Le Cronache del Sussurro - Sotto la Fortezza

Dagli scritti dell'antico Ambronius, Mastro di Storia degli Eroi
Seduta del 5 marzo 2004

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Dagli scritti dell'antico Ambronius, Mastro di Storia degli Eroi
Seduta del 5 marzo 2004


SOTTO LA FORTEZZA


Il freddo era diminuito. Forse quel fuoco acceso nel camino aveva riscaldato la stanza a sufficienza. Ci fossero stati anche dei letti sarebbe stato quasi perfetto. Ma infondo erano quasi due giorni che non dormivano e anche così sarebbe andato bene. I villani stavano organizzando una guardia per la barriera in legno che avevano costruito. Si erano armati di falci, roncole e vanghe. Certo non sarebbero servite a molto, specie se il terrore si fosse impossessato di loro. Ma gli davano coraggio. Se qualcosa si fosse avvicinato li avrebbero svegliati: il lavoro duro non era certo lasciato alla gente del villaggio. Tallerin si arrotolò nella coperta da viaggio sistemando lo zaino sotto la testa. Almeno non si trovava in un carro che sobbalzava su ogni pietra. Un letto, ci fosse stato solo un letto.
Quando vennero a svegliare il Norin anche gli altri si svegliarono. Il fuoco si era spento e loro avevano mantenuto la stessa posizione per ore. Erano intirizziti, ma scoprirono di essere anche molto affamati quando il cibo caldo venne portato al Barone. Il nano, che si stava allacciando l’armatura, lasciò cadere un gambale per correre verso la pentola fumante e se non fosse stato per la ciotola che gli misero davanti ci si sarebbe tuffato dentro. Anche gli altri mangiarono fino a saziarsi. Stavano finendo le loro razioni quando qualcuno venne a parlare con il Barone.
“Il mercante desidera parlare con voi, signore”
Norin accolse la notizia con uno sbuffo. Mantenere tranquilla la gente era una priorità e sapeva che avrebbe dovuto dedicargli del tempo, anche se la sua testa era verso ciò che ospitava il maniero. Si alzò porgendo la sua ciotola in peltro ad una delle persone che stava occupandosi del pranzo e si diresse verso il piano inferiore. Attraversata la finestra discese nella grotta bianca, cercando il mercante. Seduto sul proprio carro, l’uomo gli fece cenno di avvicinarsi
“Perdonatemi signore, ma perché stiamo qui?”
“Perché non era salutare mettersi sul cammino di cinquecento uomini del clan dell’alce, non credi?”
Il mercante fece una smorfia, evidentemente insoddisfatto della risposta.
“Va bene, ma perché restiamo qui?!”
Norin era esasperato. L’urgenza del mercante non era cosa di cui intendeva occuparsi. Non aveva tempo per queste cose visti i pericoli che potevano giungere dalla fortezza.
“Le tue merci troveranno presto la strada che devono seguire, te l’assicuro. E nessuno toccherà i tuoi averi, anche questa è una promessa.”
Il mercante annuì cupo. Anche questa risposta non gli doveva essere piaciuta troppo, ma non aggiunse altro, né il Barone glielo concesse. Norin si allontanò, cercando con lo sguardo alcune persone del villaggio con cui intendeva conferire. Quando le individuò, gli fece cenno di seguirlo nella torre. Il mercante, però, era tutt’altro che tranquillo. Scese dal carro, aggirandosi per la grotta in cerca di informazioni. Si avvicinò ad alcuni che avevano fatto la guardia durante il periodo di riposo.
“Voi! Voi due. Cosa mi sapete dire di quello che c’è lì dentro?”
I due si guardarono stupiti della domanda.
“Nulla, solo ciarpame vecchio e marcito. Ma ci sono due guardie morte.”
Uno era un tipo alto e muscoloso. In mano aveva un forcone e indossava una casacca in pelle di montone. Il suo compagno, invece, era più basso, aveva baffi corti e gli mancavano molti denti. Alla vita portava un lungo coltellaccio privo di alcun fodero.
