Il recensore di giochi da tavolo #4: predisposizione individuale

Bastano preparazione teorica e pratica, o serve anche altro?

Editoriale
Giocatori

Questo articolo fa parte di una serie che si compone di sei "episodi" (se il link non è presente, l'articolo non è ancora stato pubblicato):
- #1: cos'è un recensore
#2: la preparazione teorica
#3: esperienza pratica
#4: predisposizione individuale
#5: onestà di giudizio
#6: corretta comunicazione

Chi si intende di sport sa che allenamento e stile di vita, da soli, non bastano a fare un campione. Sono elementi spesso indispensabili, che possono migliorare e soprattutto prolungare grandi prestazioni nel tempo, ma non sono sufficienti. Il talento può essere coltivato, ma per coltivarlo occorre che ci sia il seme, ovvero che sia già presente.
Questo accade un po' in tutti gli ambiti: sport, lavoro, eccetera. 

Quello di cui magari ci si può rendere conto è se questa predisposizione la si ha oppure no. Generalmente è difficile eccellere in qualcosa che non ci piace per nulla, per cui se vi accorgete che vi viene spontaneo riflettere su un gioco appena intavolato, chiedervi perché l'autore ha scelto una particolare meccanica invece di un'altra, farvi sorprendere dall'utilizzo di qualche componente, comparare le idee e le realizzazione dei nuovi prodotti, è probabile che abbiate già in voi i germe del recensore e a quel punto basterà coltivarlo.

Ecco allora che attività che ad altri paiono noiose e pesanti, per voi saranno piacevoli e leggere. Come leggere un libro di game design scritto fitto e in inglese (vedi articolo #2), documentarvi su siti e leggere articoli specializzati, provare qualche gioco anche solo per avere una panoramica completa di un autore o di una meccanica, cercare di capire cosa ci sia di bello in un qualche genere che superficialmente di attira poco, eccetera.

La predisposizione a una data attività porta (in genere, non sempre) a coltivarla e approfondirla. L'importante è anche rendersi conto dei propri limiti: avere passione non è mai sufficiente.
Ci sono diversi ambiti che mi appassionano, oltre ai giochi da tavolo, ma mi rendo conto di non poter esprimere, in quei casi, più di un semplice parere, che ha valore zero, esattamente come quello di moltissimi altri che lasciano “recensioni” in giro per la rete.

Il mio parere su un ristorante, su un disco, su un film, non possono in alcun modo avere il valore di quello di un critico o di una persona appassionata che conosce la materia profondamente.
So benissimo che sui vari siti il parere di tutti è equiparato e il mio voto conta come quello di chiunque altro, ma idealmente non dovrebbe essere così: il mio giudizio su un film, ad esempio, dovrebbe contare molto molto poco rispetto a quello di altre persone, che ne sanno parecchio più di me. Difatti, solitamente, non utilizzo nemmeno tali strumenti per lasciare “recensioni” di cose che non ho approfondito, perché mi sembrerebbe di barare, in qualche modo. 
Ma capisco questa sia una posizione mia personale, peraltro con effetto pratico totalmente nullo, visto il volume di pareri che vengono scritti ogni giorno, per qualsiasi cosa.

Oltre allo studio e alla pratica, un modo per affinare la propria capacità di giudizio è il confronto con gli altri: a fine partita con gli altri giocatori, leggendo recensori quotati sui vari siti, confrontandosi con pareri differenti, parlando del gioco con chi ne è esperto e l'ha scavato a fondo.
Dal confronto con giocatori esperti puoi anche renderti facilmente conto di quanto ti manchi a colmare il gap, di quanto le tue analisi siano effettivamente centrate e profonde, o viceversa, di quanto ancora devi studiare per cogliere tutti gli aspetti a cui non avevi minimamente pensato.
A me personalmente son stati molto utili, questi confronti, sia nella giuria del Magnifico che fuori, a volte confermando quello che sapevo, a volte facendomi tornare sui mei passi, altre facendo io cambiare idea a qualcuno.
Parlo di recensori esperti perché sempre lì si torna: se devi mettere alla prova le tue capacità e la tue  conoscenza, devi farlo con chi ne sa più di te.

