Fine anni ‘80, ricordo ancora quasi con terrore un videogioco senza senso per il Commodore 64 basato sul film Ritorno al Futuro, che in quegli anni spopolava tra i giovani.
Piccola premessa per dire che da sempre cinema e gioco, sia esso analogico o digitale, si sono spesso incontrati, con risultati altalenanti.
Di recente ho avuto la possibilità di provare uno dei tanti giochi da tavolo ispirati al famoso film con Michael J. Fox e Christopher Lloyd e mi è venuto quasi naturale un quesito: come mai questi giochi su licenza difficilmente creano quell’attesa che ancora oggi crea l’ennesima versione di Zombicide ed allo stesso modo non riscuotono particolare successo tra i giocatori?
Attenzione, qui non si parla di dati di vendita, che nella maggior parte dei casi sono stati comunque positivi quasi per tutti i titoli che citeremo. Qui affrontiamo il fatto che tra giocatori difficilmente uno di quei giochi su licenza resterà impresso, difficilmente capiterà di sentirne parlare già dopo pochi mesi dalla sua uscita ed ancora più difficilmente se ne troverà uno in una ludoteca o in casa di qualche giocatore incallito.
A questo punto ho voluto raccogliere qualche parere in giro per farmi un’idea delle motivazioni che portano a situazioni di questo tipo e ne sono usciti spunti interessanti.
Partiamo dal marketing, che mi permette di fare un’ulteriore ma doverosa premessa: dal discorso generale dovremo escludere grossi nomi come Star Wars, Il Trono di Spade ed Harry Potter, proprio per una questione di marketing. Questi tre titoli hanno alle spalle dei veri e propri colossi che quando decidono di investire sul loro prodotto lo fanno a 360 gradi, non solo sul film ma anche su tutto ciò che ad esso è collegato, ivi compresi i giochi da tavolo.
Ciò non sempre è possibile per un singolo film mentre è relativamente più semplice per una serie di 7 film come per una serie tv di 8 stagioni, che per ovvi motivi hanno una campagna di marketing molto più duratura nel tempo.
E restando in ambito economico è necessario considerare anche il fatto che acquisire diritti per produrre un gioco su licenza è particolarmente costoso e va ad intaccare in maniera consistente il budget dedicato allo sviluppo del gioco, con risultati a volte deludenti sul prodotto finale.
Ma poiché ogni gioco da tavolo ha una storia diversa facciamo qualche nome.
Ghostbusters The Board Game: gioco che ha avuto una fortunata campagna Kickstarter con più di 8000 backers e circa un milione e mezzo di dollari raccolti. Se oggi chiedessimo un parere a chi lo ha giocato otterremmo per lo più pareri negativi che, soggettività a parte, vengono evidenziati dalla successiva campagna per un Ghostbusters II riveduto e corretto che ha raccolto esattamente la metà dei fondi e dei backers del suo predecessore. Segno che probabilmente c’era effettivamente più di qualcosa che non andava.
Restando sui Kickstarter, non molto tempo fa ci fu la campagna dedicata al gioco da tavolo di Rambo, che non arrivò neanche a centomila dollari, con meno di 1000 backers… Voglio dire: è Rambo! Come può non generare hype?
Ed arriviamo così ad una seconda possibile motivazione: la pubblicità.
La maggior parte degli addetti ai lavori ormai da qualche anno parla soprattutto di prodotti che sanno già per certo che verranno localizzati per il mercato italiano. Se viene a mancare questa condizione, la quantità di informazioni reperibili su un determinato prodotto sarà minore.
Del resto in un mondo dove vengono pubblicati 3000 titoli ogni anno, anche giochi veramente validi rischiano di non ottenere tutta l’attenzione che meritano, quindi ci vorrà anche un qualcosa in più per distinguersi in mezzo alla massa.
Altro esempio ed altro tipo di problematica possiamo rilevarlo nel gioco
Il Padrino:
il prezzo.
Alcuni giochi hanno un costo decisamente elevato e, nel caso specifico, la combo CMON ed Eric Lang non aiuta in questo senso un gioco che, se fosse costato la metà, forse avremmo trovato in giro con molta più facilità.
Volendoci addentrare in discorsi più profondi si potrebbe anche evidenziare come alcuni giochi da tavolo riescano ad estrarre l’essenza di ciò che il film trasmetteva. Un esempio che mi viene in mente è Battlestar Galactica, le cui meccaniche riescono a bilanciarsi perfettamente con la tematica, regalandoci un gioco che merita certamente di essere provato almeno una volta.
Altri titoli invece non riescono in questo, perché se in un film ciò che ci piace è quell’insieme creato da regista, attori, colonna sonora e quant’altro, in un gioco da tavolo spesso rimane soltanto la parte più fredda e meccanica del film… E’ un po’ come se Spielberg girasse Vacanze Romane o Stanley Kubrick avesse girato The Avengers: oggi parleremmo di tutt’altro.
Infine, e non me ne vogliano gli amici gamers, c’è anche da dire che siamo tutti un po’
prevenuti quando esce un gioco su licenza. Io stesso quando ho visto il gioco basato sul film Lo Squalo sono partito più che prevenuto, salvo poi ricredermi quando ho approfondito la sua conoscenza.
Di base molti giocatori non si fidano e, vuoi anche per esperienze negative passate, ritengono che un gioco tratto da un film sia immondizia a prescindere, creata nella speranza che il solo nome sia sufficiente a tirarne la volata e di conseguenza non si ha neanche la voglia di provarlo per verificare se sia effettivamente così. E talvolta addirittura lo si prova allo scopo di poterlo criticare meglio.
Ci sarebbe ancora molto da dire, tanti titoli da trattare e parecchie altre osservazioni da fare, ma in linea generale la situazione è quella descritta in queste righe.
Io da sognatore spero ancora in un gioco su Ritorno al Futuro degno di questo nome. Del resto sognare non costa nulla.
Prima di chiudere mi preme moltissimo ringraziare tutte le persone che hanno accettato di scambiare quattro chiacchiere con me su questo tema e la cui collaborazione è stata per me preziosissima.
In ordine sparso: Alessio Lana del Corriere della Sera, Canopus, Il Meeple con la Camicia, Luca Francescangeli di Wired, Miss Meeple, Sgananzium, TeoOh, nonché i miei compagni di tante serate di gioco Fabrizio e Giovanni.