“Due guardie? In che senso due guardie?”
“Sì, due guardie con le insegne di Vitran. Chiunque li ha uccisi non ci è andato leggero. Li ha fatti a pezzi” rispose il più basso dei due, facendo una smorfia nervosa.
“E non si sa chi li ha uccisi?”
“No, il Barone non ce lo ha detto”
Mentre erano intenti a parlare Norin si affacciò alla finestra, richiamando l’attenzione della gente.
“Ascoltatemi tutti. Qui c’è un maniero. Al suo interno, è necessario che lo sappiate, ci sono grandi pericoli. Abbiamo affrontato alcuni Non Morti. Non costituiscono un pericolo – aggiunse velocemente cercando di tranquillizzare la gente che lo ascoltava – Non abbasseremo la guardia, però. Io e quelle persone che ci hanno aiutato ospitando i bambini nel carro scenderemo ancora, cercando di capire se il maniero ha altre uscite e se i pericoli sono cessati, ma è necessario organizzare turni di guardia in modo che tutta la gente sia al sicuro.”
Da sotto si levava un mormorio carico di tensione.
“Tu – disse indicando un uomo – Organizza i turni. Massimo due ore a gruppo. Ogni gruppo deve essere composto da cinque persone. Metterai un gruppo qui dentro, uno ai piedi della scala, in modo che nessuno entri nella torre o ne esca senza essere visto, ed un gruppo in cima. Dagli dei campanacci. Se vedono pericoli, li suonino.”
Senza attendere risposte si volse verso gli altri.
“Allora, siamo pronti?”
Il nano si battè un colpo sull’armatura grugnendo. Forse era un sì. Gli elfi, invece, annuirono seri. Anche Elsiem fece un gesto d’assenso. L’unico che non rispose fu Tallerin. Norin sfoderò la spada e stava per ordinare agli uomini di rimuovere le assi di legno quando giunse il richiamo di qualcuno da sotto la torre, dalla parte della grotta.
“Signore! Questo dice che conosce i Non Morti!”
Affacciandosi videro il mercante ai piedi della doppia scala in legno che avevano preparato qualche ora prima.
“Sono un sacerdote, signore, sono un Adepto del Riposo”
“Caspita, potevi dirlo prima! Come ti chiami?” gli urlò da sopra.
“Slero” rispose iniziando a salire.Quando passò per la finestra, poterono osservarlo bene. I tratti somatici erano quelli tipici del Rehm, ma era particolarmente più alto del normale, arrivando a guardare in faccia anche gli elfi. Era quasi calvo, sebbene fosse giovane. La carnagione pallida non dava a quella faccia spigolosa un aspetto migliore. Anche la bocca era particolare: era larga e sottile, quasi totalmente priva di labbra. Sembrava un taglio al centro del volto. La mascella era grossa e gli occhi piccoli erano nascosti dietro due zigomi sporgenti. Anche le mani erano grandi. Nei movimenti, lenti e misurati, non c’era traccia di alcuna grazia. Quasi goffo, aveva un torace largo e muscoloso e assomigliava più ad un gigante in miniatura, piuttosto che ad un umano.
“Che i vostri cuori possano godere dell’ombra del mantello di Mirphit” disse entrando.
Era un saluto rituale. Molti Adepti del riposo lo usavano. Eppure non sempre veniva accolto con piacere. Elsiem scrollò le spalle, sottolineando l’ennesimo grugnito di Warna.
“Ditemi cosa avete trovato di sotto”
Gli snocciolarono i fatti mentre le assi che ostruivano la porta venivano rimosse. “Avete bruciato le ossa?”