Nel prossimo articolo parliamo di recensioni, voti e onestà di giudizio.

Commenti

X tutto ci vuole una predisposizione naturale.....

Ciao,

questo pezzo non "brina", mi resta vaporoso e non prende forma chiara, per me. Non si capisce esattamente quale tipo di predisposizione sia necessaria nel caso specifico. Quale sia quella predisposizione che uno ha o non ha. Forse è posta in relazione alla capacità di giudizio? La capacità si acquisisce, perciò si tratta della predisposizione a giudicare? Dall'articolo introduttivo sembrava più una predisposzione ad approfondire, che mi sembra ugualmente un ragionamento fuorviante.

Grazie!

 

 

Il confronto per un recensione è assolutamente necessario perché ciò che viene richiesto ad un gioco (tranne poche caratteristiche univocamente riconosciute) è spesso diverso da persona a persona. Capire ciò che agli altri piace o non piace di un gioco (cosa per niente semplice perché spesso il giocatore non è in grado di formulare un "perché") è quindi vitale per formulare una recensione che snoccioli le cose che fanno la differenza per il maggior numero possibile di persone, così che sia veramente utile ai più.

In mancanza di una quantità adeguata di questi confronti, concentrandosi sul proprio personale parere, conviene essere molto chiari sui motivi per il quale il gioco piace o meno. Cosa che già di per sè non è sempre così facile da individuare nel dettaglio. Serve molta capacità di autoanalisi.

Forse è questa la predisposizione naturale necessaria per recensire: riuscire a capire veramente se stessi e gli altri. E' una cosa che pare stupida, ma scarseggia, nella società attuale.

Anni fa, il mio insegnante di violino mi disse una cosa molto interessante:

"Ogni volta che viene tirato in ballo il 'talento' di un artista, come una sorta di potere soprannaturale, mistico, di origine quasi divina, si compie di fatto un torto al musicista stesso, sminuendo quelli che sono i suoi meriti: ossia il fatto che per arrivare a quel livello, ha speso tutte le sue energie, il suo tempo, la sua vita. Si è guadagnato un posto tra i meritevoli, non per qualche dono innato, quanto per la sua volontà e il suo sacrificio."

Similmente, è singolare notare come nel pensiero comune l'apprendimento di una lingua è visto come un processo lungo e difficile, al quale viene contrapposta la (presunta) facilità con la quale un bambino impara la propria lingua madre: ci si dimentica, anche qui, che un bambino impiega 4-5 anni per imparare a parlare in modo comprensibile, e almeno 7-8 anni per parlare in modo corretto. In pratica, l'essere umano, da piccolo, compie esattamente lo stesso sforzo che compirebbe un adulto e passa attraverso lo stesso duro lavoro di associazione suono-significato, con la differenza che si immerge al 100% nella lingua, che viene bombardato senza sosta dagli stimoli necessari per attivare queste capacità... provate a trasferirvi 4 anni in una famiglia in Cina, senza possibilità né di leggere né di parlare italiano, e vedrete se dopo questo tempo di full immersion non ritornerete con una conoscenza del mandarino. Almeno, con le conoscenze di un bimbo di 4 anni...

La verità, è che per acquisire competenze e capacità, ci vuole esperienza, sacrificio, ripetizione, allenamento. Ci vuole tempo. Ritornando al paragone con la musica, incide molto più chiaramente il contesto nel quale si vive (essere nati in una famiglia di musicisti, ad esempio), rispetto a qualche presunto "dono innato" che - ancora non si è capito - a volte sembra inteso come una benedizione divina, a volte come una qualche presunta superiorità fisica o neurologica.

Sia ben chiaro, anch'io sono convinto che una predisposizione, un interesse naturale, una passione per un certo tipo di attività esista. Ma sono molto scettico che il "talento" sia un concetto scientifico. Anche un atleta, certo, è avvantaggiato se il suo corpo ossigena bene, se il cuore resiste più a lungo sotto sforzo o se ha chissà quale vantaggio genetico, ma il tuo fisico lo costruisci con lo sforzo, e la mente - che è poi quella che fa la differenza in un campione - la tempri con l'esperienza e la forza di volontà.

