire uno zoo, e, ovviamente, di fare soldi. Allo stesso modo, ci sono ancora giochi in cui la mappa è quella dell’Africa, ma da venti anni a questa parte i giocatori non cacciano più gli animali. Ora non li catturano nemmeno più, li vogliono solo osservare, a volte senza nemmeno osare a fotografarli.
Parlando di Arca di Noè, ho appena visto l’annuncio di un nuovo gioco da tavolo, in una grossa scatola, chiamato The Flood, in cui… ogni giocatore costruisce la propria arca! La casa editrice, decisamente cristiana, cerca di sminuire ciò che probabilmente vede come un quasi cadere nell’eresia, mentre probabilmente avrebbe dovuto fare l’opposto, puntando su questa caratteristica divertente e surrealistica. Mi pento di non averci pensato prima - magari cercherò di fare un gioco in cui ogni giocatore controlla un gruppo di hobbit e cerca di essere il primo a lanciare il proprio Unico Anello nel cratere del Monte Fato.
Vegetarianesimo e tenerezza
Essendo le mie conoscenze in botanica estremamente limitate, non sono in grado di dire quali specie di alberi siano più spesso rappresentati sulle scatole dei giochi, ma dubito che ciò possa rivelare qualcosa che valga la pena commentare. Me la cavo un po’ meglio con gli animali selvatici, e i risultati sono interessanti. Il leone, il re degli animali, compare spesso, ma il cervo, altro animale nobile e fiero, ma erbivoro - stavo per scrivere vegetariano - è probabilmente più frequente, mostrando la volontà di rappresentare una natura pacifica, quasi “depurata”. Il grande protagonista sulle scatole dei giochi è però ovviamente il panda, un vero e proprio animale hipster, simpatico come pochi, e che mangia bambù.
Antropomorfismo
Ci sono anche alcuni panda nei giochi in cui sono rappresentati animali antropomorfi. In questo tipo di giochi i veri protagonisti sono i gatti e le volpi, considerati archetipi di intelligenza e individualità, o al contrario i roditori, più gregari.

Quando c’è un solo animale per specie, spesso con un bel muso coccoloso, questo è lì per portare i giocatori nel mondo delle favole e dei racconti, o semplicemente per riportarli alla loro infanzia, due modi per rassicurarsi in un mondo che un po’ fa paura - anche se ci sarebbe molto da dire contro l’idea un po’ ingenua che i giocatori siano solo “bambini troppo cresciuti”.
Le cose si complicano, e diventano a volte ambigue, quando il gioco coinvolge intere specie animali, spesso in guerra l’una con l’altra. I popoli del fantasy medievale, come nani, elfi, orchi e goblin, così come gli alieni dallo spazio profondo, sono stati spesso utilizzati come mezzo per eliminare, nei giochi di combattimento e conquista, le problematiche legate alla rappresentazione di conflitti tra popoli, etnie o nazioni, portando però paradossalmente sia a un’essenzializzazione sia a un’eufemizzazione di questi. Una consapevolezza molto parziale di questo fenomeno ha portato ad alcuni ridicoli dibattiti sul presunto razzismo in D&D. Il vero problema (se proprio vogliamo chiamarlo tale) però non è tanto il razzismo sugli orchi o sugli elfi oscuri, ma piuttosto il fatto che nei nostri mondi immaginari i gruppi sociali, nazionali e etnici siano sistematicamente essenzializzati. L’argomento meriterebbe certamente un po’ di studi storici.
L’essenzialismo diventa più evidente sostituendo questi gruppi con le specie animali. Leoni, aquile, castori o gatti sono spesso infatti un modo più leggero per rappresentare europei, asiatici e africani (nelle ambientazioni antiche) o americani, russi e cinesi (in quelle più moderne). Il mio Chawaii, ben illustrato da Paul Mafayon, è un buon esempio di ciò, anche se rappresenta un solo gruppo etnico, e i gatti mangiano veramente il pesce.
Qualche giorno fa io e Bruno Cathala stavamo pensando a una possibile nuova edizione di Mission Red Planet. Siamo stati d’accordo nel decidere di abbandonare l’ambientazione steampunk delle prime due edizioni, assente nel prototipo iniziale. Inizialmente abbiamo pensato a un’ambientazione contemporanea simile a una Guerra Fredda, con rivalità tra le grandi potenze di oggi, come Russia, Stati Uniti, Cina ed Europa, ma non volevamo trattare questo tema con serietà, e ci sembrava difficile farlo con umorismo. Probabilmente opteremo per una lotta tra corporazioni, come un Elon Musk contro Jeff Bezos, ma anche un gatti contro cani avrebbe funzionato, alleggerendo ulteriormente il tutto.

Naturalmente è anche possibile avere tutto, fantascienza o fantasy con l’antropomorfismo, in modo da aggiungere due livelli di oggettivizzazione, o anche solo perché così è più divertente, o anche solo perché l’artista vuole disegnare gatti o leoni. Persino io ho recentemente comprato un gioco con draghi antropomorfi, Flamecraft di Manny Vega.
Riedizioni

Questa cosa succede anche nei giochi astratti, come Splits, diventato Battle Sheep, ma a dire il vero astratti con tema animali non sono una novità. Hive ha circa vent’anni, Jungle Game quasi cento, Bagh Chal e Volpi e Polli più di mille.
Il contrario è molto raro, ne ho trovato un solo esempio: i teneri gatti di Kittys, un simpatico gioco di carte giapponese, sono diventati gangster nell’edizione francese, facendo perdere improvvisamente al gioco tutto il suo fascino.
Anche i giochi che si ispirano a favole sono interessanti. Nelle prime edizioni del classico La Lepre e la Tartaruga di David Parlett, i due protagonisti erano rappresentati in modo realistico; nelle versioni più recenti, come in un altro gioco di Gary Kim basato sulla stessa favola, sono antropomorfi, e la loro gara diventa molto più simile a uno sport umano.
Quindi, cosa ne dovremmo pensare di tutti questi giochi green, spirituali e naturali? Personalmente le buone vecchie ambientazioni fantasy, storiche o fantascientifiche non mi annoiano ancora, ma probabilmente perché faccio parte della mia generazione. Posso capire che pubblico, autori ed editori possano cercare qualcosa di più attuale e diverso. Mi piacciono sia gatti che cani, e non ho nulla contro gli spiriti della foresta, ma mi spiace che questi soggetti tendano ad avere meno umorismo di draghi e nani, e siano molto meno autoironici.