“Avremmo dovuto?” fu la risposta preoccupata di D. Nei suoi occhi era ancora presente l’incubo che aveva avuto nel corso del riposo. Aveva attraversato un baratro dirigendosi verso un corridoio in discesa, deridendo il nano per la sua incoscienza. Sicuramente c’erano trappole. Da sotto proveniva il rombo cupo della lava bollente. I fumi che salivano stavano sciogliendo il ghiaccio. Con un sorriso era entrato nella stanza, attento a non calpestare nessuna pietra sospetta. E così non se ne era accorto subito. Una presenza oscura abitava in quel luogo. Alzò lo sguardo troppo tardi. L’ombra gli fu addosso e in un attimo la sua mente fu sconvolta dalla volontà demoniaca del nemico. Non si accorse di cadere a terra, né aveva provato dolore. Solo terrore.
“Io non ci sono… non c’ero… io non ero lì!” aveva balbettato a sé stesso, con un sorriso folle sulle labbra. Ora poteva vedersi dall’esterno, quasi quello a terra fosse un altro D. Dalla sua bocca stava uscendo del fumo e l’ombra si stava formando nuovamente. I suoi compagni erano terrorizzati. Elsiem era fuggito. Galaith lo teneva sotto mira con l’arco e Warna gridava che voleva ucciderlo. Loro, i suoi compagni. Poi qualcuno disse qualcosa ed il suo corpo si alzò, perdendo lembi di pelle. Anche se non ne aveva visti mai in vita sua, seppe che ora il suo corpo era stato animato nella Non Morte divenendo uno zombie. L’ombra fu addosso al suo corpo, urlando per la rabbia, facendone scempio. Evidentemente chi lo aveva reso un Non Morto doveva averlo sottratto al potere del demone.
Quando il suo corpo cadde in terra di nuovo si svegliò con il respiro affannato e gli cchi sbarrati. Una parte di sé sapeva che era stato solo un terribile sogno, un incubo, uno scherzo fatto dalla sua mente alla sua mente, eppure ripeté ancora con fare delirante le parole che aveva detto nel sogno.
“Io non c’ero…”
Era riuscito a riaddormentarsi, ma nel suo sguardo era rimasta traccia del terrore provato.
“A che servirebbe bruciare delle ossa?” aggiunse.
“Ad evitare che si muovano di nuovo - rispose Slero – Barone, fa portare della legna dalla tua gente. Se dobbiamo sorpassare questo luogo, meglio non lasciarsi nulla alle spalle.”
Quando ebbero la legna, ammassarono le ossa che avevano frantumato il giorno prima e, con l’aiuto di stracci, gli diedero fuoco. In risposta, dopo poco, alcune gocce cominciarono a cadere dalla volta. Galaith osservò la cupola bianca dubbioso, poi scuotendo la testa espresse la sua preoccupazione.
“Certo non si scioglierà in fretta, né tutta assieme, ma qualche lastra potrebbe staccarsi. Meglio sbrigarsi”

l nano si diresse di nuovo verso la porta che si trovava al piano terra della torre dalla quale loro stessi provenivano, quella stessa porta dalla quale era uscito l’uccello nero che la freccia di D aveva eliminato. Scesi alcuni gradini videro una apertura sulla destra ed una di fronte. Alzando una mano Warna chiese il silenzio per qualche istante. Un fruscio proveniva da quello a destra.
“Non diamogli tempo” esclamò correndo verso uno stretto corridoio che piegava nuovamente a destra.
Sorpassato l’angolo vide qualcosa di sorprendente. Quattro enormi scheletri che reggevano altrettante spade a due mani erano in piedi, intenti ad assistere, almeno così sembrava, una creatura più bassa davanti ad un altare addossato ad una parete. Tutte avevano in testa la coroncina di ferro che aveva anche il primo Non Morto che avevano incontrato. Ora l’aveva Galaith nello zaino. Anche l'ultima creatura si volse e dal buio sotto il suo cappuccio provenne una voce cupa. La parole che pronunciò non furono comprese, ma il loro effetto fu evidente. I due scheletri più vicini si volsero verso il nano. Qualcos’altro si mosse nella stanza. Traslucido, uno spettro stava facendogli cenno di indietreggiare, ma solo gli occhi di Galaith e D sembravano vederlo.
“Io… io andrei via” disse il giovane elfo bianco.
