mi sa che lo compro...
La seguente anteprima è basata sulla sola lettura delle regole e le conseguenti prime impressioni. In nessun modo ha valore di recensione.
Eccallà.
Era inevitabile che, prima o poi, anche quel geniaccio di Vlaada Chvátil trovasse la sua gallina dalle uova d'oro.
Lasciare quel gioiellino di Nome in codice così, solo soletto, pareva brutto; e allora il nostro - o, più verosimilmente, chi per lui - ha pensato bene di appiopparci prima la versione Visual (sdoganata ante litteram da chi giocava al base con le carte di Dixit) e poi la versione a luci rosse, che è tornata alle parole pur nel suo rivolgersi a un pubblico adulto. Come se non bastasse, per la prossima Gen Con sono state annunciate - in verità per il solo mercato statunitense - le versioni Marvel e Disney: a questo punto mancherebbero solo Nome in codice: L'eredità e Nome in codice: Braille, e peraltro non posso escludere che non ci stiano già pensando.
In realtà - va detto - non siamo nel caso del cinghialone che, vabbè, in otto gira meglio, ma magari anche così si lascia giocare e ma sì, dai, lo compro lo stesso; siamo più dalle parti di un 7 Wonders: ossia di un gioco pensato per più giocatori, che non prende polvere facilmente e la cui controparte per due è, a conti fatti, non la sua discriminante di cui sopra, quanto piuttosto - diciamo così - un vezzo. Un gioco che - altri soldi, altro gioco: venghino signori, venghino! - è il trionfo del superfluo, di quel superfluo di cui spesso non siamo capaci di fare a meno.
Per inciso, questa scelta con 7 Wonders: Duel ha funzionato, staremo a vedere che succederà in questo caso.
(Scherzo, ovviamente: questo gioco farà il botto, sicuro come Codenames: morte.)
Il gioco
Come detto, questa ennesima versione del gioco è pensata per due giocatori, laddove la variante del gioco base per tale configurazione era prevista solo per fare presenza; il titolo non è tuttavia precluso a un numero maggiore di giocatori, sempre divisi in due squadre, ma con una modalità di gioco sensibilmente differente da quella del gioco base.
La scatola - come detto di un bel verde Pilsner Urquell - contiene i materiali di sempre (le carte parola, griglia, spia - stavolta in un solo colore - e passante), più undici segnalini doppia faccia, raffiguranti da un lato il volto di un passante neutrale e, dall'altro, il simbolo di spunta: servono per consentire al gioco la sua meccanica sulla carta intrigante.
Nel proprio turno, un giocatore fornisce come di consueto l'indizio di una parola e il numero di carte cui intende riferirlo: per quel turno, a fare testo è solo e soltanto la griglia che quel giocatore vede. Il regolamento vieta qualsiasi comunicazione non attinente questa regola (a Letta, per esempio, che ha appena indicato correttamente una carta spia suggeritagli da Bersani, non è permesso dire robe del tipo: "Ma pensa, per me quello è un assassino!", pena l'esclusione dal prossimo Nome in codice: Partito Democratico); è altresì vietato far capire all'avversario che quel Nottola che si è magicamente colorata di verde dopo che lui l'ha toccata al grido di Pesce: 3 no, non era compresa nell'indizio - ma questo è vero già per il gioco base.
Tutto ciò è tenuto insieme dal tempo: i turni a disposizione dei due giocatori sono nove (dieci o undici se si vuole diminuire la difficoltà); al termine di ogni turno, uno dei segnalini viene posizionato di fronte al giocatore che ha concluso un turno proficuo o sopra una carta passante, con l'accortezza di non coprire la parola, poiché quest'ultima, a parti invertite, è ancora in gioco (viene coperta solo da una successiva carta spia o da un eventuale secondo segnalino).
Esauriti i segnalini, i giocatori possono ancora toccare carte - più o meno a caso e in qualsiasi ordine - senza che però possano essere forniti indizi, né che si possa discutere delle scelte (è un po' quello che succede a Indovina chi? quando il tuo avversario, con due domande ispirate da una visione mistica dovuta alla polenta uncia mangiata a pranzo, rimane con una carta sola e tu cerchi di fotterlo tirando a indovinare tra diciannove personaggi che - ne sei sicuro - ti stanno deridendo).
Prime impressioni
Che vi devo dire? Funzionare, funzionerà.
Il solco è quello tracciato da 7 Wonders: Duel, che non a caso ho citato qualche riga più in alto. Ovverosia un gioco che, con la scusa della versione per due, si stacca dal base quel tanto che basta a renderlo un titolo nuovo e non una mera variante.
La meccanica della griglia doppia, al netto di qualche difficoltà concettuale che le prime partite potrebbero incontrare, è ben pensata e sopperisce in maniera elegante al grande problema della versione per due giocatori di Nome in codice (sempre che di giocare in due a Nome in codice proprio non se ne possa fare a meno): quello, cioè, di dare a un tempo uno stimolo alla creatività - qui è essenziale riuscire a fornire indizi che colleghino due, tre o più parole - e la possiblità a entrambi i giocatori di cimentarsi con il ruolo che, nel base, è del capo-agenzia. Va da sé che quest'ultimo, in Nome in codice, si accollava buona parte della responsabilità di una sconfitta, mentre ora tutti i giocatori coinvolti condividono tale onere: giocando in più giocatori, infatti, chiunque può fornire un indizio e, anzi, il regolamento permette discussioni tra i membri di una stessa squadra in tale senso e purché non udibili dagli avversari (e, possibilmente, venendo a una in tempi brevi).
Quanto alla compatibilità con le precedenti versioni, nemmeno a dirlo, ovviamente si possono utilizzare tutte le parole delle altre scatole (anche di quella voncia) e perfino le immagini del Visual.
Al netto dell'ironia, in definitiva, questo gioco sembra ben pensato: in bilico tra furbata commerciale e gioco intrigante, Nome in codice: Duet sembra poter essere entrambi.