Prototipi e playtesting - di Bruno Faidutti

Giro da IDG - www.inventoridigiochi.it - la traduzione del secondo articolo di Bruno Faidutti (pubblicato su "The Games Journal") sul game design, questa volta centrato in particolare sulla fase della creazione dei prototipi e sul playtesting.

Sperando di fare cosa gradite a qualche goblin inventore :).

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Giro da IDG - www.inventoridigiochi.it - la traduzione del secondo articolo di Bruno Faidutti (pubblicato su "The Games Journal") sul game design, questa volta centrato in particolare sulla fase della creazione dei prototipi e sul playtesting.

Sperando di fare cosa gradite a qualche goblin inventore :).

Sono spesso sorpreso - quando aspiranti autori presentano i propri primi lavori - dall'attenzione messa nella creazione fisica del prototipo. Non è difficile che l'autore faccia illustrazioni: e se il gioco non è illustrato, le pedine, le carte ed il tabellone sono comunque costruiti con cura, e spesso sono di qualità superiore a quella di molti giochi pubblicati.

I miei prototipi al confronto sembrano decisamente amatoriali. La grafica (se c'è) è limitata ad un pugno di clip art, e i miei metodi di incollaggio e taglio sono primitivi, senza cose come gli angoli arrotondati. Se non avete mai visto prototipi di altri autori ben conosciuti, vi posso assicurare che alcuni sono anche più spartani dei miei.



Come la bozza di un romanzo, il prototipo di un gioco è in realtà un qualcosa che non è mai completamente finito, o definitivo: e parlo anche delle differenti versioni che vengono presentati alle case editrici. Il prototipo deve potere essre cambiato facilmente, con un tratto di matita o di forbici, con poche pedine, qualche carta, o qualche casella sul tabellone.

Se i tuoi playtester trovano il gioco troppo lungo, o se l'editore ti chiede di modificare qualcosa, è molto più facile rimuovere qualche casella da un documento di X-press piuttosto che rifare un tabellone bellissimo, dipinto a mano, per tacere, poi, di quelli incisi in legno di quercia.



E' necessario che i collaudatori si rendano conto di stare lavorando su un progetto in divenire, dove le loro idee e i loro suggerimenti saranno bene accetti, e non con un lavoro ultimato, dove il loro giudizio non può modificare nulla. Il prototipo deve essere dunque pratico, chiaro, leggibile, ma non deve per forza essere bello.



Il fine dei primi playtest è quello di mostrare se un'idea buona sulla carta può effettivamente portare ad un gioco apassionante. Se la risposta a questa prima domanda è positiva, allora si può procedere agli aggiustamenti per trarne il miglior gioco possibile.



Dunque è sbagliato arrivare con pensieri confusi a proposito dei principi generali di gioco: è meglio avere regole precise (le mie normalmente sono scritte) che si possono spiegare chiaramente, e tutti gli elementi che permettano di provare il gioco. Questo non impedisce di modificare questo o quell'aspetto del gioco durante la partita, se ti accorgi di un problema, o di interromperla se ti rendi conto che allo stato attuale il gioco non funziona.

I tuoi playtester ti ringrazieranno per averli liberati, e per avergli concesso un altro po' di tempo per giocare a quei bei giochi tedeschi ed americani che li attendono sugli scaffali. Le prime prove di un gioco sono piuttosto informali, con interruzioni per discutere le regole che dovrebbero essere cambiate, partite terminate all'improvviso, ripartenze... e non è male avere qualche birra o del whisky al tavolo, per stimolare l'ispirazione. Questo è il motivo per cui spesso preferisco fare i primi test con amici, persone appassionate, ed altri autori in grado di fare critiche e suggerimenti che possano aiutare il gioco a prendere una forma più efficace.

A volte i giochi nascono come vere e proprie collaborazioni. Solitamente, questi primi test portano solo ad abbandonare delle idee che sono più affascinanti che realizzabili; ma a volte sono seguiti da test differenti dove il gioco, poco alla volta, assume la sua forma definitiva.