“Ed io no! Spacchiamo questi ammassi di ossa!” fu il ruggito di risposta di Warna.
D sollevò velocemente l’arco, scagliando una freccia all’indirizzo della creatura davanti all’altare. Questi aveva una coppa dal cui interno era contenuta una sostanza luminosa. Ci immergeva le dita con movimenti ritmici, quando le tirava fuori queste grondavano sangue. La freccia volò precisa e avrebbe fatto saltare via la coppa dalle mani di quell’essere se non si fosse incendiata e sbriciolata prima, giunta a meno di un braccio di distanza dall’obiettivo.
Era troppo. Galaith cominciò ad indietreggiare, pensando se fosse il caso di indossare la coroncina in suo possesso, seguito da D, Norin ed Elsiem. Ma non Warna, lui voleva affrontarli. Da oltre il secondo arco si udirono movimenti.
“Dove andate? Rompiamo tutto!”
Naichlo mana bronas!” la voce gli giunse profonda come il rombo di un tuono.
C’era ben poca umano in quelle parole. Un brivido percorse la schiena del nano che indietreggiò in maniera controllata. Sulla porta della torre attesero che i Non Morti arrivassero da loro, ma tutto rimase normale per qualche tempo, fino a quando nuovamente l’ombra prese forma. Silenzioso come la notte l’uccello nero, fatto d’ombra, di fumo e di notte, passò sopra le loro teste. L’uccello  effettuò un arco verso nord, in cerca di altri Non Morti da richiamare.
“Uccidetelo, ora!” era Elsiem ad urlare.
Intanto Warna e Norin erano stati sopraffatti dalla paura. Senza ragionare si erano volti verso le scale esterne e spintonando chiunque fosse sul loro cammino vi si erano diretti in preda al panico, inseguiti da Slero che cercava inutilmente di calmarli. D incoccò una freccia facendole attraversare il cortile. La seconda però colpì la bestia oscura proprio al centro del corpo, risucchiandone l’essenza in una nuvola di fumo scuro. L’irragionevole panico del Barone e del nano cessò, lasciandogli una cupa depressione. I loro occhi correvano ansiosamente dalla porta da cui era uscito l’uccello fino al punto in cui era scomparso.
“Io credo sia giunto il momento di far iniziare i lavori per rimuovere la valanga.” fu la giustificazione del Barone.
Come al suo solito si allontanò senza attendere risposte. Il nano invece rimase.Osservarono la struttura del castello parlando di quale direzione fosse meglio prendere. La parte sotto la torre attraverso cui erano entrati non pareva essere salutare. L’orrore provocato da quell’incontro rendeva tutti nervosi. Poi c’era quello spirito che gli aveva fatto i gesti. Galaith asseriva di aver udito anche la sua voce. Gli aveva sussurrato qualcosa ma lui aveva capito solo le parole Sacerdote e Onorita.
Il pozzo o la fortezza? Decisero di guardare dentro la fortezza. Armi in pugno e nervi tesi, entrarono in quello che una volta doveva essere stata una enorme sala, forse adibita alle udienze. In terra erano perfettamente visibili i resti di troppi corpi. Se le ossa di tutta quella gente si fossero ricomposte come era avvenuto per quelle in cotile probabilmente avrebbero dovuto affrontare un intero plotone. A destra c’era una porta aperta con dentro visibile una stanza vuota, almeno così appariva a prima vista. Warna, che avanzava in testa al gruppo, si affacciò al suo interno, pronto a colpire ogni cosa. Quello che vide dentro gli tolse baldanza, costringendolo ad appiattirsi contro la parete.
“Uno spettro, lì dentro” disse, usando una delle sue asce per indicare.

li altri si fecero avanti mantenendosi uniti, pronti a muoversi in fretta per fuggire. Su una sedia malridotta, unica suppellettile rimasta in quella stanza dalle mura cadenti, era accomodato un elfo bianco, traslucido. L’elfo fece un cenno del capo invitandoli ad entrare. Galaith lo guardò, scambiando un’occhiata con D.