Tutto questo per dire che, secondo me, tutta questa enfasi sulla predisposizione non la metterei. O meglio, è banale dire che se uno è predisposto e si diverte, allora fa le cose più volentieri e magari gli usciranno anche migliori. Ma - senza voler offendere nessuno - scrivere recensioni non è un'arte che richieda chissà che dono innato... si tratta di analisi tecniche, obiettive, possibilmente scritte in modo da catturare l'attenzione e non annoiare, questo sì, ma parliamo sempre e comunque di capacità che si acquisiscono col tempo.

Quindi: viva i recensori! Ma quelli che si sono fatti la gavetta, che studiano, approfondiscono, leggono e si mettono in discussione. Quelli che giocano tanto e scrivono tanto. Quelli che si confrontano con altri. Onestamente, se un recensore dovesse dirmi o farmi capire di essere in qualche modo "benedetto dal fato", non lo prenderei troppo seriamente.

Chi qui in attesa della tirata di Elija? 

Bellissima serie, sempre interessante alzare il velo su ruoli fondamentali e spesso trascurati come questo.

In questo caso ti segnalo che la scelta del termine "predisposizione" mi pare fuorviante e potrebbe sviare il lettore, nell'articolo parli di qualcosa più vicino a una "inclinazione" o una "passione innata".

Interessante lo spunto sul non usare strumenti di recensione ma mi pare non tenga conto della piattaforma e della posizione del recensore: se recensisci qualcosa su una piattaforma generalista il tuo voto non viene considerato in sè ma in quanto elemento costituente di un valore medio (e nessuno ha pretese che sia oggettivo, o competente). Caso diverso se sei il recensore di punta di una nota piattaforma di giochi e parli di giochi. :-)

Pizza.mystica scrive:

Chi qui in attesa della tirata di Elija? 

La breaking news di quest'oggi è ahimè un'altra: Play Modena si trasforma in Play Bologna!

[quote=Taiglander]<p>Anni fa, il mio insegnante di violino mi disse una cosa molto interessante:</p>

<p>"Ogni volta che viene tirato in ballo il 'talento' di un artista, come una sorta di potere soprannaturale, mistico, di origine quasi divina, si compie di fatto un torto al musicista stesso, sminuendo quelli che sono i suoi meriti: ossia il fatto che per arrivare a quel livello, ha speso tutte le sue energie, il suo tempo, la sua vita. Si è guadagnato un posto tra i meritevoli, non per qualche dono innato, quanto per la sua volontà e il suo sacrificio."</p>

<p>Similmente, è singolare notare come nel pensiero comune l'apprendimento di una lingua è visto come un processo lungo e difficile, al quale viene contrapposta la (presunta) facilità con la quale un bambino impara la propria lingua madre: ci si dimentica, anche qui, che un bambino impiega 4-5 anni per imparare a parlare in modo comprensibile, e almeno 7-8 anni per parlare in modo corretto. In pratica, l'essere umano, da piccolo, compie esattamente lo stesso sforzo che compirebbe un adulto e passa attraverso lo stesso duro lavoro di associazione suono-significato, con la differenza che si immerge al 100% nella lingua, che viene bombardato senza sosta dagli stimoli necessari per attivare queste capacità... provate a trasferirvi 4 anni in una famiglia in Cina, senza possibilità né di leggere né di parlare italiano, e vedrete se dopo questo tempo di full immersion non ritornerete con una conoscenza del mandarino. Almeno, con le conoscenze di un bimbo di 4 anni...</p>

<p>La verità, è che per acquisire competenze e capacità, ci vuole esperienza, sacrificio, ripetizione, allenamento. Ci vuole tempo. Ritornando al paragone con la musica, incide molto più chiaramente il contesto nel quale si vive (essere nati in una famiglia di musicisti, ad esempio), rispetto a qualche presunto "dono innato" che - ancora non si è capito - a volte sembra inteso come una benedizione divina, a volte come una qualche presunta superiorità fisica o neurologica.</p>

