Blank White Dice: anteprima Essen 2016

Prendete un astratto con dadi bianchi e dischetti colorati e giocateci. Sì, esatto.

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Blank White Dice

La seguente anteprima è basata sulla sola lettura delle regole e le conseguenti prime impressioni. In nessun modo ha valore di recensione. 


Immagini tratte dal video di Vasel e da dicetowernews.com

Prendete un astratto con dadi bianchi e dischetti colorati e giocateci.

Sì, esatto.

Blank white dice” (Dadi bianchi vuoti) è edito dalla WizKids, casa nata nel 2000 per la pubblicazione di “Mage Knight”, ed è opera di Jonathan Leistiko – se non sapete chi sia, sappiate che è l’autore di “The isle of Doctor Necreaux” e che quindi siete giustificati.

Si tratta di un “dice building” per due-quattro dadaisti – o dadaioli, o che so io – che saranno occupati per una mezzoretta che avrebbero potuto usare, che so, per preparare una partita a Sulle tracce di Marco Polo.
In poche parole, il gioco ruota sul lancio continuo di un paio di dadi personalizzati, nel senso che bisogna fisicamente disegnare sulle facce vuote alcuni dei simboli riportati sulle carte in proprio possesso.
Oltre alle carte e ai nove dadi (nel gioco è previsto un dado comune), nella scatolina ci sono i pennarelli, i dischetti segna punti e una plancia per i punteggi.
Il gioco è consigliato ai maggiori di quattordici anni, perché qualcuno su un dado potrebbe pure disegnarci un cazzetto.

IL GIOCO

Lo scopo – astrattissimo – è essere colui o colei con più punti alla fine del round in cui almeno un giocatore arriva a tredici punti. Ogni giocatore parte con tre punti, segnati su una plancettina piccola, quadrata e fredda come una lapide dell’Ottocento.
Scegliendoli da un certo numero di carte iniziali, ciascuna con la descrizione di un certo effetto, ogni giocatore trascrive i simboli scelti sulle facce dei dadi personali, caratterizzati dagli angoli più stondati.
Trascrive inoltre un simbolo su una delle facce del dado comune, il quale ha gli angoli più vivi e, nel corso dei turni di gioco, può cambiare di proprietario.

A questo punto, a turno, si lanciano i dadi in proprio possesso, risolvendone gli effetti: si va dal rilancio di un dado qualsiasi, al guadagno immediato di tre punti (effetto che può essere disegnato solo se, su un’altra faccia – non necessariamente propria –, si segna anche il meno-due-punti), al passaggio nelle proprie mani del dado comune dopo averlo rilanciato.

Per inciso, le carte hanno un nome che, a differenza di altri giochi dove l’intento è comunque quello di provare a dare un pur vago sentore dell’idea tematica di fondo (come per esempio in “Onitama”), qui, banalmente, non serve a nulla.

Alcuni effetti delle carte che si potrebbero definire “di base” prevedono di cancellare tutte le facce (allo scopo si deve usare un panno umido) o, al contrario, di disegnare un simbolo su tutte le facce ancora bianche. Ulteriori simboli conferiscono punti se disegnati sui dadi avversari, oppure la possibilità di usare il simbolo mostrato su un dado avversario.
A parte le azioni base, la maggior parte delle carte prevede effetti via via più complessi e complicati: un esempio è quello della carta “Investimento”, il cui simbolo, se ottenuto col dado, permette di guadagnare tanti punti quanti sono i puntini disegnati sulla stessa faccia e poi di disegnarne uno in più.

Alcuni simboli, per essere disegnati, prevedono un prerequisito, per esempio la perdita di qualche punto.

CONSIDERAZIONI

Tom Vasel, nella sua video-recensione, si dice colpito dall’idea alla base del gioco, che giudica originale e interessante – sensazione che, va detto, ha colto anche me appena ho intuito di che si trattava.
Egli elenca tuttavia una serie di motivazioni per la quale, in realtà, questo gioco cigola: innanzitutto la qualità dei pennarelli, di difficile cancellazione se non – come detto – con un panno umido, potrebbe inficiare parecchio sulla scorrevolezza di un gioco dove le riscritture di dado sembrano frequenti; un secondo aspetto è la terminologia utilizzata, spesso ambigua e non univoca (a esempio la confusione generata dall’utilizzo di due termini diversi – “tag” e “mark” – utilizzati verosimilmente per la stessa operazione, ossia il disegno di un simbolo su un dado).
Il regolamento pare inoltre piuttosto confuso e le stesse carte, come si nota per esempio da quelle mostrate nel video, sembrano dare adito a parecchi dubbi – soprattutto quelle i cui effetti necessitano di spiegazioni decisamente lunghe.

Tutto questo sembra remare contro un gioco che vorrebbe fare della semplicità e dell’immediatezza i suoi punti di forza.
Inoltre è teoricamente possibile – e non necessariamente improbabile, sottolinea Vasel –vincere in due turni, ottenendo due volte il simbolo “+3” e quindi sculando senza possibilità di replica – roba che non è proprio allo stato dell’arte del design, ecco.
Pare, insomma, la solita “bell’idea realizzata male.

Personalmente – ripeto – trovo lo spunto sicuramente buono; tuttavia l’evidente bassa gestibilità di così tanti effetti (immagino un continuo disegnare/cancellare sui dadi) mi ha lasciato abbastanza freddo. Ulteriormente, posso immaginare che, tra tante carte a disposizione, ce ne possano essere alcune con simboli simili: quindi a logica è richiesta anche una certa precisione nel riprodurli su una superficie che, per quanto grande sia il dado, è comunque minima – ancor più se si considera che ogni faccia è limitata da un bordo circolare.

Non giova, personalmente, nemmeno l’assoluta astrattezza del tutto. Non che sia un male in senso assoluto, sia chiaro: personalmente, però, avrei apprezzato anche solo una spruzzata di ambientazione (al livello delle spie di “Nome in codice”, per capirci).

Aspetti positivi, senza dubbio la semplicità della meccanica base e la longevità, assolutamente non messa in discussione (è il gioco che potrebbe annoiare, ma questo è un altro discorso). Al di là dell’ironia di cui sopra, non vedo particolari motivazioni alla limitazione del gioco ai minori di quattordici anni: non che sia un gioco che possa accalappiare l’attenzione di bambini più piccoli, ma una partita non la vedrei loro preclusa, volendo. Ci sono dei ragionamenti e delle mere considerazioni tattiche e di opportunismo, vero; ma direi che sono alla portata di un ragazzo sui dieci-dodici anni.

A conti fatti, dadi-bianchi-vuoti pare un gioco che – per quanto possa sembrare intrigante – andrebbe prima quantomeno provato, perché l’impressione che il sistema scricchioli è piuttosto forte.

Peraltro, di solito, cotanto minimalismo è inversamente proporzionale al prezzo.

Commenti

"Il gioco è consigliato ai maggiori di quattordici anni, perché qualcuno su un dado potrebbe pure disegnarci un cazzetto." :D :D

La confezione non comprende il panno umido! ;-)
Uno straccetto adatto potevano pure ficcarcelo! Poi al massimo ci sputiamo tutti sopra in allegria per inumidirlo!

Mi fa più che altro voglia di comprare dei dadi bianchi di plastica per disegnarci sopra cose col pennarelli per acetato, cancellabili con un filo d'alcool...

Però per 15€ si ottengono parecchi dadi completamente personalizzabili.......del gioco non mi importa ma potrebbe valere la pena comprarlo per i dadi!

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