“È lui, vero?”
“Sì, proprio lui” rispose l’elfo alto.
“Lui chi?” intervenne Elsiem.
“Lo spirito che ci è apparso più volte” la voce di D era tremolante. Forse l’incubo aveva di nuovo preso a scuotergli l’animo.
Entrarono piano, come se all’improvviso attorno a loro dovesse scatenarsi il finimondo. Ed in effetti qualcosa accadde. Entrando nella stanza tutto attorno a loro cambiò. In terra un soffice tappeto ricamato ammorbidiva i loro passi. C’erano molte sedie in quella che ora sembrava una piccola sala di incontri, una di quelle usate per le udienze private. La sedia dell’elfo ora appariva solida ed intarsiata, con braccioli lavorati a zampa di leone. Si trovava dietro ad una scrivania in legno lavorato, con intarsi che ne coprivano la superficie impreziosendola. Alle pareti c’erano candelabri con candele accese, e quadri. Una goccia di sudore percorse la fronte di D nel guardare tutto questo; anche le candele gli ricordavano qualcosa del suo passato, forse un altro incubo. In un angolo, un grande braciere in ottone conservava la brace accesa da cui scaturiva un caldo confortevole. Ad osservarlo, anche l’elfo bianco, lo spettro, era cambiato: ora era tutt’altro che traslucido. Appariva giovane e vivo. In testa recava una fascia azzurra con una gemma verde al suo centro. Le sue vesti, color blu notte, erano ricche. I suoi modi gentili.
“Vi ho atteso a lungo, sedetevi” disse accennando alle sedie.
Warna rimaneva fuori, sporgendo di tanto in tanto il naso per osservare. Dentro i suoi compagni si stavano sedendo a mezz’aria, sospesi nel nulla.
“Dite al vostro amico di entrare”
“Warna vieni” fu il coro di D ed Elsiem.
“Voi siete pazzi se solo credete che verrò a partecipare a questa follia! Ora il primo spettro che ci invita noi ci andiamo?!” grugnì da fuori, ritraendosi velocemente a sottolineare la sua ostinazione.
“Intendi aspettare il secondo?” gli chiese Elsiem, ma non ricevette risposta.
“Io sono Qirawir. Io ho atteso perché qualcuno venisse. Ormai non c’è più tempo.”
Il gruppo si guardò confuso.
“Noi perdemmo la battaglia – proseguì con la sua voce lenta e tranquilla – Ma non l’avremmo perduta se lui non ci avesse privato del dono.”
Galaith si mosse a disagio sulla sedia, ma fu Elsiem a parlare.
“Dunque, partiamo dall’inizio. Come hai detto di chiamarti?”
“Qirawir”
“E di cosa parli?”
“Parlo della battaglia che fu persa perché lui non volle il nostro dono e lo sottrasse”
Gli altri si guardarono ancora più a disagio. Solo Slero stava con lo sguardo basso, recitando le parole di una qualche litania. Poi di scatto sollevò la testa e mosse le mani verso lo spettro. Non accadde nulla.
“Anche io sono un Adepto del Riposo – proseguì Qirawir – Sacerdote di Mirphit”
“Di quale battaglia parli?” D non sapeva come poteva uscire da tutto questo.
“Parlo della battaglia che si combatté qui più di mille e cento anni fa. Noi resistemmo a lungo, ma poi venne Paeshan. Fu solo grazie a lui che il nemico riuscì ad entrare. Ma noi avremmo vinto se lui, il sacerdote, non avesse impedito al mio signore di usarlo. E noi perdemmo.”
“Paeshan vi sottrasse qualcosa?” chiese Elsiem.
“No, non lui. Fu il sacerdote di Onorth. Egli non tollerava il nostro aiuto e sottrasse il vero potere” nel dire queste parole guardò verso Tallerin che, invece, aveva lo sguardo perso nei ricami del tappeto sotto i loro piedi.