<p>Sia ben chiaro, anch'io sono convinto che una predisposizione, un interesse naturale, una passione per un certo tipo di attività esista. Ma sono molto scettico che il "talento" sia un concetto scientifico. Anche un atleta, certo, è avvantaggiato se il suo corpo ossigena bene, se il cuore resiste più a lungo sotto sforzo o se ha chissà quale vantaggio genetico, ma il tuo fisico lo costruisci con lo sforzo, e la mente - che è poi quella che fa la differenza in un campione - la tempri con l'esperienza e la forza di volontà.</p>

<p>Tutto questo per dire che, secondo me, tutta questa enfasi sulla predisposizione non la metterei. O meglio, è banale dire che se uno è predisposto e si diverte, allora fa le cose più volentieri e magari gli usciranno anche migliori. Ma - senza voler offendere nessuno - scrivere recensioni non è un'arte che richieda chissà che dono innato... si tratta di analisi tecniche, obiettive, possibilmente scritte in modo da catturare l'attenzione e non annoiare, questo sì, ma parliamo sempre e comunque di capacità che si acquisiscono col tempo.</p>

<p>Quindi: viva i recensori! Ma quelli che si sono fatti la gavetta, che studiano, approfondiscono, leggono e si mettono in discussione. Quelli che giocano tanto e scrivono tanto. Quelli che si confrontano con altri. Onestamente, se un recensore dovesse dirmi o farmi capire di essere in qualche modo "benedetto dal fato", non lo prenderei troppo seriamente.</p>[/

quote]

 

A questo proposito, ho letto di recente un libro nel quale si citava uno studio fatto da psicologi sul "talento" e la pratica. Si è calcolato che per padroneggiare qualunque tipo di attività sono necessarie circa 10.000 ore di pratica (circa 10 anni).

Ovviamente, una predisposizione naturale deve esserci perché, come si legge nell'articolo, se un argomento mi interessa come possono interessarmene tanti altri non dedicherò 10.000 ore a quell'argomento. Chi ci arriva prima di altri non è perché ha "talento innato", ma perché dedica molto più tempo a quella specifica cosa rispetto ad altri.

Sono 26 anni che suono uno strumento musicale e quasi 10 che li costruisco. Ho sicuramente una predisposizione per quanto riguarda la manualità, ma senza tutti questi anni non sarei mai riuscito a fare il lavoro che faccio.

Detto ciò, serie di articoli davvero interessante e stimolante! Grazie per l'ottimo lavoro svolto!!!

Ho lasciato passare un po' di tempo prima di scrivere un commento sotto questo articolo, perché bene o male sia Taiglander che Alabard0 hanno espresso pareri in linea con il mio punto di vista. Anders Ericsson è lo studioso che bisognerebbe conoscere e citare in simili circostanze (si è occupato per una vita della science of expertice), pace all'anima sua. Angela Duckworth ha dato anche un contribuito molto interessante alla questione, parlando di grinta.

Il dilemma "geni vs ambiente", "ereditarietà vs esperienza", "natura vs cultura", "innato vs acquisito" non ha tuttora una risposta definitiva e certa in ambito accademico. Sia chiaro...

"La scienza ha fatto progressi enormi nel capire in che modo l'ereditarietà, l'esperienza e la loro interazione ci hanno fatti come siamo. Purtroppo, a quanto ho avuto modo di vedere, l'intrinseca complessità di questi fatti scientifici ha portato a continui fraintendimenti. Per cominciare, posso dirvi con totale cognizione di causa che ogni tratto umano dipende sia dai geni sia dall'esperienza."
(Duckworth, Grinta, p. 85)

"Il talento dipende dal patrimonio genetico ma nessun talento è interamente ereditario. Lo sviluppo di qualunque abilità dipende in maniera decisiva anche dall'esperienza."
(Duckworth, p. 86)

Gli studi che prende in considerazione la Duckworth sono innumerevoli. Ad un certo punto parla però di una ricerca particolarmente interessante, perché sono stati presi in considerazione coppie di gemelli. Da questo studio britannico risulta un livello di ereditarietà del 37% per l'indice "perseveranza" e del 20% per l'indice "passione". Questo significa che l'80% della "passione" dipende dall'esperienza avuta, come anche il 63% della "perserveranza" dipende dall'esperienza avuta. Ergo, molto di più di quello che si potrebbe pensare dipende dall'ambiente in cui cresciamo.

