[Interviste] Due chiacchiere con... Martin Wallace

 Inauguriamo oggi una rubrica che ci auguriamo posso divenire un punto di riferimento per una veloce e simpatica lettura.

Le interviste, come potete facilmente evincere dalle domande seguenti, non sono direttamente correlate alla pubblicazione di un titolo, ma hanno la semplice finalità di far conoscere un determinato autore attraverso una rapida chiacchierata che tocchi argomenti differenti. Qualora conosciate già il personaggio in questione (credo sia proprio questo il caso), beh...ripassare non guasta mai! Ecco per voi le sette domande poste a Martin Wallace.

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Inauguriamo oggi una rubrica che ci auguriamo posso divenire un punto di riferimento per una veloce e simpatica lettura.

Le interviste, come potete facilmente evincere dalle domande seguenti, non sono direttamente correlate alla pubblicazione di un titolo, ma hanno la semplice finalità di far conoscere un determinato autore attraverso una rapida chiacchierata che tocchi argomenti differenti. Qualora conosciate già il personaggio in questione (credo sia proprio questo il caso), beh...ripassare non guasta mai! Ecco per voi le sette domande poste a Martin Wallace.

 

D: Da cosa trai maggiormente ispirazione per creare un gioco? Quotidianità, speranze, ricordi?

R: A dire il vero, la maggior parte delle volte l'ispirazione giunge dalle librerie di seconda mano. Adoro girovagare all'interno di una vecchia libreria, magari senza sapere realmente che cosa sto cercando fino al momento in cui trovo ciò che mi interessa. Moltissimi dei miei titoli hanno visto la loro genesi nelle librerie. Per "Aeroplanes" l'ispirazione arrivò da un libro con illustrazioni di vecchi aeroplani, che già mi aveva fornito uno spunto per la creazione di "Automobile". "A study in Emerald" nacque direttamente da un libro sull'anarchismo che avevo trovato presso Foyles (una grande libreria di Londra). Sotto questo punto di vista, Amazon è differente: in quel caso devi già conoscere cosa desideri prima di poterlo cercare.

D: Credi che i giochi debbano avere una finalità educativa? Ritieni che debbano trasmettere messaggi o fungere semplicemente da strumenti per il divertimento?

R: I giochi sono sempre e comunque educativi, sia nel momento in cui viene insegnata la natura delle regole che magari nello sviluppo di abilità di calcolo. In tutta franchezza, non amo particolarmente i titoli educativi: credo che un gioco debba prima di tutto essere divertente nello svolgimento. Ho appreso moltissime nozioni geografiche anche solo giocando vecchi wargames della SPI (Simulation Publications, Inc. - NdT).

D: Cosa ne pensi del concetto di creatività? Credi possa essere sufficiente riciclare e modificare idee appartenenti a vecchi giochi o cerchi costantemente di aggiornarti, esplorando territori per te sconosciuti e rischiando magari clamorosi fallimenti?

R: Cerco di unire le due cose, riutilizzando idee proprie di vecchi titoli e contemporaneamente cercando nuove strade per presentare un gioco. Detto questo, è senza dubbio molto difficile creare meccaniche che possano definirsi nuove. Sono ormai da diverso tempo concentrato sul rappresentare un determinato soggetto nel modo più accurato possibile, non necessariamente con l'utilizzo di nuove meccaniche ma eventualmente attraverso l'intelligente applicazione di idee già esistenti.

D: Quale tipologia di titoli suscita maggiormente il tuo interesse? Quando siedi attorno ad un tavolo in compagnia di amici, ti senti più "german" o "american"?

R: Non è qualcosa su cui mi concentro particolarmente. I titoli "american style" sono generalmente troppo lunghi per i miei gusti, mentre i cosiddetti "german" ogni tanto mi risultano un pò asciutti, aridi. Volendo essere onesto, la maggior parte dei titoli che gioco mi deludono in un modo o nell'altro - forse perchè li analizzo un po' troppo.

D: Quale dei tuoi giochi ritieni sia stato maggiormente sottovalutato da pubblico e critica? Un gioco in cui riponevi grandi aspettative ed eri convinto sarebbe stato apprezzato di più...

R: Credo che "A Study in Emerald" non sia stato apprezzato quanto avrei desiderato. Probabilmente parecchi giocatori sono rimasti scottati dalla complessità del titolo. È un gioco che richiede una perfetta padronanza delle regole per poter esprimere le sue potenzialità, in modo tale da poter agire con razionalità e non casualmente. Ritengo inoltre che alcuni miei titoli siano stati ignorati semplicemente perchè il mio pubblico abituale attendeva qualcosa di differente. Un chiaro esempio di questo discorso è Discworld Ankh-Morpork. I gamers più risoluti non lo amano perchè lo ritengono troppo caotico. Al tempo stesso, tuttavia, ha riscosso un ottimo successo tra i giocatori più occasionali: ho avuto un riscontro positivo nel mio intento, insomma. Alcune persone sono troppo rapide nel criticare, magari solo perchè non corri incontro alle loro aspettative: dovrebbero invece riflettere sul fatto che probabilmente non fanno parte del pubblico a cui è effettivamente destinato il titolo.

D: Quale meccanica definiresti come il tuo vero e proprio biglietto da visita?

R: Pensandoci bene, direi molto probabilmente la meccanica del debito.

D: Hai un aneddoto sull'Italia o suoi giocatori italiani che ricordi con piacere?

R: Mi ha divertito molto la partecipazione alla Play di Modena di qualche anno fa. Era la prima volta che potevo avvalermi di un traduttore personale che mi aiutasse a parlare con il pubblico. Mi è rimasta la forte impressione che qualunque cosa venga detta in lingua italiana risulti automaticamente stimolante, emotivamente eccitante.

 

Ed eccoci giunti al termine. Ringraziando il buon vecchio Wallace per il tempo accordatoci e nella speranza che questa breve intervista abbia suscitato il vostro interesse, mando un caro saluto a tutti e vi aspetto alla prossima puntata.

Aska

Commenti

Molto interessante questa intervista. Bravi!

Non gli hai chiesto per caso come ovviare al "buggone" di Mythotopia...je possino...

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