“Un sacerdote di Onorth? Era lui il nemico?” Elsiem voleva che tutto fosse chiaro.
“No, egli serviva il mio signore. Ma lo tradì quando la fine si avvicinò. Lo tradì per il suo dio. Egli non potè tollerare che il vero potere – guardava verso Tallerin anche questa volta - giungesse a portare la salvezza per la battaglia.”
“Chi era il nemico, allora?”
“Illon. Egli era il nemico, e Paeshan era la sua spada.”
“Sai nulla di alcune coroncine di ferro?”
“Esse appartenevano alle persone che costituivano la mia scorta”
“Ne abbiamo una” disse Elsiem, facendo cenno a Galaith di mostrargliela.
Galaith la estrasse dallo zaino e la porse a Qirawir. Lo spettro allungò una mano verso il cerchio di ferro arrugginito con uno sguardo denso di tristezza. Da fuori Warna vide la mano dell’elfo passare attraverso la corona senza riuscire a toccarla.
“Conoscevo la persona che la indossava”
“Cosa puoi dirci di un unicorno in campo azzurro?” chiese Elsiem.
“Era il simbolo che avevo deciso di vestire quando venni ad aiutare il mio signore. Il sacerdote di Onorth non poteva tollerare che io fossi stato chiamato ed odiava il fatto che io vestissi le insegne di Taddeus.”
“Cosa c’entra in tutto questo il sacerdote di Onorth?”
“Clodrianus serviva Taddeus prima del mio arrivo, come voleva la tradizione. Io non fui il benvenuto e non lo fu il mio aiuto nella battaglia. Quando si presentò il momento, sottrasse il dono. Ora solo il simbolo del suo dio ha potere su di lui, solo con quello lui si fermerà. Ma il tempo è poco, Paeshan ed il suo elmo stanno per liberarsi.”
“Paeshan… e il suo elmo?” all’improvviso Slero aveva ricordato qualcosa.
Quel nome l’aveva già sentito, molto tempo fa.
“Che dovremo fare con questo elmo?” chiese Elsiem.
“Deve essere distrutto. Il simbolo che vi serve è nella torre caduta. Dovrete prenderlo. Passate dal pozzo, da lì c’è una strada.”
“Che altro dovremo fare?”
“Solo questo. Ora sapete tutto”
“Allora grazie…” aveva cominciato a rispondere Elsiem, ma la stanza all’improvviso si trasformò, tornando ad essere quella che avevano visto da fuori.
Le sedie scomparvero così all’improvviso che molti di loro caddero in terra. Anche di Qirawir non c’era più traccia.


eduto in terra Slero attrasse la loro attenzione.
“Io so chi è Paeshan, o meglio chi era”
Rialzandosi gli altri si volsero verso di lui, interessati al discorso.
“Era uno dei maggiori pericoli nella guerra che si combatté nel Seiliriath. Egli era una sacerdote di Leneidian, un servo dell’oscuro signore delle genti dell’est. Le leggende raccontano che attraversò le terre senza un esercito, eppure dove passava v’era morte e distruzione. Vicino a lui i corpi dei caduti si sollevavano divenendo orribili armi al suo servizio. Non so se avete mai sentito parlare delle orde silenti. Esse furono impiegate dagli Onoriti, ma davanti a Paeshan da solo intere schiere si rivoltavano al controllo dei sacerdoti di Onorth, divenendo uno strumento del nemico. Le leggende raccontano che fosse grazie al suo elmo che Paeshan riuscisse a portare la sua devastazione. Si tratta di un antico artefatto… e non credo che debba essere distrutto.”
“No? Ma spero tu stia scherzando – Elsiem era stralunato – Non hai sentito le parole di Qirawir? Va distrutto!”
“Secondo me non dobbiamo farlo”
Intanto Galaith aveva preso in disparte Tallerin. Parlando a bassa voce cercava di capire cosa ne pensasse l’umano di tutto quello che stava avvenendo.
“Non so cosa pensare.” fu la risposta.