Anders Ericsson fa un discorso ancora più forte a sostegno dell'impegno e della pratica intenzionale, dando al talento un ruolo decisamente marginale per raggiungere l'expertise.

"OGNI volta che parlo o scrivo della pratica intenzionale e degli esperti, qualcuno mi chiede sempre: «E allora, il talento naturale?»
Nei miei articoli e nelle mie conferenze trasmetto sempre lo stesso messaggio di fondo, contenuto anche in questo libro: gli esperti sviluppano straordinarie capacità dopo anni e anni di pratica e di impegno, migliorando un po’ alla volta in un processo lungo e laborioso. Non esistono scorciatoie. Varie tipologie di pratica possono essere efficaci, ma la migliore è la pratica intenzionale: sfrutta la naturale flessibilità del cervello e del corpo umano per creare nuove abilità con l’aiuto di dettagliate rappresentazioni mentali che ci permettono di analizzare e reagire alle situazioni con molta più efficacia di quanto potremmo fare altrimenti.
Sì, questo l’ho capito, dirà qualcuno. Ma non ci sono forse alcune persone capaci di diventare migliori degli altri senza sforzarsi troppo? E viceversa, non ci sono persone nate senza alcun talento per qualcosa – la musica, la matematica, lo sport – e che non saranno mai brave, per quanto si impegnino?
È una delle convinzioni più radicate sulla natura umana: che il talento naturale concorra in larga parte a determinare le capacità. Che alcune persone siano nate con doti congenite tali da rendere loro più facile il compito di diventare grandi atleti o musicisti o scacchisti o scrittori o matematici. Hanno comunque bisogno di fare un po’ di pratica per sviluppare le loro abilità, ma molto meno degli altri, e possono toccare vette molto più alte.
I miei studi sugli esperti offrono una spiegazione molto diversa del perché alcune persone diventino più esperte di altre, e in questa spiegazione la pratica intenzionale ha un ruolo da protagonista. Sfatiamo dunque questo mito esaminando l’interazione di talento e pratica nello sviluppo di abilità straordinarie. Come vedremo, le caratteristiche innate svolgono un ruolo molto più modesto – e assai diverso – di quanto si pensi di solito."
(Ericsson, Numero 1 si diventa, pp. 196-197)

"Non ci sono prove che le abilità di origine genetica contribuiscano a selezionare i migliori. Una volta arrivati in vetta, non è il talento naturale a fare la differenza, o almeno non il «talento» nel senso in cui lo si intende di solito, ovvero come abilità innata di eccellere in una certa attività. Penso che questo spieghi perché è così difficile prevedere chi raggiungerà il vertice di una certa disciplina. Se le abilità innate contribuissero a stabilire chi può diventare il numero uno, sarebbe molto più facile individuare i futuri campioni all’inizio della carriera. Se per esempio i migliori giocatori professionisti di football fossero nati con un dono speciale per quello sport, allora si dovrebbe manifestare già negli anni del college. Ma in realtà nessuno ha capito come esaminare i giocatori e capire quali diventeranno campioni oppure no."
(Ericsson, pp. 220-221)

Ericsson parla anche del lato oscuro della fiducia nel talento innato. Questo aspetto assieme al principio di educabilità nel quale ogni docente dovrebbe credere ciecamente, mi fanno decisamente propendere per la tesi che è grazie all'impegno, alla grinta e alla pratica deliberata che si può diventare particolarmente competenti, non grazie a qualche tratto innato dell'essere umano che alcuni hanno e altri purtroppo no.

"Se è vero che le persone in possesso di talune caratteristiche innate – il QI, nel caso degli scacchi – possono avere un vantaggio nella prima fase di apprendimento, tuttavia esso si riduce con il tempo, e alla fine è la quantità e la qualità della pratica a determinare più di ogni altro fattore il livello di abilità raggiunto."
(Ericsson, p. 218)

La tesi che ci vuole una certa predisposizione per poter essere dei buoni recensori (e se non ce l'hai, non potrai mai essere un recensore), dal mio punto di vista, ha grossi limiti. È un discorso che non riesco a condividere, mi spiace. Per me chiunque, lavorando sodo, può con il tempo diventare un buon recensore.

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