Ora si abbandona il salotto per avventurarsi in cucina, dove tutto diventa una questione di proporzioni e di spezie. Aggiungi un po' di bluff e di tensione qui, togli un po' di calcolo o di memoria lì, e non dimenticare quel pizzico di fortuna che enfatizza il sale della tattica! Ogni cosa aggiunge il proprio sapore, e ogni giocatore ha i propri gusti. Per il mio gusto, cerco di arrivare al massimo della tensione con meno regole possibile. Questo significa che prima di aggiungere una regola, valuto attentamente se aggiunge davvero qualcosa al gioco in termini di attinenza al tema o di efficacia delle meccaniche, e se non è possibile arrivare allo stesso risultato modificando una regola esistente, o rimuovendone una. Questo principio economico viene sicuramente dalla scuola tedesca, e spesso viene dimenticata dagli aspiranti autori, che tendono ad aggiungere regole inutili. Io utilizzo spesso gli ultimi test di un gioco per eliminare le regole che sono rimaste dalle versioni precedenti che non hanno più una grande utilità.



Leggo spesso che molti famosi autori credono che sia utile che gli ultimi test siano "alla cieca", cioè che i giocatori leggano da soli le regole e gestiscano da soli la partita. Alcuni famosi autori mandano addirittura i propri giochi a collaudatori che alla fine compilano una scheda del playtest, con commenti e voti. Questo metodo ha il vantaggio di essere completo, ma non è il mio. Preferisco rimanere al di dentro, prendere parte in tutti i test: il che mi permette di intervenire per modificare il gioco qualora sia necessario.

consistencies.



Noto anche che in molti autori (ed anche editori) hanno il vizio di provare solamente i giochi, ma non le regole. Solo i vecchi e saggi giocatori hanno imparato poco alla volta a scrivere regole chiare e complete. Il mio consiglio per i giovani autori è quello di provare le proprie regole con un gruppo di giocatori senza intervenire, per evidenziare le dimenticanze, la parti ambigue e quelle inutili.



Diamant, che dal grande salone di Norimberga è partito alla volta della casa di un grosso editore tedesco, è stato provato negli Stati Uniti da Alan Moon e dai suoi amici, ed in Francia da me e dai miei. Nella prima versione, ogni tesoro che non non poteva essere diviso in parti uguali veniva semplicemente rimosso dal gioco. I giocatori non capivano perché l'oro ed i diamanti doveessero scomparire. Suggerirono che ciò che avanzava restasse sul luogo, per essere preso dai primi che fuggivano. Questa piccola regola diede subito una nuova dimensione al gioco. Ora c'erano due motivi per fuggire: paura e cupidigia, e questo aggiungeva una causa di scherno ed insulti tra i giocatori. Allo stesso tempo, i giocatori americani trovavano il gioco un po' troppo 'grezzo', e suggerirono alcune carte azione: un'arma che permettesse di difendersi dai pericoli, una torcia che permettesse di vedere dove si andava, una fune di cui ho dimenticato lo scopo. Abbiamo provato questa variante, ma eliminava tensione aggiungendo troppe differenze tra le situazioni dei giocatori, e quindi fu abbandonata. Il primo prototipo aveva 17 tesori con valori dall'1 al 17. Alan Moon ebbe l'idea di modificare questi valori per aggiungere molti più numeri primi, che aumentavano la tentazione di fuggire per primi. Il miglior collaudatore di questo gioco fu infine Friedmann Friese, che pensò di far terminare il round quando veniva pescata una carta pericolo, aumentando così la tensione nel corso della partita, spingendo i giocatori a prendersi sempre più rischi via via che il gioco procedeva. E' stato sempre l'uomo dai capelli verdi a far notare (nessuno ci aveva pensato) che era inutile avere due segnalini per votare (rimanere o fuggire) quando uno solo (a seconda che nella mano ci fosse o mancasse) era sufficiente. E questa piccola spinta finale, che portava a soli 8 segnalini, è stata sicuramente utile a convincere l'editore.



(Questo articolo è originariamente apparso sulla rivista "Des Jeux Sur un Plateau".)



- Bruno Faidutti



(Translated from the French by Frank Branham.)

(Tradotto dall'inglese da Paolo Mori.)

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