“E poi, perché ogni volta che diceva vero potere, Qirawir guardava verso di te?”
“Guardava verso me?” Tallerin si era irrigidito, come se ora qualcosa si fosse smosso in lui.
“Sì, ti guardava intensamente”
“Credo che dovremo stare molto attenti. Ci sono cose che possono distruggere un uomo, cose tanto pericolose da essere al di fuori di ogni controllo. Io dico che dovremmo proseguire, ma con molta cautela.”
“Dunque che si fa?” la voce alta del nano stava dimostrando tutta la sua impazienza.
“Si va al pozzo” rispose Galaith, riavvicinandosi al gruppo accompagnato da Tallerin.


l pozzo era ormai ridotto ad un buco del diametro di quasi quattro metri. Il parapetto era quasi interamente crollato. Infondo doveva esserci un pavimento, ma doveva distare quasi otto metri. Elsiem li aiutò a guardare usando la sua magia. Dal palmo della sua mano fece uscire un raggio di luce grazie al quale riuscirono a controllare lo stato delle pareti. Forse avrebbero offerto un qualche appiglio ad uno scalatore esperto, ma Warna dubitava che tra coloro che erano con lui ce ne fosse uno. Grazie ad una corda di Galaith, retta dallo stesso elfo, il nano iniziò la sua discesa. Era solo un paio di metri più in basso quando D decise che anche lui doveva scendere con quella corda. Galaith lo osservava allibito mentre prendeva alla fune e cominciava a calarsi. I piedi dell’elfo bianco scivolarono in avanti, strisciando sulla roccia.
“Ma sei impazzito?” gli urlò mentre Slero si gettava ad aiutarlo a sostenere il peso, aiutato da Elsiem. Veloce come un gatto D saltò fuori, chiedendo scusa, accompagnato dagli insulti del nano che si trovava ancora appeso alla fune. Warna riprese a scendere fino a toccare il terreno. Lo saggiò per qualche istante, poi sollevò lo sguardo.
“Tutto a posto, scendete”
Il colpo gli giunse su una scapola, spostandolo di lato. Con la coda dell’occhio intravide uno scheletro che brandiva un flagello a due mani, le cui catene arrugginite ora tintinnavano mentre il Non Morto si preparava ad un nuovo colpo. Dall’alto, però, scese qualcosa. Luminoso e sfrigolante d’energia, un dardo azzurro arrivò illuminando il condotto, colpendo le dita dello scheletro. L’arma si sbriciolò, portandosi dietro alcune falangi del Non Morto.
“Io scendo!” disse D, saltando di sotto mentre faceva rapidi gesti nell’aria. Conosceva pochi incantesimi, ma certo non poteva dire che non gli fossero stati utili anche in passato. La sua discesa fu lieve ed aggraziata. Ma quando ormai non era a più di due metri dal fondo, l’incantesimo perse efficacia. Il ruzzolone fu disastroso. Rotolò su un fianco fino a colpire un masso con lo sterno. Tutta l’aria che aveva nei polmoni fuoriuscì in un attimo, lasciandolo senza fiato.
Galaith passò la fune ai compagni, chiedendo che gli venisse retta, poi scese giù in un lampo. Ancora prima di toccare terra la sua mano era alla ricerca dell’elsa della spada.Warna intanto si era ripreso. Balzato in avanti aveva piantato il suo martello al centro del torace dello scheletro, schiantandolo con un rumore sordo. Per qualche istante si guardarono intorno, attenti. Nessun’altra creatura sembrava arrivare. Intanto anche gli altri erano discesi, aiutati dalle funi magiche del mago. C’erano tre aperture. Due si trovavano una di fronte all’altra, la terza sembrava dirigersi proprio dalla parte della torre che interessava loro. E da lì giunsero altri rumori. Un altro scheletro stava arrivando. Il nano schizzò da un lato dell’apertura, mentre Slero prese posto dall’altra. Non appena fu visibile il nano calò il proprio colpo, frantumandolo prima che potesse anche accennare ad un movimento pericoloso per il gruppo.
“Credo che dovremmo seguire proprio questa strada.”
Proseguirono per alcuni metri, trovando una scala in salita. Da dietro Elsiem cercava di fare luce come poteva. Il nano scattò in avanti urlando, segno che qualcuno era lì dentro e che Warna aveva deciso di dargli battaglia. Immediatamente andarono avanti. Oltre le scale si apriva una stanza quadrangolare. Dovettero saltare alcune ossa, forse il residuo del primo scontro del nano. Altri tre scheletri erano in quel luogo, pronti ad aggredirli. Il primo fu schiantato da Slero che, imitando Warna, si era armato di un grande martello a due mani. Un altro invece si avvicinò al nano, scivolando in terra su parte delle cianfrusaglie che si trovavano sparse ovunque. Un invito per il nano che gli fece schizzare via un rotula con una martellata, finendolo poi con un altro colpo ben assestato sul cranio. Anche l’ultimo venne presto ridotto ad un ammasso di ossa frantumate.

alaith osservava il passaggio che si apriva a destra mentre Warna era preso dalla parete rocciosa.
“È troppo liscia, secondo me nasconde qualcosa” ma non riuscì a trovare conferma ai propri sospetti. Si diressero verso il passaggio cercando di tenere le varie aperture laterali sotto controllo. Warna guardava a sinistra e Galaith a destra. Erano celle, o meglio quelle che una volta erano state celle. Le grate o le porte che le chiudevano non c’erano più. Stavano per passare oltre quando dall’interno della cella di Warna provenne un rumore. Uno scheletro, forse un prigioniero dimenticato lì, si mosse verso di loro, brandendo un bastone. L’armatura di Warna attutì l’impatto, mandando però un suon metallico la cui eco si perse per i cunicoli. La reazione del nano non fu sufficiente. Il colpo del nano, infatti aveva colpito solo di striscio l’avversario che, davanti a lui, continuava a percuoterlo col bastone. Anche dalla parte davanti del corridoio stava arrivando un nemico. Elsiem aveva cercato inutilmente di fermarlo con un dardo magico, ma aveva mirato male, sfiorandolo solamente. Velocemente passò dietro Slero, imitato da Tallerin. Il sacerdote estrasse il suo martello preparandosi allo scontro, ma Galaith era improvvisamente balzato in avanti provenendo dal passaggio laterale, affrontando il Non Morto.
Il primo colpo però, fu del Non Morto. Colpì l’elfo in pieno petto, spingendolo indietro. Nella spinta Galaith finì addosso a Slero, facendolo cadere a terra, in parte calpestandolo. Lo scheletro intanto avanzava. Dalla stanza in cui Warna combatteva venne un urlo. Era D che imprecava mentre lasciava andare per sbaglio la freccia. Questa aveva rimbalzato sul terreno roccioso, sfiorando l’orecchio di Warna. Nello spavento per l’azione goffa, D era balzato all’indietro in maniera scoordinata. La faretra aperta aveva lasciato sfuggire le sue frecce che ora si trovavano sparse lungo tutto il pavimento della cella. Warna caricò il colpo. Non era potente, ma era preciso. Lo sterno dello scheletro si ridusse in polvere e la creatura si contorse cadendo prova d’energia in terra. Anche Galaith aveva avuto ragione del suo avversario. Dopo lo sgomento del primo colpo, era balzato in avanti, con la punta della sua spada rivolta verso il cranio del nemico. L’aveva attraversato come un coltello caldo passa attraverso il burro ed ora lo scheletro pendeva inerme, appeso alla sua lama. Verificato che non ci fossero altri agguati, finirono di ispezionare la zona. Tutte le celle erano vuote e il corridoio terminava con una scala. Dopo alcuni gradini, però, il passaggio era ostruito da un crollo. Le macerie rendevano impossibile proseguire.
“Lo dicevo io che quella parete mi pareva strana” mugugnò Warna tornando indietro, intenzionato a riprendere la sua ricerca di un passaggio nascosto.